Francesco Scarci
Voyage in Solitude - Through The Mist With Courage And Sorrow
Kultika - Capricorn Wolves
Caelestra - Black Widow Nebula
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MetalJ
Bereft of Light - Hoinar
Mormant de Snagov - Death Below Space and Existence
Paragon Collapse - The Dawning
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Death8699
Plague Years - Circle of Darkness
Asphyx - Necroceros
Blessed by Perversion - Remnants of Existence
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Alain González Artola
Sur Austru - Obârșie
Keys of Orthanc - Of the Lineage of Kings
Daius - Ascuns
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mercoledì 24 febbraio 2021
The Pit Tips
domenica 21 febbraio 2021
BleakHeart - Dream Griever
#PER CHI AMA: Gothic/Doom, The Third and the Mortal |
Quando ho ascoltato la prima volta i BleakHeart ho pensato ad una versione americana dei The Third and the Mortal. Fate partire "Ash Bearer", opening track di questo 'Dream Griever', e capirete esattamente a cosa stia alludendo. Certo, non ci saranno le liriche in norvegese di Kari Rueslåtten che popolavano 'Tears Laid in Earth', opera prima dei norvegesi, però il modo di cantare di Kelly Schilling (peraltro voce anche dei Dreadnought) è a metà strada tra la cantante scandinava e l'altrettanto brava Anneke van Giersbergen, anche se negli acuti la voce si perde un po'. A parte queste sottigliezze, va sottolineato come la proposta musicale del quartetto di Denver nella sua raffinatezza, si muova in bilico tra doom, shoegaze e darkwave e lo faccia sfoderando un'ottima prova collettiva. Non solo la voce della frontwoman in primo piano dunque, ma la capacità di un gruppo di musicisti di creare musica in grado di toccare le corde dell'anima, nonostante un suono non cosi facile da assimilare, complice anche la presenza in formazione di due chitarre a discapito del basso. E anche in questo la band si conferma originale. Dopo gli oltre otto minuti dell'opener, arrivano i quasi otto della seconda "Heed the Haunt", un brano che mette in mostra altre influenze dei nostri, dallo shoegaze al gothic, non rinunciando comunque a livello ritmico alla robustezza delle sei corde, stemperate dalla soave prova di Kelly al microfono. Da manuale comunque le melodie che escono dagli strumenti di questi musicisti, capaci di proporre atmosfere costantemente decadenti senza rinunciare ad una forte componente emozionale. La stessa che si scorge nella tribalità minimalista di "The Visitor", che nuovamente evoca forti rimandi ai The Third and the Mortal degli esordi. L'atmosfera creata dal drumming è cupissima, sferzata dalla sola sofferente voce della cantante. Le chitarre entrano in scena infatti solo dopo oltre quattro minuti contribuendo comunque a rinforzare quella plumbea ambientazione che proseguirà sulla medesima linea di monolitica angoscia fino alla fine di tutti gli otto minuti di durata. "The Dead Moon" prosegue sullo stesso binario stilistico, proponendo un sound sicuramente meno claustrofobico rispetto al pezzo precedente, ma sicuramente più statico rispetto ai primi due brani del disco che tanto mi avevano impressionato positivamente. Il sound dei BlackHeart resta comunque positivo, ma forse più prevedibile per quanto la performance di Kelly a questo punto innalzi la prova collettiva. La chiusura di 'Dream Griever' è affidata proprio alla title track e ad un inizio che evoca "Atupoéma", ancora estratto di quel mitico 'Tears Laid in Earth' citato a inizio recensione. Le atmosfere si confermano pesantissime, ma fortunatamente, trovano il modo di rimodellarsi nel corso del brano, con cambi di tempo che si erano un po' persi invece nella parte centrale del lavoro. Il brano regala comunque sprazzi di classe con una parte intermedia più eterea, di scuola ultimi The Gathering, con l'aggiunta di un pizzico di jazz che aumenta le vibrazioni rilasciate da tale release. 'Dream Griever' è alla fine un buon lavoro con le sue luci, qualche ombra da smussare per cercare di rendere più dinamico un sound che rischia talvolta di incepparsi sul più bello. Le potenzialità sono altissime, punterei sull'aggiunta di un bassista e sulla riduzione di quelle ritmiche pesantissime che alla lunga rischiano di soffocare l'ascolto già di per sè impegnativo di un lavoro da ascoltare e riascoltare nei momenti più bui. (Francesco Scarci)
(Self - 2020)
Voto: 75
https://bleakheart.bandcamp.com/album/dream-griever
Voto: 75
https://bleakheart.bandcamp.com/album/dream-griever
