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lunedì 10 giugno 2019

Laetitia in Holocaust - Fauci tra Fauci

#PER CHI AMA: Black Sperimentale, Blut Aus Nord, Janvs
Era la fine del 2011 quando recensii 'Rotten Light' su queste stesse pagine ed intervistai i Laetitia in Holocaust negli allora studi di Radio Popolare Verona. Da allora un lungo silenzio, che mi ha portato più volte a pensare che il misterioso duo di Modena, si fosse sciolto. Poi ecco che spunta il coniglio bianco dal cilindro del mago e come il classico fulmine a ciel sereno, i nostri tornano con un lavoro nuovo di zecca, 'Fauci tra Fauci', fuori per la Third I Rex, che ha avuto il grande merito di credere in questi due ottimi musicisti. Diciamo subito che il sound dei nostri non è cambiato poi di molto rispetto a quel disco che tanto mi aveva impressionato, sebbene siano trascorsi quasi otto anni. I due misantropi N. e S., continuano nella loro proposizione di un black scevro di ogni riferimento e contaminazione, come se il tempo si fosse fermato a quel lontano 2011 e che nessuno abbia nel frattempo partorito idee vicine a quelle schizoidi della compagine emiliana. E quindi ecco che gli sperimentalismi ritmici dei nostri tornano a frastornarci nell'opener "Diva Fortuna", grazie a quel riffing che io trovo inimitabile, forsennato, straniante, sul quale poi poggia il cantato grattato di S.. "Through the Eyes of Argo" ha un attacco più punk oriented, anche se poi la traccia si muove lungo le coordinante di un black che rievoca per certi versi Janvs e Spite Extreme Wing, e dove sottolineerei l'ottimo lavoro di basso di N. in sottofondo, mantenendo comunque intatta l'originalità, da sempre marchio di fabbrica del duo modenese. "In Cruelty and Joy" è una song più vicina a quanto fatto dai nostri in passato con il classico rincorrersi delle chitarre tra improvvisi cambi di tempo, ritmiche convulse e ammorbanti, che crescono dentro come un virus mortale. La cosa che mi stupisce dopo tutto questo tempo è l'osservare che la band, pur non brillando per un largo sfoggio di melodie, ha la capacità di convogliare nelle proprie ritmiche, un fluido immaginifico che ha il potere di attrarre e sedurre coloro che si mettono all'ascolto della musica dei Laetitia in Holocaust. E quindi nel caos primigenio della terza traccia, io abbandono i miei sensi e mi lascio annegare in una furia iconoclasta avanguardista sperimental-esticazzi mi verrebbe da aggiungere. Questo perché i due sovversivi musicisti fanno ancora una volta quel diavolo che gli pare, sbattendosene di canoni e stilemi vari del genere e sbattendoci in faccia un suono privo di ogni tipo di rigidità strutturale. Figurarsi poi quando mi ritrovo ad ascoltare il pianoforte di "Exile" (opera di Dark Shaman) con le clean vocals a supporto, che cosa posso pensare? Che siano dei fottuti geni o che ci stiano prendendo tutti per il culo, fatto sta che i Laetitia se ne fottono di quello che posso pensare io o chiunque altro e vanno dritti per la loro strada fino a "The Elders Know". Un brano questo, in cui i chiaroscuri si fondono con la distorsione delle chitarre, con il suono che rimane sempre in bilico tra vertiginose e scoscese accelerazioni e frangenti più introspettivi, che confondono le idee non poco, cosa che accade anche durante l'ascolto della successiva "The Foot That Submits", ove emergono le influenze alla Ved Buens Ende. Mi soffermerei invece sulla lunga ed epica "Gods of the Swarm", nove minuti e mezzo di accelerazioni indemoniate guidate dalle demoniache vocals e dalle chitarre tanto semplici quanto efficaci, elaborate dal duo italico, frammentate da angoscianti rallentamenti che regalano ampio spazio strumentale al graditissimo comeback discografico dei Laetitia in Holocaust. Speriamo ora non dover aspettare un altro paio di lustri per sentir parlare di questi due stralunati musicisti. (Francesco Scarci)