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domenica 11 giugno 2023

Klidas - No Harmony

#PER CHI AMA: Progressive Jazz Rock
Una band italiana alla corte della Bird's Robe Records? Da non crederci. Eppure i marchigiani Klidas (parola ceca che sta per gigante di silenzio) ci sono riusciti ed eccoli quindi approdare alla label australiana con questo 'No Harmony', album che combina un rock sperimentale con stilettate progressive e fughe jazz, il tutto inebriato da fragranze avanguardistiche. Questo almeno si evince dalle note iniziali di "Shores", un pezzo di un certo spessore strumentale che mi fa storcere il naso per la sola mancanza di un vocalist che avrebbe deliziato i palati dei più pretenziosi,  incluso il sottoscritto. E poco importa se musicalmente il sestetto nostrano ci diletta con splendidi tunnel sonori dove sax, chitarre, synth e percussioni sembrano avvolgerci in un delicato abbraccio, qui avrei desiderato una voce a solleticare i miei sensi e a rimpinguare quelle sonorità oniriche che si palesano sul finire del pezzo. "Shine" giunge però in mio aiuto con la comparsa finalmente di un vocalist, mentre la musica continua su sonorità similari alla traccia d'apertura, evidenziando peraltro qualche similitudine con gli In Tormentata Quiete più sperimentali e progressivi. Ai nostri piace comunque dare largo spazio alla strumentalità, spesso raffinata, che si concede anche il lusso di qualche porzione atmosferica che fa da contraltare a momenti più tosti, in cui la pesantezza delle chitarre, forse in taluni casi troppo caotiche, viene stemperata dall'azione del sax. Si prosegue con "Not to Dissect", e un incipit ubriacante che mostra come ingredienti di base ancora jazz e rock, con quest'ultimo a continuare in quell'opera di tirarci schiaffoni ben assestati in pieno volto, peraltro sempre ben assistito da un sax dai tratti invasati. "Arrival" sembra essere la quiete prima della tempesta: un percussionismo garbato che lentamente prova ad accelerare i ritmi, senza mai prendere realmente il volo, anzi declinato verso atmosfere più rarefatte laddove le vocals s'infiltrato nella matrice musicale. Poi largo spazio ai virtuosismi, agli assoli di sax, al manifestarsi di una spoken word di una gentil donzella giapponese che parla di un percorso d'ascensione ad una dimensione superiore. Questo almeno quello che mi ha decifrato il buon vecchio e utilissimo google translator. Con "Circular", si pesta duro sull'acceleratore grazie ad un caleidoscopico jazz rock che per certi versi mi ha evocato i The Mars Volta, ma i nostri sono abili musicisti, in grado quindi di alterare con una certa disinvoltura il flusso sonoro, spezzettandolo ora con break atmosferici o con accelerazioni progressive e ancora con dirompenti scariche elettriche. A chiudere l'opera arriva la psichedelica "The Trees are in Misery", con i suoi caustici giri di chitarra, repentini cambi di tempo, un ottimo lavoro alle tastiere e molto molto altro, per cui vi lascio il compito di esplorarne ulteriori contenuti. Ben fatto. (Francesco Scarci)

