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martedì 3 maggio 2016

Deadly Carnage - Chasm EP

#PER CHI AMA: Shoegaze, Alcest
Ecco un'altra delle band che seguiamo qui nel Pozzo sin dai loro esordi. Sto parlando dei romagnoli Deadly Carnage, che quest'anno per festeggiare il loro decennale di attività, hanno deciso di regalare ai propri fan un EP in formato 7". Due soli brani costituiscono 'Chasm', il cui sound prende chiaramente le distanze dal contenuto del precedente album, 'Manthe', che tanto mi aveva impressionato, per i suoi echi ai primi Katatonia, Primordial o Shining. Qui, la proposta della band riminese è stravolta, visto che le sue sonorità ammiccano ora pesantemente allo shoegaze degli Alcest. E "Night was the End" apre con i suoi riverberi lontani e malinconici, quasi a richiamare un che degli An Autumn for Crippled Children, ma soprattutto la band di Neige e soci, per via di quelle sue melodie eteree e per l'uso delle vocals, qui completamente pulite, seppur assai sofferenti. "Hole of Mirrors" è il side B del disco e anche lo straziante video che vi invito a guardare su youtube: il flusso sonico si fa ancor più decadente e le linee di chitarra si rivelano ancor più disperate nel loro vibrante incedere emotivo, per un suono che nella seconda metà del brano diventa più cupo e deprimente. Non so esattamente se questa sarà la nuova strada che la band nostrana percorrerà nel futuro, però è da apprezzare la sperimentazione che i nostri stanno mettendo in atto nella evoluzione del proprio sound, ora portavoce anche di elementi post rock, post punk e dark. Bella mossa ragazzi! (Francesco Scarci)

domenica 1 maggio 2016

Persona - Elusive Reflections

#PER CHI AMA: Power Symph
Il debut album dei Persona, band attiva dal 2012, ci arriva direttamente dalle desertiche lande della Tunisia. La terra dell'antica e splendente Cartagine non è di certo un ambiente molto battuto dalle band metal, ma anzi decisamente esotico per questa scena musicale. Per questo mi trovo a guardare (e ascoltare) questo disco con un occhio/orecchio piuttosto sorpreso. Questo esordio si apre subito come ci si aspetterebbe: atmosfere orientaleggianti vengono subito evocate grazie al sitar nell'intro e proseguono poi per tutto il pezzo con tempi e ritmiche davvero sahariane. Si nota infatti come “Somebody Else” riesca subito a calarci nella giusta atmosfera, fatta di sogni onirici e miraggi, immagini sfuggenti che ci avvolgono, magari dentro una tenda o intorno ad un fuoco, in un accampamento di Tuareg del deserto. Lo stile dei Persona si identifica come un power solido, con chitarre piene e un sound potente su una doppia cassa aggressiva e onnipresente, anche quando le ritmiche si fanno più blande. Le tastiere si ricavano ampio spazio all'interno dei brani, insistenti ma non eccessive, e vengono spesso coinvolte in sezioni strumentali e ricchi assoli, intrecciandosi con le chitarre. Un buon esempio può essere il brano "Blinded", in cui l'alternanza keys-guitars nella seconda parte del pezzo, apporta un tocco epico davvero suggestivo. A completare il quadro si aggiungono le vocals acute di Jelena Dobric, che perdurano fino alla fine sulle studiate linee melodiche (rafforzate anche da qualche sovrincisione qua e là). Unica eccezione la ritroviamo nell'interessante traccia "Monsters", in cui è presente un passaggio in growl . Brano particolare all'interno dell'album, che si distingue innanzitutto per le sue continue variazioni ritmiche e stilistiche, senza però uscire dal tema e mantenendo la sua solidità e compiutezza. Basti pensare al continuo cambio in ¾ (tanto amato dalla band tunisina) nei ritornelli, o al caratterizzante passaggio centrale che evoca sonorità desertiche ed arabeggianti, prima di passare alla sezione più aggressiva del brano, vicina a sonorità death. Altro punto di forza del pezzo l'ottimo e articolato assolo chitarristico sul finale, a sottolineare ancora una volta le buone doti tecniche dei musicisti. Il pezzo successivo, dai tempi più smorzati ,“He Kills Me More”, si apre con una forte linea di basso, che si rende protagonista fino alla conclusione. Infine, a chiudere questa prima fatica dei Persona, incontriamo la semiballad “The Sea Of Fallen Stars”, rigorosamente in ¾ ed accompagnata dal solito guitar-solo, questa volta più ricercatamente melodico. Dalle solide fondamenta di quest'album i Persona possono cominciare a modellare e rifinire il proprio stile, che per il momento si sofferma sui canoni classici del genere. Buono il livello tecnico della band, che seppur impeccabile nell'esecuzione, manca ancora di quel “guizzo” che sappia far emergere pienamente le proprie qualità. Per ora infatti, la band sembra non voler “osare” particolarmente oltre a questi orizzonti limitati, con l'unica eccezione di alcuni buoni elementi, come i passaggi e le sonorità orientaleggianti, che riescono a conferire una minima caratterizzazione al lavoro dell'ensemble tunisino.(Emanuele "Norum" Marchesoni)