Voyage in Solitude - Through the Mist with Courage and Sorrow
#PER CHI AMA: Depressive Black, Deafheaven |
I Voyage in Solitude sono l'ennesima dimostrazione che il metal non ha confini e si possa suonare a tutte le latitudini e longitudini. Si perchè la one-man-band di oggi è originaria dei Nuovi Territori di Hong Kong e il polistrumentista che si cela dietro al monicker, Derrick Lin, ci propone un black che oscilla tra l'atmosferico e il depressive. Le atmosfere si gustano proprio all'inizio di questo 'Through the Mist with Courage and Sorrow', primo full length della band dopo tre EP e materiale vario, con la lunga apertura strumentale affidata alle magiche melodie di "Veil of Mist". Con la lunga "Dark Mist" la proposta del mastermind hongkonghese inizia a prendere più forma, delineandosi appunto come un depressive black, dalle tinte fosche e cupe, al pari dello screaming del vocalist. La prima parte del pezzo viaggia su coordinate stilistiche davvero atmosferiche, con una linea di chitarra evocativa in quel suo tremolo picking che potrebbe quasi fuorviarci e farci propendere ad un post rock. Il finale vede l'appesantirsi della sezione ritmica senza tuttavia mai trascendere in fatto di velocità, fatto salvo per la furia post-black affidata all'ultimo minuto e mezzo del brano. "Incoming Transmission" ha un preambolo nuovamente ambient, in cui una chitarra acustica s'intreccia con suoni di synth. Ma è solo una sorta di intro ad un pezzo più andante, nel quale l'artista esprime attraverso la malinconia della linea melodica e delle sue harsh vocals, la solitudine, l'impotenza e la frustazione della gente della città in cui vive, dopo un biennio davvero complicato per Hong Kong. E questo dissapore per la società emerge forte e sconsolato dalle note del brano, in cui il musicista ha modo di combinare al black eterei suoni post rock in lunghe fughe strumentali. I pezzi si susseguono, viaggiando peraltro su durate abbastanza consistenti: "Reign", nel suo torbido incedere, sfiora i nove minuti e lo fa combinando chitarre tremolanti con un drumming al limite del post-black, mentre la voce di Derrick, forse troppo nelle retrovie tipico delle produzioni molto underground, distoglie l'attenzione da quelle melodie che inneggiano qui più che altrove ai Deafheaven. Il risultato è davvero buono, forse una produzione più pulita avrebbe giovato ulteriormente, ma siamo agli inizi, quindi mi aspetto grandi cose in futuro da Mr. Lin. Ancora un intro acustico con la dolce (si avete letto bene) "Memories", un pezzo strumentale che potrebbe fare da ponte tra la prima parte e la seconda del cd, in cui lasciar vagare la vostra mente mentre guardate la cover dell'album. Qui è ancora la componente post-rock a dominare, sebbene il drumming nella seconda metà si faccia più convulso e alla fine dirompente. "Despair" prosegue sulla medesima linea tracciata dalle precendenti song: inizio timido, acustico e poi con l'ingresso dello screaming di Derrick, ecco che le chitarre si fanno più "burzumiane". Ma attenzione, perchè questo pezzo riserva una novità proprio a livello vocale con l'utilizzo del pulito in una sorta di coro, a mostrare le enormi potenzialità a disposizione della band asiatica. L'emozionalità che trasuda 'Through the Mist with Courage and Sorrow' va comunque sottolineata come vero punto di forza dell'album che si chiude con "In Between", un pezzo ove è lo shoegaze a dettare legge tra chiaroscuri di chitarra, magnifiche e sognanti melodie, un cupo pessimismo cosmico ed una gran dose di malinconia che mi fanno enormemente apprezzare la sublime proposta dei Voyage in Solitude. Bene cosi! (Francesco Scarci)
(Self - 2020)
Voto: 77
Voto: 77
Crypts of Despair - All Light Swallowed
#FOR FANS OF: Brutal Death Metal |
Even though the Lithuanian scene is not one of the most well-known ones, it has always delivered some interesting bands. Personally, I had some previous experience with some black and doom metal bands, but this time is the moment to discover one of those obscure bands that plays a clearly more brutal style. Crypts of Despair is a four-piece founded almost twelve years ago, though the band required almost a decade to release its first effort entitled 'The Stench of the Earth'. This was a self-release with a good quality that made possible that the always prolific underground label Transcending Obscurity Records showed interest in them. So, thankfully we did not have to wait so much time and after three years, Crypts of Despair are going to release its sophomore effort 'All Light Swallowed'.
