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sabato 12 novembre 2016

Magoa - Imperial

#PER CHI AMA: Prog/Metalcore/Djent, Periphery, Tesseract
Quando ho visto i Periphery dal vivo di spalla all’inarrivabile Devin Townsend, ho subito pensato: questa è musica da ragazzini. Tecnica pazzesca, intendiamoci, ma sotto sotto il vecchio trucco del metalcore è sempre lo stesso: strofe serratissime e ritornelloni strappamutande, ripetuti all’infinito. Con 'Imperial' dei francesi Magoa temevo di trovarmi di fronte all’ennesima goccia di questo oceano. Ma questa non è roba da ragazzini: è metal contemporaneo tinto di prog e core, sparato con velocità, violenza e una cura degli arrangiamenti e del songwriting davvero notevole. C’è del talento in questo quartetto parigino, e ce n’è parecchio. Sì, d’accordo: la batteria cavalca sulla doppia cassa, le chitarre si sprecano sui palm-mute, c’è qualche poliritmo djent – mai troppo complicato, intendiamoci – e ci sono i già citati ritornelloni melodici (“Faith” e “Afterglow”). Ma la voce di Cyd Cassagne non dà tregua nemmeno un secondo, capace di scream, harsh e pulizia come se non facesse altro nella vita; e le brutali “Kill Us”, “Resistance” e “Endlessly” vi faranno saltare sulla sedia. Non mancano spazi di sperimentazione (“Merge”, che forse assurge al ruolo di inquietante e disperata ballata o “Remember”, cortissima cantilena sussurrata che poi apre su un inferno di urla e tom) e anche qualche intelligente inserto elettronico (come nella title track “Imperial” e, in generale, dove l’arrangiamento apre alla melodia), ma alla lunga i 45 minuti di durata rischiano di stufare un po’. Per come è suonato, registrato e composto, comunque, 'Imperial' è un treno metal-prog riempito di esplosivo e lanciato a tutta velocità. Da ascoltare. (Stefano Torregrossa)

(Ten to One Records - 2016)
Voto: 75

Ascent - Don't Stop When You Walk Through The Hell

#PER CHI AMA: Thrash/Death, Lamb of God
Una volta c'era Angela Gossow che con i suoi Arch Enemy sbraitava come un'indemoniata al microfono, senza alcun timore reverenziale nei confronti del cantato gutturale dei migliori vocalist death metal del mondo. Angela ha fatto scuola e sempre più spesso ormai si vedono band i cui frontman (ma sarebbe meglio dire frontwoman), sono in realtà cazzutissime donne che si dilettano con un growling da cavernicolo. Gli ultimi scovati sono i siberiani Ascent, che rilasciano per la Sliptrick Records, quest'album dal titolo meraviglioso, 'Don't Stop When You Walk Through The Hell', e che propongono appunto come punto di forza, le killer vocals di Anna Dizendorf. La musica poi non è proprio quanto di più originale ci sia in giro, offrendo infatti un concentrato dinamitardo quanto basico di sparatissimi riff thrash-death metal che non mostrano alcun pietà, scagliandosi contro l'ascoltatore come la più funesta delle intemperie. Aspettatevi quindi ritmiche abrasive ("Useless"), un approccio vocale borderline tra il death e un più arcigno hardcore, taglienti assoli (ottimo quello in "Dead Silence" e ancora "Useless"), qualche atmosfera un po' più lugubre e ritmata ("Matter" e "The Punisher") e poco altro, relegando questo breve dischetto (28 minuti) ahimé ai soli amanti di sonorità estreme. (Francesco Scarci)