Cyclocosmia - Deadwood

#PER CHI AMA: Gothic Symph., Tristania
I Cyclocosmia sono una band londinese, concepita inizialmente come solo project da James Scott nel 2011, a cui si sono progressivamente uniti altri membri più o meno stabili. In primis Lorena Franceschini, la vocalist venezuelana, entrata in pianta stabile a prestar la propria voce, poi Draven Gray (piano), Pete Hartley (violino) e Sebastian Cure (chitarra), come ospiti, a dare una mano per completare questo debutto. 'Deadwood' è il risultato di anni di lavoro, un disco costituito da 10 lunghe song, influenzate, in ordine sparso, da The Gathering, Lacuna Coil, Tristania, The 3rd and the Mortal e Trail of Tears, tanto per citare qualche nome. Avrete pertanto capito che siamo al cospetto di una band dedita prettamente a una forma di gothic metal, ovviamente grazie alla soave voce di Lorena, che si staglia su un tappeto sinfonico, che ogni tanto ha modo di sprigionare anche una carica di energia e violenza, grazie a backing growling vocals. Dando un occhio alla playlist, vediamo un po' quali sono le song che più mi hanno colpito: sicuramente la opener "Marionette", che traccia subito la direzione sinfonica dell'act inglese, la cui pomposità iniziale (quasi un tributo ai Dimmu Borgir), mi aveva quasi ingannato. La voce di Lorena prende infatti il sopravvento, ricordandomi per timbrica Anneke van Giersbergen, pertanto emozionandomi non poco, mentre il buon James ogni tanto piazza i suoi possenti growl, in una traccia che poteva stare tranquillamente in uno qualsiasi dei dischi dei Tristania. "Wither", per la sua vena malinconica, invece mi ha fatto ripensare a 'Tears Laid in Earth' dei The 3rd and the Mortal, con i vocalizzi di Lorena che ricalcano, se mi consentite il paragone, quelli magici di Kari Rueslåtten. La ninna nanna "Ubasute", sebbene la magia del violino, non mi convince per tre quarti, almeno fino a quando la ritmica non pigia sull'acceleratore, rendendo la song decisamente più viva. Una chitarra acustica accompagna la voce della brava cantante sudamericana in "Season of Regret", ma è la parte solistica a sorprendermi questa volta con un bel tracciante scaturito dalla 6-corde di James. "Little Girl Lost" è una lunga traccia di oltre nove minuti, in cui la costruzione del brano presenta costantemente una prima parte assai mansueta, in cui regina è la bella voce di Lorena, a cui segue, nella seconda metà, un irrobustimento nel sound del combo albionico, le cui linee di chitarra confermano sempre una spiccata dose di malinconia. La seconda metà del disco è a mio avviso un po' più deboluccia: interessante la nostalgica "...Y Dolor En la Tierra", anche se troppo melliflua per i miei gusti. La forte vena malinconica è però presente in tutto il disco, legato verosimilmente alla perdita della madre di James nel 2015 e forte è questa emozione nella drammatica "Aftermath". Insomma, 'Deadwood' alla fine è un buon debutto, seppur parecchio derivativo e a più riprese richiami questa o quell'altra band, d'altro canto, il gothic non è certo un genere nato oggi, ma che in oltre 30 anni di onorata carriera, ha partorito davvero pietre miliari della musica rock. (Francesco Scarci)

