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mercoledì 1 marzo 2017

Pijn - Floodlit

#PER CHI AMA: Ambient/Post Metal, Pelican, Isis
Quello dei Pijn è uno di quegli album che mi eccita come una ragazzina, peccato solo che 'Floodlit' sia un EP che sfiora i venti minuti di durata. Perché tutto questo entusiasmo vi chiederete? Semplice, il terzetto di Manchester ha rilasciato quattro song davvero particolari: si parte dai riverberi drone di "Dumbstruck & Floodlit", song che evolve in un post rock dalle tinte sperimentali, che nelle sue evoluzioni sonore richiama a random Russian Circle, Pelican e nelle parti più tirate anche gli Isis, in una versione più ipnotica. La traccia riserva buona parte del suo lungo minutaggio a sonorità emozionali prima di esplodere nel finale in un turbinio sonico caratterizzato da un rifferama tonante, urla belluine, melodie celestiali che salgono in cielo in un crescendo quasi soprannaturale, in cui compare addirittura il suono di un folle sax e di violini, in un'atmosfera surreale, da brividi. Un qualcosa che mi ha ricordato per certi versi la solennità di "Plains of the Purple Buffalo (Part 2)" degli *Shels. Grandioso, non aggiungo altro. Solo questo pezzo vale il prezzo, abbastanza esiguo peraltro, del cd. Sfiancato dalla tempesta sonora della opener, mi ritrovo cullato dalle note oniriche di "Hazel", un breve interludio di un paio minuti affidati ad un multistrato di sintetizzatori che da dolci divengono a poco a poco inquietanti. Ancora un intermezzo, questa volta decisamente più elettrico, è affidato alle chitarre distorte di "Cassandra" che introducono ahimè all'ultima gemma di questo 'Floodlit', "Lacquer". Riverberi allucinati si dipanano nell'epilogo dell'ultima song, accompagnati da un growl dirompente (e davvero convincente), trame ritmiche deviate e drappeggi progressive. Arie quasi paradisiache sono affidate al suono degli archi e del sax che supportano la band inglese in questa meravigliosa traccia ove compare anche un parlato in francese. Che altro dire se non che 'Floodlit' per me merita già la palma di new sensation di questo primo scorcio di 2017. Sublimi, anche se mezzo punto in meno va per la scarsa durata dell'EP. (Francesco Scarci)

(Holy Roar Records - 2017)
Voto: 80

https://pijn.bandcamp.com/album/floodlit

martedì 28 febbraio 2017

Vreid - Pitch Black Brigade

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Black & Roll, Darkthrone, Satyricon, Motorhead
Prosegue lo spazio Back in Time nel Pozzo: questa volta andiamo a pescare il secondo album dei norvegesi Vreid, 'Pitch Black Brigade', uscito nel 2006 a distanza di un anno e mezzo dal debut 'Kraft'. Per chi non conoscesse la storia della band norvegese, sappia che è nata dalle ceneri dei mitici e sfortunati Windir, dopo la tragica morte del loro cantante Valgar nel gennaio 2004. E 'Pitch Black Brigade' continua il discorso iniziato con il precedente lavoro ossia un black metal old style sporcato da contaminazioni groove rock che hanno permesso alla band di essere etichettati come gruppo Black & Roll, insomma una sorta di Darkthrone mascherati da Motorhead. A questo stile rozzo e selvaggio, fatto di infernali riffs e grim vocals, si aggiungono momenti di riflessiva rilassatezza e altri di atmosferica quiete grazie ad intermezzi acustici assai efficaci. Brani come “Left to Hate” o la title track ci consegnano una band in ottima forma, capace di coniugare ottimamente la cattiveria del black metal con il rock’n’roll grazie a melodie molto catchy. “The Red Smell” inizia come una cavalcata in pieno Darkthrone style, poi rallenta per poi ridiventare feroce e sciorinare riffs sporchi dove lo screaming malvagio di Sture urla tutto il proprio dolore; il brano si chiude con un assolo di Strom, ex chitarrista dei Cor Scorpii, ospite in un paio di pezzi dell’album. “Hengebjǿrki” si apre con un’intro tastieristica di due minuti, poi scatena l’inferno nei restanti sette, alternando comunque emozionanti momenti acustici e cori epici; questa più di tutte, è la song che mi ha richiamato alla memoria i defunti Windir. Come al solito, le liriche si dividono fra testi in inglese e in norvegese, narranti eventi storici del ventesimo secolo. In sostanza, 'Pitch Black Brigade' conferma già dagli esordi (e che verrà confermata in futuro dagli altri album) la validità di un gruppo che ha saputo cambiare direzione nel momento giusto della propria carriera... convinti e convincenti! (Francesco Scarci)