(Bird's Robe Records - 2023)
Voto: 74

https://klidas.bandcamp.com/album/no-harmony

mercoledì 7 giugno 2023

Lethvm - Winterreise

#PER CHI AMA: Post Metal/Sludge
La scena post metal belga sembra godere di ottima salute. Dopo gli Amenra e gli Stake, ecco farsi strada i Lethvm con il terzo album della loro discografia, 'Winterreise'. L'album, consta di sei tracce, e si prefigge di mettere in musica sentimenti quali rabbia, malinconia e solitudine, articolati utilizzando poesie del XIX secolo scritte da Wilhelm Müller e peraltro già musicate da Franz Schubert nel 1827 nel ciclo di composizioni 'Viaggio d'inverno'. Il disco ha un incedere fin dai primi minuti parecchio saturnino, in un'intelaiatura metallica che comunque chiama in causa mostri sacri, Neurosis su tutti, senza tralasciare gli Amenra stessi degli esordi. L'iniziale "Blank" lo certifica appieno con quel suo sludge doom dai tratti quasi ossessivi che per i primi 60 secondi incendiano l'aria, prima di lasciare il posto ad un sound più ritualistico, quasi lisergico, con le vocals di Vincent Dessard, anche in chiave pulita, in un incedere cadenzato a dir poco inquietante e sul finale quasi malvagio, complice il growling nefasto del frontman. La successiva "Pretence" ha un incipit decisamente più etereo, cosa che mi ha evocato peraltro l'esplorazioni musicali dei nostrani At the Soundawn ai tempi di 'Shifting'. La voce del frontman qui tocca apici di pulizia che potrebbero addirittura ricordare Dave Gahan, prima di spostarsi in territori più animaleschi, al pari della musica, che sprofonda in lidi infernali in bilico tra post metal e funeral doom, in una traccia dall'andatura comunque flemmatica, ma al contempo estremamente melodica, che ammicca nel finale, anche ai Cult of Luna. Con "Torrents", la malinconia sembra palesarsi nei giri di chitarra e nei vocalizzi puliti del cantante. Poi spazio al classico scardinante chitarrismo post metal e alle vocals corrosive del bravo Vincent, ma un certo avanguardismo sonoro s'incunea nella matrice sonora dei Lethvm a creare un subbuglio sonico, che terrei più presente in future produzioni. L'asprezza delle ritmiche, accompagnate ad una voce sempre più tagliente (occhio però ai continui inserimenti della componente clean), chiudono un brano davvero particolare. Nella successiva "Carved" torna prepotente l'influsso dei Cult of Luna nella compattezza ritmica, cosi come pure nella splenica componente vocale. Ma la proposta dai Lethvm ha il pregio di offrire un certo vigore emozionale nelle note atmosferiche di un break da brividi, da cui si dipanano successivamente splendide melodie corredate da ispiratissime vocals, in grado di mettere d'accordo chiunque ami i gods svedesi o i conterranei Amenra. Pezzo sublime. Un po' meno dicasi di "Mournful", song che vede fortunamente l'ospitata delle vellutate corde vocali di Elena Lacroix al microfono, in una traccia davvero ostica da digerire, precariamente in bilico tra post e sludge, stemperata appunto dagli eterei vocalizzi della vocalist che mi ha per certi versi evocato i The 3rd and the Mortal degli esordi. La conclusiva "Night", brano da cui è stato peraltro estratto un video visionario, chiude con catartica emozionalità un disco convincente sotto tutti i punti di vista, che lascia intravedere ampi margini di crescita per il terzetto belga, sulla scia di quanto già fatto da Magnus Lindberg e soci. (Francesco Scarci)

(Dunk! Records - 2023)
Voto: 77

https://lethvm.bandcamp.com/album/winterreise 

Amaran - A World Depraved

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Power/Melo Death
Da Stoccolma…niente di nuovo. Gli Amaran sono una delle tante band di power death svedese. Buoni musicisti si, ma niente da apportare alla scena ormai satura. Alla voce (non corista, bensì lead vocal!) una tale Johanna De Pierre assoldata dalla mente degli Amaran e Kari che tutto sommato non stona troppo con il resto. Potrebbe essere anche un buon esperimento. Il fatto è che tutto è spompato; la voce non fa altro che accodarsi alla musica. Queste songs, in alcuni punti, mi ricordano gli Alas, pur ammettendo una differenza dal punto di vista tecnico e vocale. Appunto, in 'A World Depraved' la base musicale è composta da un death metal dove prevalgono trame di chitarra abbastanza melodiche e ben arrangiate. Forse sono un po’ secche per quanto riguarda il suono, anche nelle parti pulite. Il basso in compenso è molto più pompato sia nelle parti pulite che distorte (vedi traccia sei, "Imperfect"). Buona anche la batteria, ben suonata e varia; sempre presente anche nelle parti più mosce, è quella che alla fine tiene in piedi la baracca. In conclusione, per quanto tecnicamente capaci e fantasiosi, ai nostri Amaran, manca quel tocco di cattiveria, di rabbia che potrebbe esprimere meglio i loro concepts.

