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lunedì 25 aprile 2022

Carphatian Forest - Strange Old Brew

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Raw Black
I norvegesi Carpathian Forest ci avevano sorpreso positivamente con l’uscita di 'Black Shining Leather' perché ricomparsi dopo molto silenzio. Dopo circa un anno dal precedente e succitato full-length, i nostri si ripresenteranno in grande forma, pieni di sofferenza da infondere ad ogni ascoltatore. L’album è una perfetta via di mezzo tra 'Black…' e il materiale passato della band, quindi con parti di black funeereo impreziosito da sonorità thrash, con in evidenza il basso lancinante di Tchort, la chitarra a creare riff marci e secchi, e la voce di Nattefrost graffiante ed incisiva. Altre parti invece sono più atmosferiche e lente dove le tastiere si snodano in trame lugubri e depressive. All’interno del cd troviamo "Return of the Freezing Winds”, brano già edito in precedenza ed ora rifatto. Vi è anche un pezzo tratto dall'immortale film di Buttgereit 'Nekromantic', riproposto in modo egregio e con l’introduzione di piano mortifera e decadente.

(Avantgarde Music - 2000)
Voto: 75

https://www.facebook.com/carpathianforest

Graveyard - Innocence & Decadence

#PER CHI AMA: Hard Rock
Portentosamente legati al peston-rock di matrice doors/zeppeliniana, coadiuvati da qualche piccola astuzia (l'utilizzo john-bonz-esco dell'hi-hat e la saturazione lo-fi del segnale vocale, efficace ma a tratti fin troppo vintage), gli svedesi Graveyard pubblicano l'album finora più stondato e distante dal nostalgic-only alla Witchcraft o alla Rival Sons, giusto per dirne due a caso. Il suono galoppa ovunque, persino nei momenti gentilmente alley-soul di "Too Much is Not Enough" - ma i Vintage Trouble ad esempio percorrono gli stessi vicoli sonori con tutt'altra disinvoltura - nello psych-oyster-cult di "Can't Walk Out" con tanto di sospiri horror cari ai primi Pink Floyd, o nel motorsurf alla Lemmy Kilmister in braghette da bagno di "From a Hole in the Wall", persino nella autodissolvente "Stay for a Song", se avete fantasia. Tra il solido e il monolitico il lavoro della sezione ritmica, irresistibilmente soniche le chitarre, calda e graffiante la voce di un Joakim Nilsson che buttava giù blåbärshot fin dai tempi dell'asilo. Ma l'emozione? (Alberto Calorosi)

(Nuclear Blast - 2015)
Voto: 70

https://www.facebook.com/graveyardofficial

Arabs in Aspic - Victim of Your Father's Agony

#PER CHI AMA: Prog Rock
Profusione di lingue di allodola in salamoia e orde di elettroni in transito sulla cinghia di Van der Graaf ("God Requires Insanity" vs. "Killers"; l'incipit di "You Can Prove Them Wrong" e parecchio altro), come del resto era opportuno aspettarsi, il tutto rimpolpato da immancabili uriah-tastieroni (una straordinaria "One" con tanto di divagazioni psych + coretti senz'altro mutuati dagli ingombranti concittadini Motorpsycho). Altrove riferimenti più obliqui: embrioni dei Ruphus annidati in "Tv 3" e sensazioni prossime a certo space teutonico (gli Eloy borboglianti nella title track "Victim of Your Father's Agony" e quelli funkettoni di "The Turk and the Italian Restaurant"). Nel complesso, il quarto album degli Arabs in Aspic (in realtà il terzo degli Arabs in Aspic II), differisce dal precedente 'Pictures in a Dream' non nelle sonorità e nei riferimenti, entrambi ben consolidati dal giorno in cui fu deciso il nome della band, ma piuttosto per via di un songwriting forse più misurato e consapevole. Una caratteristica non sempre positiva all'interno dell'ipercromatico universo del progressive rock. (Alberto Calorosi)

