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lunedì 6 gennaio 2020

Mesmur - Terrene

#PER CHI AMA: Funeral Doom, Skepticism
Cosa c'è di meglio se non iniziare il nuovo anno con una bella colata lavica di musica funeral doom? Ad aiutarci in questa impresa, arrivano i Mesmur, combo internazionale formato da membri che arrivano un po' da tutti gli angoli del globo, Russia, Australia, US e anche la nostra piccola Italia, senza contare le partecipazione al flauto di Don Zaros degli Evoken e al violoncello della russa Nadia Avanesova. 'Terrene' è il terzo disco per il quartetto mefitico che si ripropone con quattro song che durano la bellezza di 54 minuti. E allora, se le vostre vacanze natalizie sono state fin troppo felici, meglio farsi investire dalla totale assenza di voglia di vivere dei nostri che già con l'iniziale "Terra Ishtar", ci fanno letteralmente sprofondare nella palude dello Stige, laddove gli accidiosi rimangono sommersi nell'immobilità del loro spirito. Immobilità appunto, la parola chiave che descrive le movenze a rallentatore della band, cosi ritmicamente pesante nella propria proposta da richiamare i paladini Skepticism o Esoteric, due capostipiti di un genere che raccoglie ogni giorno sempre più consensi. La proposta dei Mesmur non si raccoglie però tutta qui nella riproposizione dei dettami dei maestri, ma è impregnata di atmosfere eteree, quasi sognanti che tutto di un tratto sembrano farci risollevare verso quei cieli estatici descritti da Dante nella sua 'Divina Commedia', prima di essere avviluppati da una tragica sensazione di fine del mondo, quella appunto descritta dalla compagine multietnica in questa loro terza fatica. È tempo di "Babylon", la seconda song che narra della città ormai fantasma di Babilonia appunto e dei demoni che la abitano ora e di tutto il sangue di santi e profeti che invece è fluito nel corso dei secoli. Le tematiche aiutano ad enfatizzare un sound permeato solo di gelida morte come quella sprigionata dalla catacombale voce del frontman Chris G nel mortifero incedere odorante di solo zolfo infernale. La chitarra di Jeremy Lewis cosi come il flauto del tastierista degli Evoken, provano a stemperare la pesantissima aura che ammanta la song, ma il risultato persiste nel mantenersi in equilibrio con le sue apocalittiche melodie. Si procede sulla falsariga anche con "Eschaton" e altri 13 minuti in cui è la pesantezza intrinseca esalata dall'ensemble a farla da padrona, anche se qui un barlume di luce sembra affiorare dall'iniziale malinconica (quanto dissonante) melodia di chitarra e in generale da un accenno di dinamismo mostrato in sede ritmica, con un drumming che sembra (ma non accadrà mai) via via aumentare i giri del motore, anzi l'evoluzione della song assume quasi connotati psichedelico-orchestrali, vista la presenza al violoncello, della brava Nadia che adorna e contribuisce a variare il tema proposto dai Mesmur. Arriviamo all'ultimo baluardo da superare, ossia la quarta "Caverns of Edimmu", una song introdotta da una mefistofelica quanto sinistra melodia, accompagnata da una voce che verosimilmente è quella di un demone Ekimmu, uno spettro dei morti riuscito a fuggire dagli inferi per tormentare gli esseri viventi. La song pertanto sulla scia del suo stesso titolo, sembra avvolta da un'atmosfera criptica sospesa tra sogno (o incubo che sia) e triste realtà, in uno sfiancante incedere di oltre 13 minuti. 'Terrene' è alla fine un album tanto interessante quanto complicato da affrontare, una discesa nelle tenebre da cui forse non far mai più ritorno. (Francesco Scarci)