Lumsk – Fremmende Toner

#PER CHI AMA: Folk Prog Rock
I Lumsk sono una band norvegese che ha sempre volato sopra le aspettative dell'ascoltatore comune, emancipando e schivando in maniera originale, la pura etichetta del genere folk metal, mischiando musica tradizionale con strumenti classici, avanguardia e progressive rock con l'inflazionata commistione tra musica folk ed oscuro metal estremo. La grazia che caratterizzava il precedente 'Det Vilde Kor', rimane un punto fermo in comune con il nuovo 'Fremmende Toner', oltre al fatto che entrambi sono stati concepiti per musicare opere di poesia. Il primo su scritti di Knut Hamsun, mentre il nuovo, si basa sulla raccolta di poesie di autori vari, tra cui Nietzsche, Goethe, Swinburne, tradotte da Andrè Bjerke. Nel nuovo disco, l'intimismo di 'Det Vilde Kor' si fonde con alcune delle strutture del loro album 'Troll' del 2005 (penso ad "Avskjed"), e possiamo anche dire che, se da una parte la band abbandona il duro stampo metal, dall'altra si protrae a mani tese verso un rock progressivo magistrale, mai troppo eccessivo e ben integrato in un folk di incantevole fattura. Folk di matrice scandinava o di influenza celtica, poco importa, visto il labile confine musicale qui manifestato, e posso scommettere che di fronte a questo nuovo gioiellino dei Lumsk, gli ascoltatori più accorti faranno poca fatica ad apprezzarne le sfumature, e coloro che hanno amato a suo tempo il capolavoro 'Barndomens Stigar' dei Kultivator oppure il grande Alan Stivell, magari quello progressivo di 'Before Landing', quanto i The 3rd and the Mortal di 'Memoirs' o 'Fools Give Birth to Angels' delle Pooka, con guizzi di luce alla Comus e quel tanto di malinconia pacata, presa in prestito dagli ultimi lavori degli Anathema ("Das Tote Kind"), adoreranno scoprire la vasta platea sonora su cui poggiano le basi di questo disco. Mari Klingen ha una voce fatata (ascoltatela poderosa in "Fiolen") e come nuova entrata nella band, riesce a stupire in ogni pezzo, per carisma, colore ed estensione vocale, mentre la nuova chitarra di Roar Grindheim dona calore alle sculture soniche progressive, a volte sfiorando anche lidi al limite del pop sognante ed incantato, con una delicatezza e una sofisticata capacità compositiva che stupirà i fans della prima ora. Armonioso ed arioso, si può anche notare una lieve familiarità con il sound romantico ed epico dei Meatloaf, nel duetto tra Klinghen e Mathias R. Samuelsen, autore ed editore e qui in veste di cantante, dal tono solenne e molto teatrale. Il disco scivola in maniera fluida, anche se richiede più ascolti accurati per apprezzarne le doti nascoste ed anche qualche angolo sonoro più cupo e teso. Il disco è uscito per la Dark Essence Records, è ben prodotto e vanta una sonorità vicina alle più moderne release folk e a suo modo, è anche vicino alle geniali aperture di Neal Morse. Il disco è da vedere a due facce visto che, le prime sei canzoni sono tradotte dall'originale in lingua madre, mentre le altre sei non sono in norvegese ma fedeli alla lingua originale del paese di provenienza degli autori degli scritti, musicate tutte in maniera diversa nonostante il testo sia quello della stessa poesia. Per dirla con le parole dei Lumsk: "L’idea del concept non era solo fare la stessa canzone due volte, piuttosto di mettere le canzoni allo specchio l’un l’altra, in un certo senso, cercando di ricreare l’idea di una traduzione o nuova creazione..." Un concept a tutti gli effetti riuscito, pieno di pathos e di grande maturità artistica, che colloca i Lumsk in una coordinata astrale diversa e unica nel panorama internazionale del folk prog rock, una band che fonde perfettamente stili diversi in maniera originale, mantenendo intatto il sentimento che guida il folklore della musica tradizionale nordica e lo spirito indomito del rock progressivo senza mai perdere l'attitudine metal che li ha visti nascere. I fans di questo progetto non rimarranno delusi in alcun modo dopo l'ascolto di 'Fremmede Toner', e l'attesa di ben 16 anni dal loro ultimo lavoro sarà ben ripagata. Ascolto dovuto e necessario. (Bob Stoner)

