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martedì 14 gennaio 2020

Dimholt - Epistēmē

#PER CHI AMA: Black, Kriegsmaschine, Immortal
Formatisi a Burgas nel lontano 2003, i bulgari Dimholt tornano con la loro seconda release in 17 anni. Il sound del quintetto ripercorre i dettami del black death scandinavo, ove una linea melodica alquanto tagliente ma assai melodica, arma la matrice ritmica dei nostri. "Death Comes First" è la perfetta song d'apertura di questo 'Epistēmē', tre minuti di funamboliche ritmiche intessute in perfetto stile Immortal con voci demoniache che calzano qui a pennello. In "Into Darker Serenity", la proposta della band perde in violenza ma acquisisce galloni di malvagità con divagazioni esoteriche che rendono più interessante e personale la musica dei cinque, anche laddove si torna a colpire con una certa veemenza. Le atmosfere sono oscure, nere come la pece direi, ricordano forse un che dei Mgła e dei Kriegsmaschine, il che è bene, bilanciando alla perfezione brutalità e melodia. In fatto di brutalità, credo che "Sacrilege" si batta alla grande per rappresentare uno dei momenti più feroci del cd, con un'aggressione tiratissima e malefica tra ritmiche serrate e screaming belluine. Quello che all'inizio pensavo un cd di scarso interesse, mi sta facendo non troppo lentamente ricredere sulle eccelse qualità degli strumentisti di quest'oggi. Ancora suggestioni più lente e decadenti con "The Martyr's Congregation", quasi a voler alternare pezzi incandescenti stracolmi di blast beat con altri mid-tempo più ragionati, malinconici e dal tocco quasi progressivo, con quella vena ritualistica sempre presente in sottofondo a sottolineare che i Dimholt non sono certo dei pivelli, soprattutto quando la band prova ad abbracciare sonorità più sghembe e disarmoniche che evocano un che di Satyricon, Enslaved e pure Ved Buens Ende. Si torna alla carica con "Nether", una polveriera in fatto di malignità, che ha il merito di sottolineare l'abilità dei Dimholt nel gestire con una certa disinvoltura i cambi di tempo, con rallentamenti repentini tra stoccate ritmiche e tirate di freno a mano. Un delicato arpeggio di chitarra apre "The Fall", ma ne rappresenta la classica quiete prima della tempesta sonora scatenata dall'entropica sezione ritmica che prosegue senza soluzione di continuità anche nella spregiudicata "The Hollow Men", dove lo screaming ferale del frontman diviene ancor più convincente. Nella speranza di non dover attendere un altro lustro per ascoltare qualcosa di nuovo dei Dimholt, vi invito a proseguire nell'ascolto delle rimanenti tracce. A rapporto mancano infatti "Scars of Seclusion", dai forti ammiccamenti alla Deathspell Omega, la corrosiva “Reliquae” (la song più lunga dell'album) e “Aletheia", tre marcescenti song che contribuiscono ad inferire il definitivo colpo di grazia all'ascoltatore con quel loro giusto mix tra black insano, spruzzatine prog e atmosfere infernali. Cercate un difetto a 'Epistēmē'? Io direi la mancanza di veri e propri assoli, ma il rischio sarebbe stato di avere tra le mani un disco bomba, ossia quello che auspico di ascoltare nella prossima release targata Dimholt. (Francesco Scarci)