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venerdì 7 giugno 2019

Sons Of Morpheus - The Wooden House Session

#PER CHI AMA: Psych Stoner Rock/Blues, primi Queens of the Stone Age
Se c’è una cosa che la musica insegna, è a rompere i pregiudizi: lo stereotipo che vuole gli Svizzeri freddi e (mi si passi il termine) poco rock, crolla miseramente di fronte a 'The Wooden House Session', secondo full-length dei Sons Of Morpheus dopo l’ottimo 'Nemesis' del 2017 ed uno split con i Samavayo dello scorso anno. Il trio, dopo un lungo tour di spalla ai Karma To Burn, si chiude in un locale e registra sei tracce a metà tra live e studio, che trasudano stoner rock e sludge, Queens of the Stone Age e Black Sabbath, New Orleans e film western (c’è un cowboy in copertina!), Jimi Hendrix e i Pride&Glory. Scordatevi il sound metallico dei Kyuss o (dio ce ne scampi!) la deriva pop degli ultimi lavori di Josh Homme e soci: in 'The Wooden House Session' i piatti sono lunghi e riverberati, le chitarre ruvide e rumorosissime, il basso grezzo, la voce sa di blues, whiskey e sigarette. Quintali di fuzz colano fuori dagli amplificatori, ed un sottile gusto lo-fi nella produzione rende tutto ancora più credibile, caldo, paludoso. I cori qua e là (“Sphere”, “Loner”) ricordano i primi lavori dei Queens of the Stone Age; ma c’è spazio per jam gonfie di psichedelia (“Paranoid Reptiloid”), colonne sonore alla Sergio Leone (“Doomed Cowboy”), rock grezzo e senza fronzoli (“Nowhere To Go”), fino alla lunghissima “Slave” (oltre 13 minuti, laddove le altre tracce raramente superano i 4.30) che si erge almeno una spanna sopra il resto: una lunga cavalcata rock blues costruita su un riff che fischietterete per giorni interi, che accelera e rallenta, si ferma e riparte, apre a soli in slide e lunghissime parti strumentali eteree e trasognanti — vi sfido a non muovere la testa per l’intero pezzo. Sellate il cavallo, indossate gli stivali migliori, si parte. (Stefano Torregrossa)