(Dark Essence Records - 2023)
Voto: 88

https://lumsk.bandcamp.com/album/fremmede-toner

Underhate - Defleshed To Build The Net

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Brutal Death
Brutal death che spacca di brutto, ben suonato e, soprattutto, che cerca una via personale alla truculenza sonora. Va subito detto che oltre alle influenze classiche (Cannibal Corpse, Suffocation) e moderne (Nile su tutti) del genere specifico, i nostri lasciano trasparire la loro dedizione ad altri modelli quali il grind ma più di ogni altro quello dei maestri Death, il cui influsso s'insinua in varie parti della demo. Svetta a mio avviso una mostruosa prova del lead vocalist (ben al di sopra del piatto grufolare di molti altri), che grazie anche ai backing-conati del chitarrista (peraltro davvero bravo) tesse linee vocali originali ed aggressive. Grandiosa (anche nel titolo) la seconda traccia "Net Human Totem", cosi come pure "Marburg’s Advent". Altro pregio del demo sta nei testi che, partendo comunque da suggestioni tipicamente brutal, riescono ad evitarci il solito polpettone da macelleria. Se ancora non vi siete convinti a cercarvi gli Underhate, sappiate che il demo dura la bellezza di 42 minuti (!!!!), alla faccia delle etichette che ci spacciano per full-length (con il relativo prezzo) dischetti da 26 o 27 minuti!

lunedì 5 giugno 2023

THËM - Frames

#PER CHI AMA: Post Hardcore
Belli ruvidi e ignoranti, con alle spalle liriche interessanti che si esplicano attraverso le nove tracce contenute in questo 'Frames', delle cornici che sembrano raccontare le perdite, i disagi personali, i fallimenti, le analisi dei percorsi di vita di questa nuova realtà italica che risponde al nome di THËM, band in giro solamente dall'inverno 2022 e che arriva alla genesi del debut album grazie alla Overdub Recordings. Poi spazio alla musica, a quel basso/batteria che apre in modo dirompente "Blinded", alle urla incisive del frontman, ad una musicalità che rivela una certa malinconia di fondo, un post rock che si unisce in modo accattivante al post hardcore. Bomba. Mi hanno già conquistato i tre musicisti nostrani, chitarra/voce, basso e batteria, un'essenzialità disarmante per quanto incisiva in quel flusso sonoro che prosegue nell'irrequietudine di "Smart Pressure" o nella tensione sospesa di "Restless", un pezzo che sembra aggiungere anche una componente post punk alla proposta dei THËM, una cavalcata inquietante in grado di arrecare un enorme sensazione d'ansia che si interrompe improvvisamente, cedendo il passo alla più meditabonda "Purgatory", più incellofanata nella sua esplosività, ma non per questo meno incisiva. "Fragments" è una breve song che poggia su una ritmica serrata, caustica, essenziale, uno schiaffeggiare secco giusto per la durata di un paio di minuti. A placare gli animi arriva "Sober", una traccia di pink floydiana memoria nelle partiture più atmosferiche ma anche per un cantato che potrebbe evocare quello del vecchio e immortale Roger Waters, ultimamente sempre più sulle prime pagine dei giornali internazionali. E allora, in una sorta di tributo alla band inglese, la traccia si muove con fare magnetico in meandri oscuri che potrebbero essere assimilabili a quelli della psiche umana. Più garage punk invece la successiva "Ghost of Myself", non proprio la mia canzone preferita dell'album, ma qualche difetto era pure lecito trovarlo a una band all'esordio. Ancora pulsazioni inquiete emergono dall'iniziale tessuto sonoro di "Strong" che ci delizia con un sound cupo e minaccioso, espressione di un pessimismo cosmico che sembra dilagare nei solchi di 'Frames'. In chiusura, la riflessività di "Time" sembra sancire quella specie di rassegnazione splenica che permea l'album a quanto sbagliato in passato ma con un barlume di speranza volto a fare meglio in un futuro che rimane comunque pieno di incertezza. (Francesco Scarci)