(Solitude Productions - 2019)
Voto: 77


https://mesmur.bandcamp.com/album/terrene

Daughters Of Saint Crispin - S/t

#PER CHI AMA: Psych/Slowcore/Post, Neurosis
Singolare scegliere come moniker quello di un sindacato del calzolaio femminile americano, i Daughters Of Saint Crispin appunto. La band, che nasce dalla precedente esperienza del suo leader nei Tyranny Is Tyranny, si propone di offrire un sound che loro stessi definiscono arrogantemente "doomy Big Black" o una sorta di "Godflesh che suonano song dei Codeine" (band newyorkese ispiratrice dello slowcore). E proprio da quest'ultimo genere, caratterizzato da ritmi rallentati, arrangiamenti minimalistici ed atmosfere rarefatte che i nostri partono, coniugando ovviamente il tutto con gli insegnamenti dei Neurosis, una costante aura psichedelica, un pizzico di punk (soprattutto nella seconda ridondante "Debt Grief") ed il gioco sembra fatto. Le tracce da "Ex-Spies" a "Head And Heart", si susseguono proponendo un vortice di lente emozioni e turbamenti interiori. Se ho particolarmente apprezzato l'opener, devo ammettere di aver fatto più fatica ad accogliere la seconda song, desiderando più volte di skippare alla traccia successiva. Solo il chorus mi ha evitato di cambiare brano. "Blue Light" è un brano a rallentatore, con la voce del frontman che sembra quella di un accanito bevitore di whiskey. La song striscia poi come un serpente a sonagli nel deserto, tra ruvide scarnificazioni sludgy, ammiccamenti post e una verve blues rock. L'ultima song dell'ensemble del Wisconsin suona come una ninna nanna per un bebè, con la sola differenza che al posto del latte, al bimbo viene somministrato un cicchetto di ottimo distillato. Alla fine l'EP è un buon punto di partenza per sviluppare in futuro nuove alternative sonore. (Francesco Scarci)

Devilish Impressions - Postmortem Whispering Crows

#PER CHI AMA: Black/Death, Behemoth
I Devilish Impressions li seguo fin dai loro esordi, in quanto sono da sempre affascinato dal loro sound all'insegna del black sinfonico. 'Postmortem Whispering Crows' è un EP di tre pezzi che serve a saggiare lo stato di forma del quartetto guidato da Quazarre, dopo il full length datato 2017 e intitolato 'The I'. Dicevo tre song che si aprono con "Dvma", una traccia estremamente ritmata, che mostra la solidità ormai collaudata del combo polacco nel proporre un genere non certo originalissimo, ma che combina con autorevolezza black, thrash ed heavy metal soprattutto a livello solistico, concedendo ampio spazio anche a parti atmosferiche ed acustiche, il tutto guidato dalla rugosa voce del frontman che nell'ultimo anno ha rinnovato completamente la line-up. "Cingvlvm Diaboli" ha un approccio ben più feroce, palesando soprattutto una certa similitudine con i compaesani Behemoth nella loro veste black death, ma anche con qualche realtà americana, stile Nile; francamente li preferivo nella loro veste iniziale, mid-tempo ma di sicuro più ispirata. L'ultima episodio di questo EP è dato da "Interregnvm", forse la song più blackish del trio, quella decisamente più tirata, più oscura, ma anche quella più in grado di mostrare i molteplici aspetti del nuovo sound dei Devilish Impressions, un mix tra black, doom, gothic e perchè no anche rock (sempre a livello di solo). C'è sicuramente ancora da lavorarci sopra, ma limando qua e là un po' di ruggini e cercando di aggiustare il tiro, forse la band si potrebbe anche togliere nuove soddisfazioni. (Francesco Scarci)

venerdì 20 dicembre 2019

Martriden - S/t EP

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Death/Black, Hypocrisy, Immortal
Originari del Montana ma ora trasferitisi in Colorado, ecco una band che stranamente non suona metalcore o qualsiasi altra cosa alternativa tipica degli Stati Uniti. Quello dei Martriden (nome che trae origine dal folklore scandinavo ossia gli spiriti femminili maligni responsabili degli incubi) è un quartetto death metal, le cui sonorità sono fortemente ispirate ai suoni del nord Europa, al black contaminato dei norvegesi Enslaved, al death degli Hypocrisy, al prog degli Opeth e al movimento swedish in genere. Nonostante i nomi altisonanti, non ci troviamo però tra le mani un lavoro eccelso: forse la band ai tempi di questo debut EP, era ancora troppo acerba per dimostrare le sue effettive qualità. E cosi nei 25 minuti a disposizione, il quartetto di Denver ci propone quattro discrete tracce, in cui i nostri fanno conoscere la loro musica al mondo. L’iniziale “Blank Eye Stare” è un mix black-death, tipico scandinavo, con un break acustico centrale niente male e un discreto finale emozionante. Tutte le influenze dei nostri, dagli Emperor ai primi Katatonia, passando attraverso Immortal e My Dying Bride, convogliano inevitabilmente nel loro sound. Nel secondo brano, un mid-tempo ragionato e cadenzato, si percepiscono anche reminiscenze thrash, stile Nevermore, per un brano francamente un po’ insignificante. Con “In Death We Burn” emergono le influenze swedish death, così come pure nella conclusiva “Set a Fire in our Flesh”. Ottimi i suoni, bravi i musicisti, più che discreta è la personalità del vocalist, ma un senso di già sentito e scontato pervade le mie orecchie. Qualcosa di poco convincente caratterizza l’intero lavoro per cui alla fine fatico a venirne a capo. Dategli un ascolto e aiutatemi a capire. (Francesco Scarci)