Crypts of Despair plays death metal with a modern and clearly brutal touch, although it doesn´t reach the level of relentless speed and brutality to be tagged as brutal death metal band. Anyway, the ferocity of its sound is out of discussion. 'All Light Swallowed' has a very strong production, dense and profound, which sounds totally professional and fits the style of the band. Stylistically, as said, this is a pure death metal with a modern touch as the guitars have a distinctive disharmonic touch, that makes them sound more chaotic and smashing. Here we can find two tips of vocals, deep growls combined with more high-pitched ones. Anyhow, the first ones have a greater room, but the combination of both is always an interesting touch of diversity. The album opener "Being-Erased" is a clear example of it, with maybe a greater presence of the screaming vocals in this case. This first opus is one of the fastest of the whole album, albeit it has some nice changes in the tempo, especially in the second half with the inclusion of some mid-tempo and even slower parts. This diversity of pace is a constant touch, even if we can always expect the speedy fury so common in this genre. In any case, Crypts of Despair likes to make a clear contrast between the sections full of blast-beasts and the much slower and heavy parts. We have plenty of examples like the excellent "Anguished Exhale" and "Synergy of Suffering", where the song evolves abruptly from super-fast sections to mid-tempo ones, and in these parts the double-bass sounds absolutely smashing. No one can deny that Crypts of Despair tries to extract all the potential from this formula and they actually do it in the right way, creating songs with an undeniably crushing sound and strength independently of the chosen pace. The album flows between tracks with this aforementioned formula, where the songs, whose structure maybe doesn’t differ that much, achieve a very effective combination of rhythmic changes, making this album a fun listen.
All in all, 'All Light Swallowed' is a super solid death metal album from a band that has done a good step forward in terms of production and refinement in its compositions. A refinement done to achieve a focused brutality, that will satisfy fans of modern death metal done right. (Alain González Artola)
Crypts of Despair plays death metal with a modern and clearly brutal touch, although it doesn´t reach the level of relentless speed and brutality to be tagged as brutal death metal band. Anyway, the ferocity of its sound is out of discussion. 'All Light Swallowed' has a very strong production, dense and profound, which sounds totally professional and fits the style of the band. Stylistically, as said, this is a pure death metal with a modern touch as the guitars have a distinctive disharmonic touch, that makes them sound more chaotic and smashing. Here we can find two tips of vocals, deep growls combined with more high-pitched ones. Anyhow, the first ones have a greater room, but the combination of both is always an interesting touch of diversity. The album opener "Being-Erased" is a clear example of it, with maybe a greater presence of the screaming vocals in this case. This first opus is one of the fastest of the whole album, albeit it has some nice changes in the tempo, especially in the second half with the inclusion of some mid-tempo and even slower parts. This diversity of pace is a constant touch, even if we can always expect the speedy fury so common in this genre. In any case, Crypts of Despair likes to make a clear contrast between the sections full of blast-beasts and the much slower and heavy parts. We have plenty of examples like the excellent "Anguished Exhale" and "Synergy of Suffering", where the song evolves abruptly from super-fast sections to mid-tempo ones, and in these parts the double-bass sounds absolutely smashing. No one can deny that Crypts of Despair tries to extract all the potential from this formula and they actually do it in the right way, creating songs with an undeniably crushing sound and strength independently of the chosen pace. The album flows between tracks with this aforementioned formula, where the songs, whose structure maybe doesn’t differ that much, achieve a very effective combination of rhythmic changes, making this album a fun listen.