(Tabu Recordings - 2006)
Voto: 75

https://www.facebook.com/vreidofficial

lunedì 27 febbraio 2017

Assent - We Are The New Black

#PER CHI AMA: Death/Metalcore/Nu Metal
Continua l'ondata di band provenienti dalla Francia, tant'è che si potrebbe parlare quasi di una vera e propria "New Wave of French Heavy Metal". Gli ultimi, cronologicamente parlando, che hanno bussato alla porta del Pozzo dei Dannati sono i parigini Assent, un duo arrivato al debutto a dicembre 2016 con questo 'We Are the New Black'. Il genere proposto dai nostri, lungo le sei tracce di questo EP, è una mistura di death e metalcore, tinto però di sonorità prog e nu metal, in un pout pourri che potrebbe inglobare anche gothic, punk e molto altro. Non sempre però convogliare decine di generi musicali in un album può risultare vincente. Qui le cose, dopo la solita intro strumentale, divengono già assai complicate col pastone affidato alla title track, dove in un inizio da ninna nanna, ecco collidere subito screaming vocals con voci pulite. Sghembe linee di chitarra melodica di natura progressive avanzano in un pezzo che soffre di una certa carenza di fluidità, sebbene si percepisca che ci siano buone idee di base, ma semplicemente mal assemblate. Proviamo ad andare oltre per provare a capire di più degli Assent: l'inizio di "Reaching Out" suona in stile Pantera, un cantato in screaming rappato converge successivamente il sound della band verso lidi nu metal che non mi fanno troppo sorridere, anche se l'utilizzo quasi tribale della batteria, devia la mia attenzione a livello dei singoli strumenti, perdendo per un attimo l'attenzione dal flusso sonoro che persiste nel balbettare. "A Part of Me" risente ancora di influssi americani in stile nu e metalcore, sebbene provi a percorrere territori alternativi che finiscono ahimè per creare sonorità a tratti confusionarie, che faticano a rimanere impresse nella testa. Un bel piano apre "Remain in Darkness", poi un cantato in growl prende possesso della scena e finalmente i nostri mi sembrano per la prima volta convincenti nel loro incedere da gothic metal opera, anche se la ripetuta alternanza vocale, non agevola l'esito conclusivo, ancora carente in fatto di fluidità. È forse con la conclusiva "Insomnia" che il duo riesce a strappare una sufficienza risicatissima, merito di una song più lineare, orecchiabile e carica di groove. Gli Assent non mi hanno convinto granché, conto di capirci qualcosa di più con la prossima release. (Francesco Scarci)

Zora - Scream Your Hate

#PER CHI AMA: Brutal Death, Cannibal Corpse, Suffocation
Zora è il loro nome e da Vibo Valentia lanciano il loro urlo di totale disprezzo nei confronti di tutti quegli atteggiamenti e di tutte quelle persone che imbastardiscono giorno dopo giorno ogni sfera e aspetto della vita e della razza umana. Questa è la citazione presente in allegato al full length 'Scream Your Hate' uscito lo scorso autunno. I presupposti sembrano buonissimi, visto che la band calabrese, dedita ad un brutal death di stampo americano, è ormai in giro dal 2003, peraltro con un discreto numero di produzioni. Al primo ascolto sono però rimasto ammutolito, e sfortunatamente in negativo. La registrazione infatti è di scarsa qualità, o meglio non è una registrazione da giorni nostri; una cosa del genere l'avrei accettata forse nei primi anni 2000, non certo adesso. La batteria è fuori tempo in quasi tutti i blast beat; nei momenti di maggior impeto poi (e ce ne sono parecchi), non si capisce cosa stia combinando da quanto la registrazione sia ovattata. Uno o due riff cantilenanti monocordi per ogni canzone, rappresentano la proposta degli Zora con un sound che satura le orecchie di chi ascolta già dopo il primo minuto. La struttura dei brani suona un po' troppo banale, con un basso inesistente e un growl, che di primo acchito può ingannare sulla potenza del cantante, ma dopo poco si intuisce che questa performance la si può esercitare solo in fase di registrazione. Il punto più basso di tutto l'album si tocca nell'intro di "Refuse", con uno sketch preso da "Azione Mutante", film spagnolo del 1993, dove uno pseudo dittatore vaneggiava frasi tragicomiche. Dopo aver sentito quest'ultima perla, unita al flyer di accompagnamento e a quello che i nostri propongono, mi son detto: "questi vogliono essere come i Brujeria, ma non ne hanno azzeccata una". Forse il mio giudizio su quest'album sarà un po' troppo duro, qualche idea c'è, unita ad alcuni buoni riffs di matrice nineties, ma vista l'esperienza della band, francamente non è accettabile che si sia arrivati a tali livelli. Bocciati. (Zekimmortal)