Aes Dana feat. Miktek – Far & Off

#PER CHI AMA: Trance/Ambient
Vincent Villuis e Michalis Alkaterinis, in arte Aes Dana & Miktek, hanno confezionato in questo inizio di 2016, e via Ultimae Records quest'ottimo album, ispirato ed evoluto, sia sotto l'aspetto compositivo che a livello emozionale. Ho apprezzato molto lo spesso booklet interno, costellato di belle foto, dentro al quale troviamo una lunga prefazione all'album, dove Vincent scrive “... rimuovere me stesso dalla turbolenza in corso e puramente svanire...” riferendosi alla vita frenetica e alla sua dannosità, alla volontà di fuga che esiste in ognuno di noi, una emozione/sensazione che spesso, per molteplici motivi, dobbiamo sopprimere, abbandonare, rifiutare e alla fine finiamo per soccombere alla frenesia del tempo moderno. Detto questo, le premesse sono ottime per un ascolto intenso, liberatorio, frutto di un lungo periodo di isolamento e ricerca a contatto della natura, con elementi naturali, come si può ben notare dalle foto. Il sound è ultra moderno, figlio della trance più sofisticata, astratta e riflessiva, completata da ritmiche frastagliate, nude, un drum'n bass scarnificato, minimale, criptico. Una forma cinematica che trasporta, un confine labile tra malinconia, tristezza, realizzazione e orgoglio, la fatica di vedersi liberi, umani in un mondo (forse non più) umano. Questo è ciò che trasmette nel suo insieme 'Far & Off', un disco animato da composizioni nuove e brani usciti anche in vinile come "Cut", traccia fantastica che rievoca atmosfere care a David Lynch, sospesa tra realtà irreale e fuga da brivido attraverso il sogno, e che insieme ad "Alkaline", "The Unexpected Hours", forma una cortina fumogena contro la forza annientatrice di questa vita moderna, contro l'annullamento dei nostri reali desideri più intimi. Trance dal taglio gelido, dub destrutturato, elettronica minimal, peculiare ambient music super tecnologica (la versione digitale su bandcamp è disponibile a 24bits), shoegaze cristallino ed effimero, rumore bianco, drone music, un pizzico di Alva Noto e Fennesz. Il brano "Small Thing Matter" sembra un outtake di 'Quique' (1993) dei Seefeel risuonato con tecniche hi-fi di ultima generazione per un ascolto inebriante, rigenerante. Un lavoro notevole di grande sforzo compositivo, sentito e appassionato, coinvolgente che trasferisce notevole intensità al suo ascolto. Un inchino agli autori, lo meritano davvero! (Bob Stoner)