(Sliptrick Records - 2016)
Voto: 60

Orpheus Omega - Partum Vitam Mortem

#PER CHI AMA: Swedish Death, Dark Tranquillity
Che Dark Tranquillity e (primi) In Flames abbiano fatto scuola non lo scopriamo di certo oggi. Migliaia di band si sono infatti ispirate alle evoluzioni dei due ensemble svedesi con esiti più o meno soddisfacenti. Gli ultimi che mi sono capitati in mano, anche se con un certo ritardo (mea culpa), sono gli australiani Orpheus Omega, che hanno confezionato, per la sempre oculata Kolony Records, questo 'Partum Vitam Mortem', terza loro opera che affronta in un concept album, il tema della ciclicità dell'esistenza umana. Le suggestioni scandinave appaiono fin dalle iniziali "I, Architect" e "Karma Favours The Wea", due cavalcate che mostrano palesi riferimenti alla band di Michael Stanne & Co, grazie ad un riffing arrembante, growling vocals che duettano con clean vocals più defilate, ottimi solos, buoni arrangiamenti e una dose spropositata di groove (qui il richiamo è più spinto verso gli In Flames), ma soprattutto una registrazione cristallina cosi potente da farmi esplodere i vetri di casa, quando ho girato la manopola del volume del mio stereo in senso orario. Tutto positivo quindi, anche quando nel mio lettore scorrono altri brani come le impetuose "Practice Makes Pathetic"o la successiva "Our Reminder". Cosa non mi convince allora? Sicuramente il fatto di essere cosi tanto poco originali da apparire come una copia sbiadita dei già citati DT, il che penalizza globalmente il mio giudizio sul quintetto. In secondo luogo, devo dire che l'utilizzo delle tastiere non mi ha proprio esaltato, molto spesso un po' troppo semplici o banalotte ("Tomorrow's Fiends and Yesterday's Ghosts"). Infine, per un album del genere non avrei mai puntato su una durata cosi elevata, prossima ai 60 minuti. Un vero peccato, considerate le elevatissime potenzialità dell'act australiano, il serratissimo tiro di alcuni pezzi ("Unravelling Today" o la funambolica "Silence, The I") o la capacità di cavarsela anche in brani mid tempo dal mood più malinconico ("Echoes Through Infinity"). La mia non vuole essere sicuramente una bocciatura, piuttosto un punto di partenza su cui riflettere e da cui ripartire per futuri sviluppi. (Francesco Scarci)

(Kolony Records - 2015)
Voto: 60

venerdì 11 novembre 2016

Order of 315 - Antipi

#FOR FANS OF: Alternative Metal/Hardcore, Pantera, Korn, Five Finger Death Punch
French metallers Order of 315 have once again strayed relatively far into the modern metal scene that has quickly become a strong part of the French scene that contains far more of their counterparts’ elements into their sound. Mostly employing a heavy, groove-centered mid-tempo approach that interchanges swirling rhythms and tight pattern-changes into a series of vicious, groove styled rhythms that add in touches of hardcore and modern progressive rock, there’s a rather tight, frenetic sound on display which becomes quite enjoyable at times while still utilizing far too many plodding and mid-tempo patterns here to really make much use of them overall here. This one works nicely enough in these more hard-hitting sections and acquits itself well there, but the disparate mix of influences and seemingly blander stylings here make this one quite troubling at times, especially the later half which has a lot of weak tracks there to fill the running time. Still, on the whole the tracks aren’t too terrible. Opener ‘A Slap on the Wrist’ offers explosive, charging rhythms and plenty of charging, hoarse vocals containing the strong churning riffs and steady patterns grinding along through the grooves of the final half for a strong opening impression. ‘Telescope’ features heavier chugging and plenty of tight, swirling grooves with a ferocious and charging series of thrashing rhythms and energetic patterns that generate a strong, frenetic pace here with the grinding grooves working well for a strong highlight. ‘The Feather Factor’ offers some electronica influences into the plodding mid-tempo grooves and swirling breakdowns on display that are somewhat at odds with the pulsating electronics though the swirling rhythms are enjoyable enough to make this a somewhat enjoyable effort. ‘Abelian’ and ‘Meiosis’ return to the charging, hard-hitting grooves with the swirling riffing and simplistic rhythms that charge along to a solid mid-tempo crunch with plenty of strong patterns along with scattered electronics for nice highlight offerings. ‘Rumble Fish’ uses more of the electronica influences to plod along with the simplistic grooves and swirling rhythms introduced alongside the series of simplistic, plodding paces featured along into the finale for a decent-if-unspectacular track. ‘Data Warfare’ comes off as a fine mixture of the chugging grooves and swirling electronics featured throughout into the sprawling, buzzing electronic passages that continue swirling along into the final half for a truly disposable and unnecessary track. ‘Greyscale’ uses the down-tuned rhythms and swirling mid-tempo grooves into a fine series of plodding patterns that bring the simplistic chugging along through the simplistic finale for a decent enough offering. ‘Densen’ uses more straightforward, simplistic riff-work and plodding rhythms with plenty of sprawling electronics spread throughout into a bland series of swirling grooves chugging along into the final half for a rather unimpressive effort. ‘Unperfect Circles’ features plenty of straightforward, simple chugging riffing with sprawling electronics into a series of rather straightforward swirling patterns that continue droning on through plodding tempos through the final half for a somewhat enjoyable if still really flawed effort. Lastly, ‘Drone’ features plenty of tight, swirling chugging and lively groove-filled patterns alongside the influx of mid-tempo swirling patterns with more tight crunchy grooves carrying on through the finale for a much more enjoyable effort and does end this on a high-note. It’s worthwhile enough at times, but does have a few problems with it. (Don Anelli)