(Black Widow - 2015)
Voto: 70

https://www.arabsinaspic.org/

Remote - The Gift

#PER CHI AMA: Stoner/Doom
Sentivo la mancanza di un po' di doom, quello claustrofobico, un po' psichedelico e un po' acido, quasi quanto tutto quel regno vegetale dipinto nell'artwork del cd dei russi Remote. I tre musicisti, orignari della semisconosciuta città di Kaluga, ci accompagnano in 'The Gift' proponendoci un concentrato di doom, sludge, psych e death (quest'ultimo più che altro solo per il growling). Sei lunghe tracce di pura distorsione chitarristica, che dall'iniziale "Ouroboros" arrivano fino alla conclusiva, lunghissima (16 minuti) e sfiancante "Tseni", attraverso un viaggio complicato che vede i nostri muoversi tra ondivaghe ritmiche e quel carattere fuzz delle chitarre, mentre la voce tignosa di Eugene racconta di uso di droghe e alcol. Il lavoro si muove senza grossi tentennamenti lungo la title track, ma anche senza troppe trovate stilistiche che possano far gridare al miracolo. "Veisalgia" prosegue sullo stesso pattern evocando in modo randomico, i primi Electric Wizard e i primi Cathedral, gli Eyehategod e via dicendo. La traccia comunque mostra un interessante break atmosferico centrale che probabilmente la differenzia dalle altre canzoni, cosi come quel timido assolo conclusivo. "Prototrip", pur avendo un titolo cosi evocativo, non riflette quello che mi sarei aspettato di ascoltare, ossia un sound decisamente lisergico ma è forse il pezzo più stoner doom del lotto, e quello che vanta anche il miglior assolo del disco. Si prosegue con "Viy", un brano un po' più ostico in fatto di melodie cosi discordanti, però forse è quello che alla fine risulta anche il più riuscito e mi ha suscitato meno perplessità. (Francesco Scarci)

domenica 24 aprile 2022

The Pit Tips

Francesco Scarci

The Nest - Her True Nature
Cult of Luna - The Long Road North
White Ward - Futility Report

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Death8699

Cannibal Corpse - A Skeletal Domain
Cannibal Corpse - Torture
Metallica - Hardwired…To Self Destruct

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Alain González Artola

Eard - De Rerum Natura
Alda - A Distant Fire
Hate - Rugia

Darkthrone - Too Old Too Cold

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Raw Black
A.D. 2006: la fiamma nera di Fenriz e Nocturno Culto continua a brillare nel firmamento del black metal, pur proponendo, come sempre, un nulla di nuovo. Se si deve fare un complimento alla band norvegese, è proprio quello di aver mantenuto da sempre una coerenza di fondo nel loro bagaglio musicale, senza aver mai tradito i propri intransigenti fans. Sta però proprio qui, per quanto mi riguarda, nella staticità artistica del duo scandinavo, il loro limite maggiore per cui non ne ho mai particolarmente apprezzato le gesta. Andiamo comunque a dare un ascolto a questo breve capitolo della saga “darkthroniana”: 'Too Old Too Cold' è un Ep di 4 pezzi, per una durata di circa 13 minuti, dove i 2 classici minimalisti riff di Nocturno Culto, s’intrecciano con i suoni grezzi e sporchi della batteria di Fenriz e con le solite vocals strazianti che s’instaurano sul tappeto old style creato dai due loschi figuri. Insomma, nulla di nuovo sotto il sole: il sound gretto e primitivo dell’act norvegese è sempre una gioia per i fans della band. Interessante la presenza della cover dei Siouxie And The Banshees "Love In A Void", terza traccia di questo piccolo blasfemo lavoro, in cui Nocturno canta in modo epico ricordando non poco la performance ai tempi degli Isengard di 'Vinterskugge'. Da segnalare inoltre la partecipazione di Grutle degli Enslaved, come ospite in "High on Cold War", concentrato di furioso black punk rock’n roll oriented, song che tra l’altro contiene addirittura un assolo!!! Segno che i tempi stavano cambiando anche in casa Darkthrone. (Francesco Scarci)

Noorvik - Hamartia

#PER CHI AMA: Post Metal Strumentale
La scena post rock/metal tedesca è in costante fermento. Dopo aver pubblicato la recensione degli Ok Wait, ecco arrivare anche il terzo disco dei Noorvik, band di Colonia che avevamo recensito nel 2019 in occasione del precedente 'Omission'. La proposta all'insegna di un post-core strumentale, mostrava segni di un certo magnetismo latente nelle corde dei nostri. Quel magnetismo si riscontra anche nelle note iniziali di 'Hamartia' (un disco che ci racconta metaforicamente come l'avidità e l'arroganza dell'uomo lo conducano alla sua caduta) in "Tantalos", song che parte quasi in sordina per poi iniziare ad agitarsi con le sue robuste chitarre che vanno ad ingrossarsi sempre di più, quasi a sfociare in territori più estremi con un voluttuoso riffing capace di schiacciarci come un macigno. E qui, sarebbe servito un bel growling a dirla tutta, ma a questo punto non staremo parlando di post metal ma forse di death metal. "Hybris" torna ad incantarci con lunghi arpeggi post rock, mentre le percussioni si dilatano progressivamente e il basso tuona in sottofondo laddove una chitarra grida vendetta attraverso lo stridore delle sue corde. Il sound dei Noorvik rimane qualcosa di ostico da digerire, soprattutto dove compaiono tentativi di brutali accelerazioni che scemano tuttavia nel giro di una manciata di secondi, per ritornare a quello stato carezzevole iniziale che ci condurrà ad "Omonoia", un ridondante intermezzo ipnotico assai inquietante. E "Ambrosia" continua su quelle stesse note nei suoi primi 20 secondi per poi iniziare a muoversi attraverso un gioco di luci ed ombre, delicato, raffinato ma che sembra pronto a soggiogarsi a ritmiche più pesanti. E il mio presentimento viene confermato da un rifferama distorto e lacerante che lascerà presto spazio ad un incunearsi di tenue melodie disturbanti che troveranno nuovamente sfogo nel finale del brano. Bravi i Noorvik a spiazzare l'ascoltatore con una continua ricerca di suoni e trovate varie, come l'inizio stralunato dell'infinita "The Feast", oltre 15 minuti in cui la band teutonica sembra offrire tutto il meglio del proprio repertorio, dalle aperture progressive dei primi cinque minuti alle cavalcate che da lì ne deriveranno e che coprono fino verso all'ottavo minuto, dove uno stop alle ostilità sembra dar inizio ad una nuova storia, con nuovi personaggi e nuove sonorità che ci raccontano comunque altro dei Noorvik. Dopo questo torrenziale pioggia di suoni, arrivano le più delicate melodie di "Aeons", quasi delle carezze dopo i ceffoni presi in precedenza. Altri ceffoni arrivano invece con "Atreides" e un riffing sincopato da groove metal band, ma il solito cambio ritmico è dietro l'angolo, e i quattro musicisti sono sempre pronti a stupirci con i loro cambi umorali. "Tartaros" è l'ultima tappa di questo viaggio, quella che ci conduce negli abissi, nell'inferno dantesco. Ma mentre mi sarei aspettato un sound ruvido ad accoglierci, ecco in realtà palesarsi un luogo d'incanto, ma non illudetevi, la mutevolezza dei Noorvik vi colpirà ancora una volta, perchè qui mai nulla è scontato. (Francesco Scarci)