domenica 26 febbraio 2017

Eyelids - Departure

#PER CHI AMA: Depressive Black, Blackgaze
Poche le informazioni trovate in rete a proposito di questa band nostrana: si tratta di un trio composto da M, F e D (facile, ma questo era già riportato all'interno del cd), le cui origini dovrebbero ricondurli alla Basilicata, fondati nel 2012 e che solo nel 2016 giungono alla pubblicazione di questo EP, grazie prima alla Masked Dead Records e poi alla Adimere Records. Tredici minuti di musica sono sempre pochi per giudicare appieno l'operato di una band, ma come si dice, chi si accontenta gode. E allora si prema il tasto play del lettore e ci si immerga nelle malinconiche atmosfere degli Eyelids e del loro 'Departure'. "Betrayed" rivela quanto i nostri siano dei cultori del blackgaze con una song mid-tempo, dotata dei classici ridondanti giri di chitarra a rallentatore che disegnano melodie strazianti (cosi come pure le vocals), di "burzumiana" memoria. Quello che apparirà subito chiaro è una produzione non propriamente cristallina, che ai cultori del bel suono magari farà storcere il naso, ma si sa che in questo genere, più si è sporchi e disperati, meglio è. La title track prosegue sull'onda emotiva dell'opener, evocando nelle sue linee di chitarra assai depresse, la primordialità che si riscontrava in 'Le Secret' degli Alcest. La lentezza si fa ancor più preponderante nella conclusiva "Disclosure", un pezzo che non aggiunge nulla di nuovo a quanto detto sinora, ma che offre un ulteriore spaccato della musica sofferente di questi ragazzi. Non è certo un disco che mi sento di consigliare a chiunque, ma coloro che sono fan di gente come Austere o Woods of Desolation, un orecchio lo porgano pure a questi Eyelids. (Francesco Scarci)

(Adimere Records - 2016)
Voto: 60

Harakiri for the Sky - III: Trauma

#FOR FANS OF: Post Black, Agalloch, Drudkh
Harakiri for the Sky is a post-black metal band from Vienna, Austria that bends the early Agalloch and later Drudkh template to their own will. This is a group that plays along the lines of Deafheaven, Fen, and Waldgefluster, a branch that has grown out from Ulver's influence and pushed a more artsy black metal direction. In a sound that intertwines the disquiet of lingering melodies with trappings of black metal's second wave intensity, Harakiri for the Sky hints at a monumental abomination in each song throughout 'III: Trauma' and sometimes leaves you high and dry with the post-black style taking the reigns. With high quality production, clean sounding guitars, and little grain to overpower the grandiose instrumentation, this is a far cry from the raw old days. Yet you can deeply inhale the palpable legacy of that earlier passion in the layers of morose melodies and fleeting furors when sorrow morphs into anger.

The Agalloch influence is most prominent in “Dry the River” where guitar notes from “The Melancholy Spirit” of Agalloch's 'Pale Folklore' play at a quick pace ringing in counterpoint to each other and bouncing harmonies off each high note in the lingering riff. In lyrics that describe a journey to unlock the mystic wisdom accumulated by personified natural phenomena, the slow build of this song impresses upon the listener. Harakiri for the Sky gives a deeply satisfying payoff of blasting through the enduring melody as the lyrics follow a metaphorical train of thought culminating in the protagonist's gunshot suicide. Feelings of melancholy and being lost turn to anger and single mindedness through the arc of this woeful mental evolution. “Dry the River” and the opening song, “Calling the Rain”, use this tempered approach to bookend a series of faster and more energetic songs. Of that middle group, “Thanatos” kicks off with an aggressive sound compared to the former languishing journeys and beefs up the vigor invoked by “Funeral Dreams” with another invasion of raw blasting. Where “Funeral Dreams” gave you a small payoff in the dynamite department, “Thanatos” rides its galloping rhythm straight into a guitar assault with blasts all around. Similar to Drudkh's later music, this sound carries forth a great exposition of the range of emotions you're bound to experience from this band with even a bit of a clean vocal delivery in the middle of the track's change-up. “Viaticum” is an anthemic piece similar to “Thanatos”. Both pieces bring in some very expressive drumming to join the simpler and catchier guitar melodies making for a memorable listen with sounds that will echo in your ears long after they are gone.