(Overdub Recordings - 2023)
Voto: 73

https://thembnd.bandcamp.com/album/frames

Antechristus - Lands Of Ancestral Battles

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Black Old School
Molto "beheritiani" i francesi Antechristus. Grezzi fin dal primo secondo della registrazione, una registrazione ultra low-fi, ma carica di energia nera, come si ascoltava in tante cose degli anni passati. Musicalmente, come ho detto, i Beherit sono sicuramente molto vicini a questa band, ma è anche possibile ritrovare riferimenti molto più vecchi come Destruction o Sodom. Sicuramente non è una band che ha dell'incredibile perchè di pecche ce ne sono, una su tutte una voce che non riesce a fondersi con il resto della musica e che è registrata ad un volume veramente basso. Aggiungiamo poi una chitarra che a volte suona troppo "zanzarosa". Tutto concorre a creare un titolo che puzza molto di old-school; ora a voi decidere se è il caso di procurarvi 'Lands Of Ancestral Battles' (impresa titanica/ndr) per ascoltare qualcosa che abbia il fascino degli "early years" del black metal oppure procurarvi qualche altro titolo che abbia visto la luce in quel periodo.

Seven Impale - Summit

#PER CHI AMA: Prog/Jazz Rock
Dopo sette anni tornano i Seven Impale, ensemble norvegese che conta tra le proprie fila, tra gli altri, il tastierista Håkon Vinje degli Enslaved. La band di Bergen, guidata da Stian Økland (uno che si è laureato alla Grieg Academy come cantante lirico), sforna questo 'Summit', un lavoro di sole quattro lunghissime tracce che ci mostrano la galassia multisensoriale dei nostri incredibili musicisti. Si parte dalle suggestioni jazz prog rock rumoristiche dell'iniziale "Hunter", song che oltre a stabilire l'altissimo livello della barra tecnico-compositiva del sestetto, mostra il grado di sperimentazione a cui dovremo sottoporci durante l'ascolto di questo complicatissimo lavoro, che di certo non vincerà il premio come album più semplice da ascoltare, ma che comunque mostra come sia ancora possibile trovare gente in grado di proporre musica, per quanto ostica, assai originale. E i nostri non si tirano certo indietro, proponendo un sound comunque robusto, sfumato dal sax impazzito di Benjamin Mekki Widerøe (Potmos Hetoimos), da tocchi di pianoforte e da una dose di insana follia che troverà il suo acme per intensità, in un finale sconcertante. La seconda "Hydra" sembra già più morbida, ma non lasciatevi confondere, vista l'abilità dei Seven Impale nel combinare cinematiche porzioni prog con il jazz, con tanto di voci spaziali, e divagazioni space rock che potrebbero evocare i Van Der Graaf Generator o i King Crimson, in una versione decisamente più al passo con i tempi. Ancora straordinaria è l'efficacia del sax nel ideare atmosfere non di questo mondo, cosi come pure la fuga solistica finale a rendere il tutto ancor più ubriacante. Ecco arrivare poi "Ikaros", e i nostri cambiano ancora le carte in tavola con un sound più vicino all'hard rock scuola Motorpsycho, per una cavalcata roboante che vedrà poi una serie di fughe jazzistiche prender forma nel corso dei suoi nove minuti e mezzo, con la voce del frontman sempre magnetica e carismatica a districarsi tra suoni che diverranno via via più cupi e psichedelici. In chiusura "Sisyphus", un pezzo che probabilmente vede convergere tutte le intricatissime idee degli scandinavi verso mondi lontani. Eleganti ma stravaganti vocalizzi, turbolenze sonore, giochi ipnotici delle tastiere, atmosfere epiche e soffuse, vorticosi sbandamenti jazz e dirompenti ritmiche ne fanno la traccia più stralunata e complessa del lotto, che sottolinea alla fine, quanto sia reale la follia che permea questo esuberante ed elaborato 'Summit', un album come minimo da ascoltare, per non dire da comprare a scatola chiusa. (Francesco Scarci)

(Karisma Records - 2023)
Voto: 80

https://sevenimpale.bandcamp.com/album/summit