All in all, 'All Light Swallowed' is a super solid death metal album from a band that has done a good step forward in terms of production and refinement in its compositions. A refinement done to achieve a focused brutality, that will satisfy fans of modern death metal done right. (Alain González Artola)
(Transcending Obscurity Records - 2021)
Score: 74
https://cryptsofdespairdeath.bandcamp.com/album/all-light-swallowed-death-metal
Score: 74
https://cryptsofdespairdeath.bandcamp.com/album/all-light-swallowed-death-metal
sabato 20 febbraio 2021
Carcolh - The Life and Works of Death
#PER CHI AMA: Epic Doom, Candlemass |
Bordeaux, terra di vigne e preziosi vini, lande che fanno pensare ai famosi chateau, i castelli, magari infestati, dove la colonna sonora potrebbe essere benissimo quella servita dai Carcolh e dal loro nuovissimo 'The Life and Works of Death', atto secondo del quintetto transalpino. Sei brani per godere del doom tradizionale dei nostri, miscelato ad una epicità di fondo, come quella che ho percepito in "From Dark Ages They Came", laddove il vocalist inizia a cantare e per un attimo, mi sono sentito proiettato indietro nel tempo, ai Bathory di 'Twilight of the Gods'. Bella sensazione, sebbene il sound dei cinque francesi sia decisamente più statico rispetto al maestro svedese. Ma quando si parla di Svezia, ecco che un'altra band accorre in aiuto per ciò che concerne le influenze della compagine di quest'oggi, ossia i Candlemass. E nella seconda "Works of Death", emergono tutti i richiami alla band di Leif Edling e soci, con una sezione ritmica bella compatta, circolare, con un mood novembrino ed una performance vocale che, seppur avessi maggiormente apprezzato nella opening track, qui si conferma comunque di buon valore. Per non parlare poi della sezione solistica, davvero interessante e godibile nella sua fluida melodia. E l'aura fosca ed autunnale si palesa anche nella ritmica indolente della lunghissima "The Blind Goddess" che vanta uno spettacolare assolo conclusivo, ad altissimo tasso tecnico ma soprattutto emotivo. Più breve e dinamica "When the Embers Light the Way": qui la componente epica si fa più forte nel raddoppio delle chitarre, mentre la voce del frontman si presenta più graffiante. Per non parlare poi della parte centrale, in cui il pezzo si fa più aggressivo in concomitanza con un cantato vicino al growl. E poi via, con un altro spettacolare assolo, una parte cantata e poi voce e chitarra solista ancora a braccetto, per quello che alla fine sarà anche il mio pezzo preferito dell'album. "Aftermath" è un pezzo anomalo nel contesto del disco, vista la vena dark gothic che rimanda ai Fields of the Nephilim, per un brano di sei minuti che suona in realtà più come un lungo bridge per la conclusiva "Sepulchre", un nome un programma. Si perchè per atmosfera lugubre, pesantezza e dilatazione delle chitarre, beh manca poco che ci si avvicini al funeral doom. Non ci sono le voci catacombali del funeral altrimenti, i quasi undici minuti del brano confermerebbero la mia tesi iniziale. Gli unici bagliori di luce si vedono infatti attraverso i soli squarci solistici delle sei corde. Un brano carico di tensione ma a mio avviso non troppo convincente. Alla fine, 'The Life and Works of Death' ha comunque il sapore della vittoria, presentandosi come album maturo e suonato con competenza. Un pizzico di malizia e personalità in più e potremmo sentirne delle belle. (Francesco Scarci)
(Sleeping Church Records - 2021)
Voto: 73
Voto: 73
giovedì 18 febbraio 2021
Oakmord - We Were Always Alone
#PER CHI AMA: Funeral Doom |
La band di oggi è un duo tedesco-finlandese al loro debutto, con questo monicker. Si perchè gli Oakmord includono il batterista Juergen Froehling degli Absent/Minded (già incontrati più volte qui nel Pozzo), peraltro pure ex dei My Shameful, cosi come lo fu Sami Rautio, chitarra, basso e voce della band di oggi. 