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venerdì 22 febbraio 2019

Crocell - Relics

#PER CHI AMA: Black/Death/Sludge
Poco meno di un anno fa, usciva per la Longlife Records il quinto album dei danesi Crocell, band che francamente ignoravo fino ad oggi, ma per cui ora ho tutto il tempo per recuperare la loro discografia. 'Relics' arriva a tre anni di distanza dal precedente 'Prophet's Breath' e ha a disposizione un armamentario di nove ulceranti brani per dissipare tutta la tumultuosa energia del quintetto di Aarhus, e vi assicuro che ce n'è parecchia. I nostri iniziano infatti a picchiare come forsennati già dall'iniziale "Black Death Redemption"; senza pensarci troppo sopra infatti, si lanciano in un'offensiva armata con un concentrato micidiale di black/death melodico (non troppo sia chiaro) che talvolta rallenta nel suo impetuoso incedere, assestandosi su un più melmoso mid-tempo, per poi ripartire più forte che mai, con un fare più ammiccante al punk-hardcore. Smaciullati dall'opening track, si passa a "Once Called Slaves", brano da cui è stato peraltro estratto il video promozionale del cd: qui l'aura è decisamente più oscura e pesante, ma ben presto i ritmi si faranno più dritti e incalzanti, con la voce di Asbjörn Steffensen che si pone a metà strada tra growl e scream. Più controllata, ma solo per una manciata di secondi iniziali, "Conqueror’s Tyranny", visto che poi si fanno largo violentissimi riffoni di chitarra sparati a tutta velocità tra hyper blast beat e brevi strappi solistici che interrompono quella furia che ci accompagnerà, come la più classica tempesta perfetta, fino al termine del brano. Onestamente non vedo grossi cedimenti nell'impenetrabile muro ritmico innalzato dai cinque danesi. Anche con "Tombworld" infatti, i nostri spaccano che è un piacere, profondendo violenza e dedizione tecnica come se non ci fosse un domani. Qui la melodia è riposta decisamente in soffitta e ben poco spazio è riservato anche alla possibilità di fischiettare una qualunque melodia sotto la doccia. Annichilito da cotanta rabbia, proseguo nell'ascolto di "Plague Altar" e qui, se qualcuno se lo stesse chiedendo, l'impressione è quella che il suono diventi ancor più ruvido. Non fosse altro per uno strano break sonoro che interrompe le intemperanze dell'ensemble danese, avrei alzato bandiera bianca già dopo 90 secondi. Non c'è stato tempo fino ad ora di prendere una boccata d'ossigeno e riposare il cervello dalla carneficina messa in atto dai Crocell: finalmente con "Last Dawn Duet", gli animi si placano un pochino e il sound si fa plumbeo e minaccioso, sprofondando quasi in una sorta di sludge death che ci mostra una versione inedita della band. Ma non pensiate che i cinque virgulti nordici stiano qui a coccollarvi, perchè le mazzate riprenderanno a breve. Se vi mancava la dose di melodia quotidiana, eccovi accontentati con "Mammon Rise", una sorta di tributo ai Dark Tranquillity. Sebbene la matrice chitarristica richiami talvolta anche il black scandinavo, il brano è cosi vario che nel finale riesce addirittura a rallentare paurosamente e mettere in scena un ottimo assolo, seppur sempre di breve durata. Ah, braccino corto. Con "Liar's Labyrinth", l'ensemble ha ancora tempo per dire la propria in fatto di violenza, lanciandosi in un ultimo assalto all'arma bianca prima della conclusiva e strumentale "World at Its End", l'ultimo atto di quiete semi-acustica volta a placare gli animi istigati alla più brutale delle violenze. 'Relics' è un disco ruvido, che certamente poco spazio lascia alla melodia e tanto meno alla sperimentazione. Tuttavia ha la grande capacità di condurci dall'inizio alla fine attraverso un turbolento percorso musicale che non lascia alcun scampo. (Francesco Scarci)

(Longlife Records - 2018)
Voto: 75

https://crocelldk.bandcamp.com/album/relics

domenica 16 dicembre 2018

The Subliminal - Relics

#PER CHI AMA: Metalcore, Gojira
Dall'Olanda con furore, mi verrebbe da dire. A crearci qualche fastidio sonoro oggi, ci pensano i The Subliminal (da non confondere con gli ecuadoreñi omonimi) e il loro EP d'esordio, 'Relics', che segue un paio di singoli rilasciati tra il 2016 e il 2017. Finalmente è arrivato il momento di dimostrare la pasta di cui sono fatti questi quattro ragazzi di Utrecht, spesso indicati come epigoni di Gojira o Lamb of God. E allora cerchiamo di dissipare un po' di nubi e dire che i cinque pezzi contenuti in questo disco, pur soffrendo di qualche influenza proveniente dalle band sopraccitate, e penso all'opening track "Lowlife", mostrano, rispetto agli originali, un sound marcatamente più cupo. Certo, molti avranno da obiettare che la proposta dell'ensemble olandese è ancora un po' acerba, ma mio nonno diceva che "nessuno nasce imparato". E allora facciamoli crescere questi quattro musicisti e noi accompagnamoli nella loro crescita personale, godendo delle melodie e del groove, che comunque permeano i loro brani. "Defiance" è più roboante dell'opener, complici le chitarrone trituraossa e il vocione in formato growl di Milan Snel, ben più efficace però - e dove peraltro lo preferisco - nel cantato pulito. I nostri martellano che è un piacere, trovano tuttavia modo di spezzare il loro incedere feroce con un bel break melodico accompagnato dalle vocals a tratti ruffiane, ma estremamente accattivanti del frontman, che vanno via via migliorando nel corso di un brano che gode di notevoli cambi di tempo. Più dritta, ma in realtà solo nella prima parte, la terza "Unforeseen Demise", visto che la band si dimostra più intrigante nella seconda metà del pezzo, laddove ad un sound in your face, privilegiano un bel po' di cambi di ritmo (qui quasi dal sapore deathcore), ma c'è ancora tempo per lavorare e smussare gli angoli. Come quelli che ritroviamo in "Sleepwalkers", un altro pugno nello stomaco, che parte direttissima per poi divenire decisamente più ritmata, manco fossero i Pantera di "Walk". E poi giù di nuovo di mazzate, per un lavoro dietro la batteria davvero notevole. Ribadisco però che l'act tulipano riesce meglio dove i tempi sono più ritmati e il suono più ricercato. In chiusura, "Final Ordeal" è un'altra cavalcata dal forte sapore thrash metal in stile Testament/Exodus, rotta da ambientazioni melodiche e da un bel chorus che funge da ciliegina sulla torta per un EP che merita un po' della vostra attenzione, non fosse altro che potreste scaricare un po' della rabbia che questi giorni di festa inevitabilmente generano. (Francesco Scarci)