(Ultimae Records - 2016)
Voto: 90

https://ultimae.bandcamp.com/album/far-off-2

Musicformessier - The Pleiades

#PER CHI AMA: Ambient/Post Rock
È una notte fatta di luna che si accontenta del suo ponente. È una notte rotta dal sussurro del vento. È un buio che si fregia del satellite sempre vivo in un imbrunire primaverile. È una premessa che giunta l'ora, sposta l'attenzione sugli ungheresi Musicformessier (inequivocabile il tributo all'astronomo francese Charles Messier, anche per quanto riguarda i titoli dei brani che richiamano i nomi delle stelle che compongono l'ammasso stellare delle Pleiadi). Non vi chiedo alcuna cordata d'insieme. Piuttosto vi invito a disgregare i vostri ascolti condivisi. Ora. Se avrete ascoltato il mio consiglio, sarete pronti a salire su questo velivolo spaziale. L'intro siderale è affidato a "Pleione". La seconda traccia suona come miele che cola su pane caldo nero tostato. "Maia". Dopo avere mangiato, preparatevi a sentire i vostri sensi scossi in una centrifuga di arancia, limone, zenzero e disinteresse. Lasciate che la musica faccia da padrone. Mentre siete ancora predati dalle nuvole agrumate, lasciatevi trasformare in ritmo ripetuto e ipnotico. "Elettra". Occhi serrati. Sensi all'erta e graffi acustici. Il trapasso non è così lontano. "Merope" è vitale, suonata con dita che si sentono scorrere sul metallo della chitarra, è carnale senza chiedere piacere. Diversa è invece l'impronta di "Atlas". Subliminale. Secca. Virtuosa. Pretenziosa. Per lasciare alla vita gli intenti, aspetto "Taygeta", "Alcyone" e "Celeano". Tre pezzi, tre. Suadenti. Graffianti l'estro subliminale dell'anima. Intensamente strumentali. 'The Pleiades' chiude con il duo costituito dal post rock di "Asterope" e dall'enigmatica "Pleiadians". L'ultimo brano, ove le note di speranza sono ormai assenti. Chiudo gli occhi. Apro l'anima. Abbandono la terra. Lievito. Sublimo la musica trasformandola in suoni puri. Chiudo l'album senza accorgermi che ho veleggiato tra ossigeno e suono, immersa in un oblioso ambient celestiale che mai mi ha fatto pensare. Voto? Il più alto! (Silvia Comencini)

(UAE Records - 2015)
Voto: 90

venerdì 29 aprile 2016

Rince-Doigt – Plinth

#PER CHI AMA: Math/Indie Rock
Ep d’esordio per questo trio belga, che si muove in maniera piuttosto interessante tra spire math e post-rock, con una freschezza davvero difficile da trovare anche nei lavori di formazioni ben più scafate. Folgorati sulla via del DIY, i tre ragazzi di Bruxelles giungono a questa pubblicazion dopo aver condiviso il palco con altre band più o meno balsonate come Mutiny on Bounty o Delta Sleep. Tutte rigorsamente strumentali, queste sei tracce si muovono agili nel minutaggio, frizzanti nella costruzione e dimostrano idee valide e buone capacità di realizzarle. La formazione classicissima chitarra-basso-batteria va dritta al sodo, spogliata di qualsiasi orpello o lungaggine, dimostra di conoscere bene il linguaggio indie, e mentre flirta da lontano con il math senza concedere nulla a inutili tecnicismi, cede alle lusinghe del miglior rock strumentale, con un suono asciutto e nervoso. Sostanza più che forma, quello che colpisce, come è giusto che sia, è la struttura dei brani più che il loro impatto sonoro. Non si cercano soluzioni ad effetto o distorsioni esasperate, ma il risultato si raggiunge attraverso una qualità compositiva magari acerba ma già evidente. È sempre un buon segno quando, mettendo assieme pochi elementi semplici quali ritmiche sincopate, chitarre pensanti e linee di basso precise, si riescono ad ottenere brani piacevoli e freschi come "Latéral Coup" ed "Pied o Dinosaurs". Sia quando fanno il verso al math piú tecnico ("Giboulée de Cobras"), sia quando si rivolgono all’indie americano ("No-Win Situation"), i Rince-Doigt lo fanno con gusto, ironia e una levità di tocco che ispira simpatia. Quello che manca, ancora, è un po’ di spessore e profondità in più. Qualcosa che renda i pezzi memorabili e non solo piacevoli. Ma i tre giovani belgi hanno tutto il tempo per crescere anche sotto questo aspetto. (Mauro Catena)