'We Were Always Alone' è quanto partorito dai due musicisti, un lavoro di quattro pezzi per oltre 30 minuti di tetre sonorità funeral doom. E con un background del genere cosa vi aspettavate? Non ci si stupisca quindi della criptica e deprimente melodia acustica che apre "I Pray to Unforgiving Skies", prima che il rombo di un riffone tonante irrompa nelle casse dello stereo, accompagnato da una voce al vetriolo. Giusto un paio di riff super dilatati, diciamo di un paio di minuti, e poi di nuovo un break acustico. E il gioco ondivago si ripete con un nuovo attacco distorsivo che ci riporta in un altro ipnotico e circolare giro acustico, con le voci a gracchiare in sottofondo. "Dilution of Pain" appare ancor più tormentata e malata nel suo lento incedere ma soprattutto in quel doppio cantato da incubo. Poi a prendere il sopravvento è una parte decisamente ritmata, prima di disturbanti suoni elettronici che ci catapultano nella seconda parte del brano dove le voci da orco tornano a dominare. Ancora un inizio tranquillo, quello proposto da "Deliverance", fatto di suoni lontani, corde pizzicate, landscape desolanti e voci sussurrate. Giusto un lungo e laconico antipasto dronico che ci porta nel fulcro funereo della song, cosi deprimente nella sua solitaria linea di chitarra e in quegli scarni vocalizzi in sottofondo. Insomma, se siete alla ricerca di una emotività sofferta e decadente, qui troverete quanto avete bisogno, confermato peraltro dalle note conclusive di " My Eyes Reflect Only My Death", l'ultimo bagliore di morte che si scorge nelle deprimenti note di questo 'We Were Always Alone'. Un lugubre addio affidato a cupe e sofferte parti atmosferiche che confermano le qualità di un nuovo gruppo affacciatosi nel mondo della musica del destino. (Francesco Scarci)
(Wroth Emitter Productions - 2020)
Voto: 72
https://oakmord.bandcamp.com/album/we-were-always-alone
Voto: 72
https://oakmord.bandcamp.com/album/we-were-always-alone
Blurr Thrower - Les Voûtes
#PER CHI AMA: Cascadian Black |
Trittico di uscite davvero interessanti in questo primo scorcio di 2021 in casa Les Acteurs de L’Ombre Productions. Partiamo la nostra analisi dai parigini Blurr Thrower e dal debut su lunga distanza, 'Les Voûtes', dopo l'EP uscito nel 2018. Come spesso accade in casa LADLO, ci troviamo al cospetto di una one-man-band votata ad un black primigenio, nervoso, a tratti schizoide. Queste le prime sensazioni dopo esser stato investito dalla furia necrotizzante di "Cachot", la traccia d'apertura di questo lavoro, che per oltre dodici minuti frusta, percuote, scudiscia, flagella con sferzate ritmiche sparate a tutta velocità, con un sound che sale sulla pelle, e poi ci va pure sotto con maestria e malvagità. Il black dei Blurr Thrower è senza ombra di dubbio malefico, guardando ad influenze statunitensi per ciò che concerne l'approccio cascadiano, e penso in primis agli Ash Borer e ai Wolves in the Throne Room. Fortunatamente, non è tutta una tirata da fare in totale assenza d'ossigeno, altrimenti mi sarei visto morto già verso il terzo minuto. Il misterioso mastermind che si cela dietro a questo monicker ci concede infatti una lunga pausa ambient a metà brano, prima di tornare alla fustigazione ritmica, alle percosse e alle scudisciate citate in apertura. L'urticante voce e le rasoiate chitarristiche completano un quadro che avevamo già avuto modo di osservare e apprezzare nel precedente 'Les Avatars du Vibe'. Con la seconda "Germes Vermeils", song che vede la partecipazione dietro al microfono di Gaetan Juif (Baume, Cepheide, Scaphandre giusto per citarne alcuni), il fluido musicale si fa ancor più venefico per quanto un intro quasi post rock, mi avesse fuorviato un pochino. Ma la traccia, nel suo tempestoso manifestarsi, si rivela ben più melodica dell'opener, anche perchè dotata di una vena più tormentata e malinconica, con una batteria che più tonante non si può e in sottofondo uno strano bagliore elettronico a ingannare i sensi e affliggere l'anima. Il lungo finale dronico è la ciliegina sulla torta ma anche preludio della terza "Fanes", che si muove su simili coordinate stilistiche in quello che sembra essere un incubo ad occhi aperti, di cui "Fanes" ne è appunto colonna sonora. Quarto e ultimo pezzo affidato ai dodici minuti di "Amnios", con il drumming ipnotico e militaresco, scuola Altar of Plagues, in apertura a prendersi la scena, prima di una nuova tempesta ritmica che si abbatte furiosa sulle nostre teste, martoriandoci a dovere per lunghi tratti e lasciandoci alla fine agonizzanti in un ultimo frangente atmosferico. Ottimo comeback discografico questo 'Les Voûtes' per l'act francese, che vede fare un balzello in avanti rispetto al debutto, ma che necessita tuttavia ancora una limatura nell'intento di acquisire una personalità ben più definita. La strada intrapresa è comunque quella giusta. Penetranti. (Francesco Scarci)