(Siege of Amida Records - 2007)
Voto: 60

https://www.facebook.com/martriden

Tholus - Constant

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Techno Death, Carcass, Meshuggah
L’inizio di questo Cd mi ha subito riportato alla memoria gli inframmezzi inquietanti che introducono ogni brano di 'Necroticism' dei Carcass. Ma chi sono i Tholus? È la band del polistrumentista Dave Murray (Estradasphere, Deserts of Traun), qui accompagnato dai migliori musicisti della scena estrema statunitense (e si sente), con lo scopo di riportare ai fasti di un tempo, quel death iper-tecnico e fantasioso, che ben poco fu compreso negli anni novanta con Cynic e Atheist. Quel che è certo, è che non è semplice neppure un approccio così immediato a 'Constant', album che ruota attorno ad un concept alieno. La musica dei nostri è infatti parecchio ostica, e se pensate, che nella loro biografia, i Tholus descrivono il loro sound, come un improbabile incrocio tra il death metal di Death e Carcass e l’avantgarde-fusion di Frank Zappa e Chick Corea, capirete quanto la musica dei nostri sia assai complessa. Montagne di riffs intricatissimi vengono innalzati dai due axemen (ci sono poi altri due chitarristi, uno solista, l’altro acustico), giri di chitarra claustrofobici e ridondanti, richiamano palesemente il mood dei Meshuggah (ascoltatevi “Staring Black”, canzone pazzesca, la migliore del disco). Il drumming fantasioso ed imprevedibile traccia ritmiche allucinanti, ipnotiche e psichedeliche, le chitarre, nonostante la loro brutalità, esplorano territori sconosciuti al metal (jazz, fusion, musica etnica); le growling vocals (forse la vera pecca del lavoro) rappresentano forse l’unico legame con la musica metal, mentre i tre(!) bassi dipingono, in modo magnificente, desolati paesaggi marziani. I Tholus hanno mostrato classe sopraffina ad elevatissimi livelli, un vero peccato poi siano scomparsi nel nulla. Un unico consiglio va dato però, prima di avvicinarsi a questo disco: aprite la vostra mente, perchè questa musica non è di questo pianeta... Allucinanti! (Francesco Scarci)

(Goregorecords - 2007)
Voto: 76

https://tholus.bandcamp.com/releases

Scent of Flesh - Deform in Torture

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Brutal Death, Monstrosity, Cannibal Corpse
I finlandesi Scent of Flesh sono dei brutti ceffi, capaci da sempre, di unire all’estremismo sonoro tipico del loro brutal sound, con quel pizzico di melodia che non guasta e anzi ne migliora notevolmente la proposta. Ma si sa, in Finlandia le cose non capitano mai per caso e l’uscita di 'Deform in Torture' datata 2007, terza e ultima release del combo guidato da Matti Viisainen, non fa che avvalorare la mia tesi. Questo capitolo dopo l’EP 'Become Malignity' del novembre 2005, riconsegna una band in strepitosa forma, abile, quanto basta, nello spaccare qualsiasi caso gli capiti davanti. Mezz’ora (ci risiamo) e poco più di musica estrema, violenta, brutale e maligna, un concentrato dinamitardo, che raccoglie il sound dei precedenti lavori, amalgamandolo in modo sapiente ed intelligente. Le otto tracce contenute, sono accomunate dal desiderio di devastare il mondo: veloci crushing riffs pestano dal primo all’ultimo minuto sull’acceleratore non lasciando via di scampo; la batteria, martellante e precisa, che sfocia spesso in territori grind, segna il tempo che scorre, con il malvagio growling di Matti a vomitare tutta la sua rabbia. L’influenza della scuola americana c’è e la si percepisce interamente nella musica del quartetto finlandese: ottima tecnica individuale, unita a fantasia compositiva (merce assai rara nel brutal death). L’attitudine splatter/gore dei nostri è poi sempre ben radicata nei loro testi, così come accade per i maestri di sempre Cannibal Corpse. Proposta convincente, peccato solo che il quartetto di Imatra sia ai box ormai da 12 anni. (Francesco Scarci)