Khasm - Fenris

#PER CHI AMA: Hardcore/Thrash Old School, primi Entombed
Diavolo, dodici miseri minuti di musica mi fanno girare le palle e non poco. Tanto dura infatti 'Fenris', EP di debutto dei transalpini Khasm. I quattro energumeni di Colmar ci sparano in faccia la loro mistura fatta di thrash old school e hardcore, sintetizzata al massimo nelle quattro tracce ivi contenute. I motori si accendono con il basso pulsante della title track e vanno a scaldarsi con le chitarre di supporto. Un grido, in stile primi Entombed, e si inizia con il sound sporco dei nostri che scomoda proprio l'ingrombrante figura della band svedese come principale fonte di influenza. Il drumming va giù dritto che è un piacere, picchiando come un forsennato. Avrete modo di apprezzarlo soprattutto nella successiva "No More Justice", dove un fabbro a confronto vi sembrerà un pivello. La svolta inaspettata sta però in un break mid-tempo che inchioda il rmartellante incedere dei nostri, ma che riprenderà da li a breve, con ritmiche dirette, semplici, senza fronzoli e che nulla hanno da chiedere a nessuno. Qui troverete solo l'essenza di un certo death/thrash anni '80-90 che avrà modo di iniziarvi ad un pogo feroce, da cui probabilmente farete fatica ad uscirne vivi. Spettrale è invece la terza "Nightwatch", song che vede la presenza come guest star, di Per Nilsson, ascia degli Scar Symmetry che qui si concede per un assolo chitarristico tagliente come la lama di un rasoio, mentre i nostri continuano imperterriti a schiumare rabbia e produrre riffoni di scuola primi Entombed, mentre le liriche evocano 'Il Trono di Spade' e l'inverno che incombe ("Winter is Coming" nel chorus). Siamo già ai titoli di coda con "Turmoil" (il cui chorus inequivocabile, continuerà a ricordarvi il titolo della song), l'ultima traccia che si assesta sui due minuti e mezzo di suoni e che ha modo di scomodare anche gli Slayer di 'Season in the Abyss', vi sembra poco? In attesa di ascoltare il full length, non posso altro che dire che le premesse sembrano davvero buone. (Francesco Scarci)

giovedì 28 aprile 2016

Steal the Universe - Ascend

#PER CHI AMA: Metalcore/Djent, Meshuggah, Tesseract
La Francia è diventata ormai un paradiso musicale. Da Dijon giungono oggi i metalcorers Steal the Universe con il loro debut EP, 'Ascend'. Il genere come avrete già capito è all'insegna di un metalcore stracarico di groove in ogni sua singola nota. Si parte alla grande con le ritmiche sincopate di "Breather", song che oltre ad avere il classico piglio ruffiano, trademark del genere, ha modo di sciorinare un breve ma efficace assolo di stampo heavy metal, per poi continuare ad attaccare con sonorità arrembanti, stop'n go, ritmiche serrate, frangenti acustici e growls accattivanti, tutto nell'arco di soli quattro minuti, un lampo se pensate al minutaggio di per sè, un'eternità per le innumerevoli evoluzioni che scorreranno nelle vostre orecchie. "Eternal" è l'atto secondo: le linee di chitarra sono ultra melodiche e costantemente in evoluzione tra cambi di tempo improvvisi, aperture classiche, vocioni e riff pestanti, il tutto sempre catalizzato da una elevata vena melodica e condensato in pochi spiccioli di minuti, tre e mezzo in questo caso. Anche qui l'assolo è da urlo. C'è più cupezza nelle note di "Illusions", song che continua sulla linea delle precedenti, strizzando l'occhiolino inevitabilmente a destra ai Meshuggah e a manca ai Tesseract, per i suoi poliritmici traccianti chitarristici. Quello che continua a stupirmi, oltre a una certa preparazione tecnica, è la fase solistica dell'ensemble transalpino con melodie che si piantano nella testa e non si scollano più, cosi come quella melodia iper ruffiana della successiva "Lonely". Sia ben chiaro che gli Steal the Universe non sono degli sfigati musicisti che suonano canzoncine per quindicenni, nelle note di 'Ascend' c'è davvero buona musica, magari la giudicherete derivativa, ma di idee ce ne sono parecchie e da sviluppare ulteriormente nell'immediato futuro. "Daylight" è roboante nel suo ingresso, con debordate ritmiche che martelleranno non poco lungo tutta la schizofrenica traccia, in cui a confermarsi sopra la media sono però questa volta gli ottimi vocalizzi di Benjamin Doussot. L'ultima "Introspection", come suggerisce anche il titolo, ha una vena più introspettiva, meditativa, quasi malinconica, pur mantenendo inalterato lo stile dei nostri e suggellando il tutto con un altro sorprendente assolo. Magari c'è da rivedere ancora qualcosa (forse il vocalist è troppo incalzante), ma se il buongiorno si vede dal mattino, gli Steal the Universe si trovano sulla strada giusta. (Francesco Scarci)