(LADLO Productions - 2021)
Voto: 74
https://ladlo.bandcamp.com/album/les-vo-tes
Voto: 74
https://ladlo.bandcamp.com/album/les-vo-tes
mercoledì 17 febbraio 2021
Cornea - Apart
#PER CHI AMA: Post Rock, God is an Astronaut |
Questa mattina è arrivato il corriere, mi ha consegnato 'Apart', album di debutto dei patavini Cornea. Non potevo fare altro che mettere il vinile sul mio giradischi e assaporare le note strumentali di questo nuovo terzetto italico, che vede tra le sue fila Sebastiano Pozzobon che apprezzai come bassista dei Dotzauer, Nicola Mel, (ex?) voce e chitarra degli Owl of Minerva (un'altra band che abbiamo ospitato qui nel Pozzo) e a completare il trio, Andrea Greggio alla batteria. La proposta dei tre musicisti viaggia su lidi alquanto differenti dalle loro precedenti band, trattandosi infatti di un post-rock dalla forte vena shoegaze. Ad aprire le danze "Daydreamer", un brano che definisce immediatamente le coordinate stilistiche su cui correranno i nostri, con un inizio alquanto oscuro ed intimista. Da qui le note si fanno più eteree, con la chitarra che s'incunea in territori dapprima morbidi, per poi esibirsi in un riffing più corposo e sognante, a cavallo tra post rock e post metal, quest'ultimo retaggio sonoro sicuramente ascrivibile a Sebastiano. I suoni sono suggestivi, per quanto manchi una voce a bilanciare la cascata sonica in cui ci siamo immersi, ma ne vale la pena, non temete. Con "Kingdom", nonostante un poderoso avvio, ci si imbatte in suoni più psichelidici che hanno la grande capacità di mutare in brevissimo tempo, prima ancora in un robusto post metal, e a seguire, in una serie di cambi di tempo e di ritmo dal potere avvolgente, peccato solo l'assenza di una presenza vocale a guidarci nell'ascolto, lo so, sono ripetitivo alla morte. Con "Will Your Heart Grow Fonder?" i suoni si fanno ancor più profondi a generare quasi un moto emotivo nella nostra anima, sebbene le sferzate ritmiche cerchino di rinvigorire la proposta della compagine veneta. Un break acustico rompe gli schemi, con basso e chitarra a sonnecchiare timidamente, dandoci il tempo di una pausa ristoratrice. Poi è la melodia della sei corse a prenderci per mano e condurci nella parte più intrigante e atmosferica del disco, con il basso in sottofondo a generare tocchi di un magnetismo impressionante. Qui la componente malinconica si fa più vibrante dando quel quid addizionale al brano forse meglio riuscito di 'Apart'. Tuttavia, siamo solo a metà strada del nostro cammino, visto che mancano ancora i tocchi delicati della suadente e crepuscolare "Saltwater", una piccola gemma che ha forse il solo difetto di risultare troppo circolare nel suo incedere. Essendo la traccia più lunga del disco, rischia quindi di essere quella che stanca prima, ma i nostri provano a cambiare registro con riverberi luminescenti, puranche con roboanti riff che vanno a rompere quella delicatezza iniziale. "Sentinels of a Northern Sky" parte ancora con fare gentile con la chitarra a prendersi la scena nel suo affrescare melodie raffinate, mentre il basso in sottofondo sembra richiamare (non chiedetemi il motivo, è solo una sensazione quella che provo) echi dei vecchi The Cure. Il brano cresce progressivamente con la chitarra a lanciarsi in fughe in tremolo picking, mentre il drumming detta il ritmo in modo preciso e bilanciato. A chiudere l'album ci pensa "Diver" che con i suoi astrali bagliori onirici ci accompagnerà fino alla conclusione del disco donandoci l'ultime note di un post rock che paga forse qualche tributo a mostri sacri del calibro di Mogway, Explosions in the Sky, i più lisergici Exxasens e i più robusti Russian Circles, ma che comunque mette in mostra le qualità di una band che deve solo non aver paura di osare un pochino di più. (Francesco Scarci)
(Jetlow Recordings - 2020)
Voto: 74
https://cornea.bandcamp.com/album/apart
Voto: 74
https://cornea.bandcamp.com/album/apart
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