#PER CHI AMA: Funeral Doom |
Ascoltare ma soprattutto recensire 'Dýrtangle' (la cui origine si rifà alla cultura nordica che da quella buddista tibetana con il significato approssimativo di 'abbraccio rude della bestia') è un po' come scalare un K2 o un Everest, una proba impresa riservata solo a poche, pochissime persone. Ottanta minuti di suoni incuneati fondamentalmente in cinque infinite tracce (di cui la prima è un intro e la terza un intermezzo acustico) partorite dalla mente malata di Stigmatheist, il musicista ucraino che si cela dietro a questo moniker. "Wheel of Transmigration" è la prima vetta su cui inerpicarsi nella speranza di sopravvivere prima di raggiungerne la cima e da lì provare a scorgere (inutilmente) la luce all'orizzonte, e da lì salire ancor di più. Diciannove minuti di suoni che definire claustrofobici sembra quasi un eufemismo: la lentezza disarmante con cui si muove il sound ha un che di spaventoso, inasprito peraltro dai vocalizzi del frontman che spaziano tra il growling e il sussurrato, attraverso lugubri e tetri paesaggi di apocalittico funeral. Una pausa, l'etnica "The Onward Tide", giusto per prendere fiato e ricominciare l'ascesa che sembra divenire ancor più aspra con i 23 minuti abbondanti di "Awakening of Gshin-Rje, the Lord of Death". L'inizio della song ha degli ovvi richiami alla cultura orientale con quelle melodie meditative che potreste sentire in uno dei tempi collocati sulle pendici dell'Himalaya, dove a regnare c'è solo il suono del silenzio. Verso il sesto minuto, il brano sprofonda nelle viscere della terra con le sue roboanti e catacombali chitarre, con l'unica parvenza di cantato racchiusa in gorgoglii in sottofondo e dove la musica si muove ipnotica e catartica nella sua epifania spirituale, tra suoni di campane e mistiche melodie. Nella seconda metà, il brano trova addirittura modo di esplodere la propria furia inespressa in una violentissima parte di black al limite del cacofonico. Non è facile ve l'avevo detto, qualcuno si sarà già arreso o presto lo farà, soprattutto al cospetto di "Vitrification, Ineludible Meditation", una song immonda di quasi trenta minuti, in cui ancora a fondersi ci sono i delicati suoni provenienti da strumenti della cultura orientale (l'arpa, il flauto duduk e il tamburo damaru) con le intemperanze di un diabolico funeral doom, che vi condurranno in un viaggio suggestivo quanto mai impervio ai più. Sicuramente affascinanti, ma di sicuro gli Ego Depths resteranno inaccessibili proprio come le vette del K2 o dell'Everest. (Francesco Scarci)
(Dusktone - 2015)
Voto: 65