#PER CHI AMA: Death/Doom, Novembre, My Dying Bride |
È diventata ormai pratica assai diffusa da parte delle band nostrane di affidarsi ai russi della Solitude Productions/BadMoodMan Music, quando si tratta di produrre dischi death doom. Dopo gli (Echo), i Rome in Monochrome e i Silvered (giusto per citarne alcuni), oggi è il turno dei romani Invernoir, che con 'The Void and the Unbearable Loss' si presentano al pubblico con il loro debut su lunga distanza, dopo l'ottimo EP di un paio d'anni fa intitolato 'Mourn'. Il quartetto capitolino, che vanta nelle proprie file membri di Ars Onirica e Black Therapy, ci offre otto tracce inseribili appunto in un contesto death doom. Ce lo conferma immediatamente l'apertura affidata alla title track ove, grazie ad un riffing piuttosto compassato di scuola britannica (My Dying Bride e primi Paradise Lost insegnano) e atmosfere autunnali, i nostri ci regalano una traccia strumentale che, pur durando sette minuti, sa più di intro che di un pezzo vero e proprio. Le cose si fanno decisamente più interessanti con "The Path", che prosegue una melodia che mi sembra di aver già captato nell'opening track, e che dà sfoggio della voce dei due cantanti (il primo un ibrido tra scream e growl, il secondo ovviamente in pulito) e ci consegna atmosfere di "novembrina" memoria, facendomi avvallare con un cenno affermativo della mia testa, la proposta dei nostri. Si, mi piacciono, questo è il significato, nonostante peraltro la loro musica non sprizzi originalità da tutti i pori. Perlomeno ci provano con grande convinzione e non posso che apprezzarli anche nelle porzioni più dilatate del brano, soprattutto laddove salta fuori un violino dal nulla (a cura di Margherita Musto) che mi fa letteralmente scappottare dalla sedia, inoculando nel disco una poetica che fin qui non avevo lontanamente pensato di trovare. Questo mi spinge a guardare i nostri da un punto di vista differente anche se l'incipit di "House of Debris" mi fa ripiombare nei miei pensieri iniziali. Evidentemente alla band servono comunque un paio di giri di orologio per rimettersi in carreggiata per farci saggiare il loro lato migliore, quello che prende le distanze dal death doom più scolastico e si lancia in sprazzi di una maggior fruibilità, una più ampia drammaticità e melodia, soprattutto dove il quartetto torna a rievocare la band di Carmelo Orlando e soci. Nella successiva "Suspended Alive" sono echi di 'Brave Murder Day' dei Katatonia ad emergere invece dalla musicalità sempre ricercatamente malinconica dei quattro musicisti italici. "Cast Away" suona nella sua prima parte come una sorta di ballad con tanto di atmosfere vellutate e voce pulita per poi dar sfogo ad uno screaming incazzato in un'alternanza musicale e vocale che vedrà i nostri più volte far ritorno a quella morbidezza iniziale. Esperimento ben riuscito. Ma la compagine nostrana non ha certo intenzione di fermarsi qui e in canna ha ancora qualche altro colpo ben riuscito che rendono questo lavoro un album di una certa rilevanza artistica: "The Burden" è il primo con la sua ottima ritmica, le harsh vocals del cantante ed una melodia di fondo sempre piacevole. Se "At Night" non mi fa proprio impazzire per la sua vena più orientata al funeral, mi lascio conquistare dalla seducente e conclusiva "The Loneliest", un pezzo che in alcuni tratti strizza l'occhiolino ai Saturnus, e che sancisce le qualità eccelse di una band da tenere assolutamente sotto stretta sorveglianza. (Francesco Scarci)
(BadMoodMan Music/Funere - 2020)
Voto: 75
Voto: 75