(Firebox Records - 2007)
Voto: 71

http://www.scentofflesh.com/

giovedì 19 dicembre 2019

Rose Funeral - Crucify, Kill, Rot

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Death/Grind, Job for a Cowboy
Una pioggia minacciosa apre questo cd; poi una scarica di metallo incandescente invade le casse del mio stereo con il coro “Crucify, Kill, Rot” urlato a squarciagola dal vocalist. Inizia cosi il lavoro di questi sconosciuti Rose Funeral, autori di un sound caratterizzato dall’alternarsi di lentissimi e pesantissimi riffoni di chitarra, a brevi sfuriate death-grind. Diciamo subito che la parte predominante del cd sono proprio i breakdown che relegano in secondo piano tutto il resto, rendendo alla lunga (anzi dopo brevissimo tempo) il lavoro abbastanza noioso. La band di Cincinnati, influenzata da sonorità proprie di The Black Dahlia Murder, Job For A Cowboy, Arkangel e Prayer for Cleansing, non inventa nulla di nuovo, anzi, distrugge ciò che di buono è stato fatto fino ad ora da altri act statunitensi. La ritmica, violentissima, è interrotta troppo spesso dai già citati breaks; l’aria che si respira si fa asfissiante e tutto, alla fine, puzza di già sentito. Le doppie vocals, in screaming e growl, completano un quadro, visto fin troppe volte. Suggerito solo agli amanti di sonorità di questo tipo, gli altri si tengano bene alla larga. (Francesco Scarci)

(Siege of Amida Records - 2007)
Voto: 50

https://www.facebook.com/rosefuneralmusic

mercoledì 18 dicembre 2019

Chthonic - Seediq Bale

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Symph Black, Cradle of Filth, Sad Legend
Quando si legge “Made in Taiwan”, si tende spesso a pensare a tutti gli oggetti tecnologici prodotti in quella piccola isola dell’Estremo Oriente, ma non solo. Io la ricordo pure come la patria dei Chthonic, band in giro dal 1995 e per cui vale la pena parlarvi di 'Seediq Bale', album numero quattro. I nostri propongono un black sinfonico selvaggio e assai melodico, che gode di un’ottima produzione, in grado di accrescere notevolmente la qualità delle orchestrazioni inserite. Quando uscì il disco, sinceramente non li conoscevo, e ricordo di essere rimasto favorevolmente impressionato dalla dinamicità del combo asiatico. La fonte d’ispirazione dei Chthonic di quegli anni era chiaramente il black vampiresco dei Cradle of Filth, ma devo ammettere che l’act orientale si dimostrava già abile nel creare soluzioni alternative alla band di Dani Filth e soci, con l’impiego di strumenti tradizionali asiatici, ad esempio l’er-hu, una sorta di violino a due corde, capace di donare un’aura funerea al proprio sound. La produzione bombastica conferisce poi, una certa potenza alla musica dei nostri; in alcuni frangenti il richiamo alle tradizioni del proprio paese è cosi forte, che le sonorità si avvicinano ad un mix tra i coreani Sad Legend e i giapponesi Tyrant. In alcuni brani si respirano atmosfere gotiche, in altri si captano quelle tipiche melodie orientali (ascoltate attentamente “Bloody Gaia Fulfilled”) sentite spesso nei film cinesi. Il cd è una cascata di emozioni, note selvagge che non lasciano scampo all’ascoltatore nel rifiatare un attimo, una scarica adrenalinica che ci accompagna lungo le nove tracce contenute. I chitarristi elaborano intricate linee di chitarra, mentre il vocalist Freddy, segue le orme di Dani, tra screaming e growling vocals. Da segnalare l’ottima performance operistica della singer femminile, Doris. A livello lirico 'Seediq Bale' narra la tragica storia di Manarudao che ha portato il suo popolo alla guerra d’indipendenza contro Cina e Giappone, un inno alla libertà che i nostri hanno raggiunto, dopo il distacco del loro paese, dalla legge marziale cinese. Nel cd sono inoltre contenuti diversi video, sia in studio che live. Grande band, che ho supportato da quel giorno in avanti lungo tutti i loro album, anche quelli più controversi, per cui mi sento di consigliare il cd a tutti gli amanti di sonorità sinfoniche siano esse estreme oppure no. (Francesco Scarci)

(Down Port Music - 2006)
Voto: 77

https://chthonic.tw/