(Tonzonen Records/Soulfood Music - 2022)
Voto: 76

https://noorvik.bandcamp.com/album/hamartia

OK WAIT - Well

#PER CHI AMA: Post Rock Strumentale
"Ok, fermi tutti". Cosi si potrebbe tradurre il moniker di questa band teutonica che nasce dalle ceneri dei Sonic Black Holes, dando vita appunto a questi OK WAIT. La band originaria di Amburgo propone un post rock strumentale assai vario e dinamico, ricco di suggestioni epiche e di molte altre influenze che si paleseranno qua e là nel corso dell'ascolto di questo 'Well'. Intanto, si parte forte con i quindici minuti e mezzo dell'opener "Wait" e già qui i nostri scoprono le loro carte con le loro lunghe fughe chitarristiche interrotte da break atmosferici, un lavoro alle pelli che sottolinea l'abilità percussiva di Lutz Möllmann, mentre le chitarre di Michel Jahn e Christoph Härtwig dipingono meravigliosi affreschi dai tratti sicuramente malinconici, complice anche la presenza di un preziosissimo violino. Sorprendentemente, la proposta dei quattro mi piace assai, il che è già una vittoria, visto che le ultime release in territori post rock, mi avevano annoiato in breve tempo. Invece, bravi gli OK WAIT a tenermi sempre ben concentrato sulla loro proposta in continua evoluzione. Si perchè l'incipit di "Blow" si palesa come fosse una colonna sonora di uno "Spaghetti Western" qualunque di Ennio Morricone, per poi progredire da tratti desertici ad altri più post metal (complice forse la presenza di Magnus Lindberg dei Cult of Luna al mastering?) assolutamente da brividi ed un finale più mellifluo che va a ribaltare quanto ascoltato sin qui. Classica apertura acustica (forse un po' troppo banalotta a dire il vero) per "Time" e poi una marcetta militaresca contigua, per una song che incarna forse tutte le peculiarità del genere e che alla fine non mi fa strabuzzare gli occhi come accaduto invece nei primi due pezzi. C'è sicuramente del prog pink floydiano in questi quasi dieci minuti di musica, ma mancano forse della medesima energia ed inventiva che mi avevano appagato sino a questo punto. Sulla stessa linea di "Time" è "Dust", ed è un vero peccato, considerate le premesse davvero stimolanti. Siamo sempre alle prese con post rock intimistico dai tratti prog, ma sembra mancare di quella stessa verve iniziale per seguire invece la massa informe di band che popolano la scena. La perizia tecnica c'è tutta, le melodie pure, ma francamente non mi emoziona più di tanto, sebbene siano palesi a più riprese, i tentativi di raddrizzare il tiro, irrobustendo il sound con chitarrate che sembrano prendere in prestito ad un certo punto, un riff dei Nirvana. A "Cope" viene affidato l'arduo compito della chiusura del disco e dopo tutto non se la cava proprio male con un riffing solido e irrequieto all'insegna del post metal, che non avrebbe certo disdegnato la presenza di una bella rocciosa voce nella sua matrice ritmica. Alla fine 'Well' è un buon debut album, con diverse luci ma anche qualche ombra su cui varrà la pena lavorare in futuro. (Francesco Scarci)

(Golden Antenna Records - 2022)
Voto: 74

https://okwait.bandcamp.com/album/well