(Self - 2016)
Score: 70

mercoledì 9 novembre 2016

Shantak - For the Darkening

#PER CHI AMA: Melo Death, In Flames
Ancora Italia, ancora Sliptrick Records, ancora metal estremo, questa volta con i metallers bresciani Shantak. Dalla cover cd cosi cupa, avrei pensato ad incandescenze black metal, in realtà la proposta del quintetto lombardo guarda alla Svezia, con un sound che chiama in causa un che degli In Flames degli esordi, soprattutto nell'utilizzo di quelle parti acustiche ("The Disinterment") che resero celebri i primi album della band di Anders Fridén e compagnia. Chiaramente, c'è da soppesare le mie parole perché i cinque ragazzi, al debutto con questo 'For the Darkening', sono lontani anni luce dai tanto chiacchierati gods svedesi. Gli ingredienti però per piacere ai fan ci sono tutti: dai succitati arpeggi (penso all'opening dell'oscura "Silent Birches"), alle linee di chitarra assai melodiche e dal piglio marcatamente heavy metal, soprattutto a livello di assoli ("Germination"), passando alle convincenti growling vocals per finire ad un'atmosfera di fondo tenebrosa, in un album che non ha grosse velleità se non quella di presentare con umiltà la propria proposta ad un pubblico più vasto, con la consapevolezza (auspico) di non aver inventato di certo l'acqua calda. Mi piace il taglio tribale a livello ritmico di "Oath of Shadows", song dall'incedere epico che contribuisce a rivelare ulteriori potenzialità della band. La durata non eccessiva dei brani contribuisce a fornire un approccio più easy-listening agli Shantak cosi come le linee di chitarra, non particolarmente pesanti ("Drowned Tears"), rendono il tutto molto più assimilabile. Di strada ce n'è da fare comunque parecchia se ci si vuole scrollare di dosso i facili accostamenti con gli In Flames o altre mille band affini. I dieci brani, dotati comunque di una certa professionalità, finiscono però in un calderone dal quale sarà difficile alla fine ricordarsi qualcosa, in quanto difettano ancora in personalità, che rappresenta il vero limite di questo primo disco targato Shantak. (Francesco Scarci)

(Sliptrick Records - 2016)
Voto: 60

https://www.facebook.com/ShantakBandOfficial/

CRTVTR - Streamo

#PER CHI AMA: Post Punk/Alternative, Fugazi
I genovesi CRTVTR sono senza dubbio una delle realtà più vitali del rock indipendente italiano, come testimoniato da un’intensa attività live che si è spinta ben aldilà della penisola, come un tour negli USA al fianco dei miei amati Self-Evident e uno persino in Cina (da cui la band ha tratto anche un documentario), a dimostrazione del fatto che, volendo, il rock può essere ancora una splendida avventura. Sulla bontà del loro lavoro erano già arrivati importanti attestati di stima, come quello di “sua bassità” Mike Watt, che aveva suonato in un brano del loro esordio del 2013, 'Here it Comes, Tramontane!', disco nel quale era già possibile intravedere ottime potenzialità e sicuramente uno stile personale. 'Streamo' è il loro secondo album e, a mio avviso, è un deciso passo in avanti nell’evoluzione della band oltre ad essere una delle cose migliori uscite del 2016, e non mi sto limitando al solo panorama italiano. Rinforzata la line-up con l’ingresso di un secondo bassista, il suono di 'Streamo' si è di conseguenza ispessito e fatto più maturo e centrato, laddove l’esordio appariva in alcuni tratti ancora fuori fuoco. Quello dei CRTVTR è un rock che prende le mosse dal post-hc dei Fugazi e si colora di umori wave, innervando sussurri e grida su una sezione ritmica fenomenale (strabiliante il lavoro della batteria lungo tutto il disco), allo stesso tempo marziale e tribale, e va dato loro atto del fatto di essere riusciti a sviluppare un linguaggio che, pur coniugando influenze ben precise, sia allo stesso tempo fortemente personale. Quello che colpisce è il modo in cui la band riesce a contenere la furia punk, facendola correre sotto traccia senza mai far calare la tensione. Ognuno dei sette brani in scaletta brilla di luce propria e offre spunti melodici inaspettatamente accattivanti, come nell’iniziale "A.M, in Wait!" o nella bellissima "Untold". Lavoro splendido, passato forse un po’ in sordina (il disco è uscito a inizio anno), almeno rispetto ad altre cose che hanno ricevuto ben altre attenzioni pur essendo decisamente meno interessanti, col quale bisognerà fare i conti per molto tempo. Avanti così. (Mauro Catena)

