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sabato 29 agosto 2020

Black Hate - Altalith

#PER CHI AMA: Black Sperimentale, Deathspell Omega, Melechesh
Son passati ben otto anni da quando scrissi dei messicani Black Hate. Era il 2012 e il lavoro in questione 'Los Tres Mundos'. In mezzo, prima di questo 'Altalith', 'Through the Darkness', nel 2016, sempre per Dusktone. Il nuovo lavoro del quartetto di Città del Messico, ci conduce ancora una volta nei meandri di un sound oscuro e malato che da sempre contraddistingue i nostri. L'incipit, affidato alle percussioni di "The Gathering", sembra uno spaventoso rituale di morte azteco. Poco più di 90 secondi di suoni inquietanti che ci introducono alla follia sbilenca di "Hur/nin\ki-sag", caratterizzata da chitarre disarmoniche, ritmiche che rasentano il delirio e voci graffianti, il tutto deprivato però di una componente melodica. La song vede la partecipazione in veste di guest vocalist di Antithesis Ignis, compagno di merende negli Andramelech del frontman dei Black Hate B.G. Ikanunna; e nella song compare anche Antimo Buonanno (Hacavitz, Profanator tra gli altri) che dà il suo contributo a voci e cori. Un brevissimo intermezzo ambient e tocca a "Ir./Kalla", che ci conduce nell'antico e sotteraneo mondo mesopotamico con un sound finalmente ispirato, ove fa la sua apparizione il terzo ospite del disco, Paulina Suastegui, alla voce. La musica qui sembra ispirarsi ad un altro filone, quello mediorientale, con Melechesh e Arallu in testa, grazie all'utilizzo di quelle melodie orientaleggianti (corredate anche dalla soave voce femminile di Paulina) che caratterizzano il sound delle due band israeliane, senza comunque rinunciare alle tipiche sfuriate black. Un altro intermezzo e la strada verso la purificazione, secondo la tradizione sumera descritta in questo 'Altalith', fa tappa con "Nin\ ki /en-mhah", un brano stralunato, evocativo e cerimoniale, che miscela ancora una volta un black vorticoso con lontane contaminazioni progressive. L'ennesimo intermezzo tribale e si arriva a "Altalith-jamediu", un pezzo non semplicissimo da digerire che si muove su un mid-tempo schizzato che sembra chiamare in causa gli ultimi Deathspell Omega, soprattutto nella seconda parte dove il ritmo s'infervora notevolmente, muovendosi tra furiose accelerazioni e rallentamenti da incubo, per il più classico degli stop'n go. In chiusura “Bleed 17-09”, che vede alla voce il featuring di Kim Carlsson degli Hypothermia, sembra consegnarci una band completamente diversa da quanto ascoltato sin qui grazie ad un sound inizialmente più atmosferico, ma comunque slegato da quegli influssi mediorientali apprezzati in buona parte del disco. La lunga traccia nei suoi 10 minuti e più, vede un'alternanza di momenti più nervosi e votati al depressive black di Lifelover o Burzum, con altri decisamente più delicati e sofisticati che la eleggono comunque a mia song preferita del disco. In definitiva, 'Altalith' è un disco complesso, di difficile assimilazione che necessita di molteplici ascolti per essere goduto per quel che realmente è. Ci vuole pazienza e perseveranza ma alla fine verrete premiati da una prova dotata di una certa maturità artistica. (Francesco Scarci)
 
(Dusktone Records - 2020)
Voto: 70

martedì 18 settembre 2012

Black Hate - Los Tres Mundos

#PER CHI AMA: Black Ritualistico
Chi pensava che il black metal fosse morto, dovrà ricredersi, perché mai come in questo periodo mi sono capitate fra le mani cosi tante release provenienti dall’oscuro sottobosco, tutte peraltro di grande personalità ed intensità. I Black Hate non fanno eccezione e pur provenendo da un paese, che in termini musicali, non è proprio all’avanguardia, il Messico, sanno stupirmi e spingermi a ravvedermi su questa mia superficiale concezione. “Los Tres Mundos” è un album di notevole spessore, che combina elementi di black dedito alla fiamma più nera, con del ritualistic metal (e il mantra di “Ika-ni un-na” ne è l’emblema), il tutto avvolto da una cappa di suoni funerei, dove non mancano neppure le sfuriate black death (“Subconsciente”). “Los Tres Mundos” non è un lavoro affatto facile da ascoltare, assimilare e farsi piacere; deve essere ascoltato più volte per poterne cogliere la sua concezione musicale e quella lirica, con un concept album che esplora il tema della lotta dell’uomo contro il sentimento implacabile e pervasivo. E la musica cosi nervosa e disperata, cosi distante dagli stilemi classici europei o nord americani, si mostra per l’appunto alquanto personale, a partire dal bestiale cantato in lingua madre (abbastanza tipico per le band centro e sud americane), ad una ritmica che, pur presentandosi con la classica chitarra ronzante, riesce in taluni casi ad aprirsi in parti arpeggiate (ne “La Ultima Solución” mi sembra addirittura di sentire gli Opeth, cosi come pure in qualche intermezzo acustico), in altri casi il black dei nostri assume connotati suicidal black, come nella deprimente “Glorious Moments” (il mio pezzo preferito), che si mette in luce anche per un break centrale e un assolo quasi pink floydiano. Splendida. Si assoli signori, nell’album se ne ritrovano parecchi e non di matrice estrema, ma di scuola heavy metal, proprio come i vecchi Iron Maiden erano in grado di deliziarci nei loro meravigliosi dischi negli anni ’80. Davvero interessante questo lavoro; magari ci sarà ancora da smussare qualche angolo qua e là (tipo la prolissità dell’affascinante title track) per delineare maggiormente una propria personalità, ma i nostri sono sulla strada giusta, cosi come accadde un paio d’anni fa, agli svedesi Shining, probabilmente illuminati sulla “via di Damasco”, ottenendo una certa notorietà e successo. Davvero una bella scoperta questi Black Hate: decisamente continuerò a tenerli sotto stretta osservazione. Suggestivi. (Francesco Scarci)