Harakiri for the Sky is quite an entertaining band and 'III: Trauma' is definitely worth a listen. Don't let the phrase post-black turn you back too quickly because even with the extra emotional parts in this album and palpable depression the band can still bring out some rage. There's a good range to this band's style with plenty of Agalloch influence in songs like “Bury Me” and “Dry the River” checking and balancing with the unfettered aggression of “Thanatos” and “Viaticum”. The desiccated petals of the new school's notes cover over the rot and decay of the older underground and are shaping an eternal burial mound. (Five_Nails)

(Art of Propaganda - 2016)
Score: 80

The Pit Tips

Zekimmortal

The Kovenant - Animatronic

The Trip - The Trip
Cathedral - Statik Majik

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Francesco Scarci

Unreqvited - Disquiet
Acrosome - Narrator and Remains
Giraffe Tongue Orchestra - Broken Lines

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Michele Montanari

Föllakzoid - III
Iron Reagan - Crossover Ministry
Red Fang - Only Ghosts

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Don Anelli

Immolation - Atonement
Victorius - Heart of the Phoenix
Skeletal - Dreadful Life

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Eric Moreau

Horacle - Dead Eyes Revelations
Liege Lord - Master Control
Ancient Empire - When Empires Fall

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Kent

Antaeus - Condemnation
Andris Nelson (Boston Symphony Orchestra) - Shostakovic: Under Stalin's Shadow - Symphony N. 10
Subheim - Trails

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Five_Nails

Harakiri for the Sky - III: Trauma
Thrice - Vheissu
An Autumn for Crippled Children - Eternal


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Caspian Yurisich

Eternal Champion - Armor of Fire
Conan - Revengeance
Glass Shrine - Lapidary

 

sabato 25 febbraio 2017

Sparkle in Grey - Brahim Izdag

#PER CHI AMA: Experimental Post Rock
Sempre difficile definire una band come i milanesi Sparkle in Grey, al secolo Matteo Uggeri, Alberto Carozzi, Franz Krostopovic e Cristiano Lupo, anche perché, disco dopo disco, cambiano pelle e vestito rimanendo sempre però estremamente vivi e interessanti nella loro proposta musicale, che qui per brevità, potremmo definire come una sorta di post rock che sposa sonorità mediterranee e mediorientali. Quello che senz'altro caratterizza questo 'Brahim Izdag' (oltre alla solita, magnifica e certosina cura per tutti gli aspetti produttivi, non ultimo quello del packaging) è la sua connotazione di disco in qualche modo “politico”, a partire dal titolo, tributo allo sciatore marocchino che riuscì a partecipare all'olimpiade invernale di Albertville, nel 1992. Perché Izdag, oltre ad essere divenuto famoso per la sua disastrosa performance, rappresenta quel desiderio, anzi, quel diritto all'integrazione che è un tema piú che mai caldo nell'Europa contemporanea. E così le 14 tracce che compongono l'album vanno a tracciare un affresco che è un inno al meticciato sonoro, all'incontro e all'integrazione, attraverso rock muscolari, melodie popolari uzbeche e ucraine, classici di Clash (una "White Riot" che diventa “Grey Riot”, parla cinese e suona come i Chumbawamba), Linton Kwesi Johnson (una versione attualizzata di “Inglan is a Bitch”, rinominata “Iurop is a Madness”) e Sly and the Family Stone ("There’s a Riot Goin’on") affiancati a brani originali estremamente efficaci nel loro declinare un tema in varie sfumature esasperandone ora il lato piú drammatico, ora quello piú giocoso, con un linguaggio musicale sempre in equilibrio tra rock, elettronica e profumi di spezie di mercati lontani. Ottimo lavoro. (Mauro Catena)

(Greysparkle/Old Bicycle Records - 2016)
Voto: 80