(To Lose La Track/Already Dead Tapes/QSQDR - 2016)
Voto: 85

https://crtvtr.bandcamp.com/album/streamo

martedì 8 novembre 2016

Enemy Of The Enemy - Hellequin

#FOR FANS OF: Alternative Metal, Lamb of God, Machine Head, Slipknot
In existence for almost a decade, French metallers Enemy of the Enemy have provided a strong blend of styles together into their music as they’ve refined and honed their sound into their current hybrid style mixture. Taking plenty of solid churning groove-style riffing from modern metal, adding in alternative patterns and rhythms while dipping their feet into such diverse and seemingly disparate elements as ska, breakdown-heavy hardcore and slight rap influences in the vocals though they retain more of a solid metal growl for the majority of the time. It works nicely enough overall here when this is the main focus, keeping the strong churning riffs at the forefront which makes for some lively work here, but when it drops this in favor of spotlighting the bland, plodding ska is where this slips with the vast majority of tracks containing these at the forefront suffer highly from a lack of energy and are just plain a drag to get through and really highlights a distressing problem with this one. Still, there’s a lot to enjoy with this one. Opener ‘Lost Generation’ offers a slew of fiery churning riff-work and statticco rhythms that contain plenty of crunchy patterns as the switch-over into the series of bland noodling patterns carries out into the chugging final half for a decent enough opening charge. Both ‘Farm Boy’ and ‘Dangerous Species’ drop a lot of the churning riff-work for more of a down-tempo ska-infused charge which carries along into the droning noodling throughout that brings about the few churning riffing throughout the finale for decen enough efforts. ‘Oh Glory (Superstar)’ is a simplistic series of swirling grooves and a straightforward tempo which are carried on throughout unending into a series of rather simplistic and unending churning for a rather quick and unimpressive effort. ‘Angels Can Die’ also features the discordant noodling and plodding ska-infused rhythms yet keeps the churning grooves and more in the forefront here with the discordant patterns keeping the churning rhythms along through the finale for a rather enjoyable effort. ‘Nowhere’ features a straightforward and unyielding assault of simplistic swirling grooves with the occasional burst into fiery churning rhythms and hardcore-ish breakdowns throughout the final half for a strong and enjoyable highlight. ‘Smooth Pussy’ winds through bland and utterly unimpressive plodding that carries along into the series of churning riff-work with the electronica stylings throughout the final half being incredibly out-of-place and just makes for such a useless and uninteresting track, ‘Beast’ brings it back to the charging grooves and swirling patterns with plenty of lively rhythms alongside the mainly simplistic mid-tempo chugging featured throughout into the final half for a solid and much more enjoyable offering. ‘This Is A Gift’ uses the simplistic and deep churning groove riffing and simplistic breakdowns for a series of vicious, plodding patterns and swirling rhythms that bring about the chugging riffs into the sprawling finale for a solid enough track. Finally, album-closer ‘Vendetta’ goes back to the sprawling ska rhythms and plodding rhythms before charging back into the occasional burst of swirling groove patterns with the main sections on display containing the plodding paces which leaves to a wholly bland lasting impression overall. This is the main element wrong with this one overall. (Don Anelli)

Project Silence - Slave To The Machine

#PER CHI AMA: Industrial Black metal
Boh. Da un gruppo titolato come uno dei migliori episodi industrial finlandesi e con un disco dal titolo altisonante come 'Slave To The Machine', mi aspettavo di più. È un lavoro fortemente concentrato sulle chitarre e sulla voce quello del quintetto di Kuopio; l’elettronica, quando c’è, è nascosta, sullo sfondo, appena accennata e il più delle volte si avvale di suoni poco convincenti che sembrano usciti dai peggiori anni ’80 (“Abyss”, “Desperation”). La batteria è veloce, precisa, e svolge un ottimo lavoro di grancassa con interessanti accelerazioni, ma certamente non brilla di invenzione. Le chitarre sono fangose e vagamente retrò nella loro distorsione, ma decisamente scandinave nel riffing – senza però l’originalità della maggior parte dei colleghi nordeuropei. Ci sono episodi interessanti intendiamoci, e giusto un paio di passaggi davvero indovinati (“Circus Of Seven”, “The Era Of Fear” o la conclusiva “Invasion”). Ma si sente fortemente la mancanza dell’elettronica; ed è quasi peggio quando i synth vengono usati per le solite, banali introduzioni (“Titan”), per poi sparire completamente dopo pochi secondi. Su tutto questo, la voce del cantante e fondatore Delacroix, svolge un lavoro più che egregio, per gli appassionati del genere: brutale e gorgogliante per la maggior parte del tempo, assolutamente black nel suo screaming arcigno. Peccato che 'Slave To The Machine' duri quasi un’ora e strappi più di qualche sbadiglio già da metà tracklist in poi, quando tutto sembra diventare un manierismo masturbatorio un po’ troppo uguale a se stesso. Un disco lungo, tutt’altro che contemporaneo nelle scelte sonore e ben distante dall’industrial moderno. Solo per appassionati. (Stefano Torregrossa)

(Sliptrick Records - 2016)
Voto: 55

https://www.facebook.com/projectsilenceband/