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sabato 17 agosto 2013

Fall Of Minerva - Departures And Consequences

#PER CHI AMA: Post-Core, Post-rock, Alexisonfire
Questo EP di debutto dei Fall of Minerva potrebbe comodamente essere usato come manifesto per tutto il movimento underground vicino al post-core sviluppatosi da un lustro a questa parte. Contiene tutti gli elementi caratterizzanti questi anni buii di musica dove abbonda la conformità di nicchia, dispersi in un mare di subgeneri e band valide, per cui necessitiamo di fari per sintetizzare elementi presenti in tutto il panorama musicale e riuscire ad avere la sicurezza sonora di un prodotto di qualità apprezzato dal naufrago ascoltatore. I Fall Of Finerva sono uno di questi fari, figli di una stratificazione di generi emersa dal crollo delle antiche civiltà del metal, del rock e del punk hardcore. Ma fondamentalmente che dire della musica? C'è tanto e poco da parlarne, la prima traccia "We're not Allowed Think of Us" riassume la formula del gruppo vicentino, l'apertura con un timido piano si sposta verso preponderanti sonorità screamo infuse di post-rock che mutano aprendo larghe parentesi metalcore e mathcore. L'andamento del disco è pressochè questo, un alternarsi di melodie ed atmosfere alla Sigur Ros e sfuriate core alla Underoath. Un lavoro che presenta un'ottima base di partenza in tempi maturi per queste sonorità. (Kent)

Face Down - The Long Lost Future

#PER CHI AMA: Thrash, Stoner, Pantera, Blind Dog, Alabama Thunderpussy
Mettiamola così: se i Pantera esistessero ancora, se Darrell e soci avessero seguito la deriva southern di Phil Anselmo ben raccontata nei Down, probabilmente oggi suonerebbero come i Face Down. Il quartetto francese, al loro primo full-lenght dopo un EP del 2010, mette insieme una forte dose di thrash metal vecchio stile con una punta di stoner rock: non aspettatevi certo le derive psichedeliche alla Kyuss, né quelle rock'n'roll di Fu Manchu o Queens of the Stone Age. Qui c'è velocità, distorsione metal, doppia cassa in abbondanza; il riffing è serrato e ben costruito, la ritmica mai scontata (finalmente un batterista davvero interessante per presenza e originalità) e i solos hanno spesso quel sapore blues che ha fatto la fortuna dell'ultimo compianto Dimebag. Dovendo dare delle coordinate più vicine, potrei citare gli Alabama Thunderpussy e i purtroppo poco noti Blind Dog, con quella mistura sempre equilibrata tra violenza sudista e blues. A contribuire con forza alla deriva stoner è senz'altro la voce: urlata ma senza mai cadere nel growl, sempre appoggiata su una melodia che ricorda l'intonazione di Jon Garcia. I brani scorrono veloci e potenti e, a parte due episodi di soli due minuti (l'acustica strumentale "Under the Sun", la velocissima sfuriata hardcore "Kiss of Death" e la brevissima parentesi di "Evil Blues"), tutti i brani hanno durate superiori ai quattro o cinque minuti, a riprova di un metal non strettamente citazionista del solo thrash dei Pantera. Sono molti i brani simbolo del gruppo, che dà quindi prova di idee chiare per tutta la durata dell'album: "Smoke Coat" è un vero laboratorio di riff sul mid-tempo, "Only Human", "N°1 Must Die" e "Blow Away the Dust" sono tre veri pugni in faccia, peraltro consecutivi, per velocità e potenza. Mi chiedo solo, pensando al futuro del quartetto: cosa succederebbe ai Face Down se abbandonassero ancora un po' la loro anima thrash a favore di atmosfere più ispirate e desertiche, di un riffing più lento e cadenzato? Può davvero essere questa una strada possibile per la fusione di due generi che hanno sempre avuto più di un punto di contatto tra loro? (Stefano Torregrossa)

The Absence - From your Grave

#PER CHI AMA: Swedish Death, Arch Enemy, Divine Souls
La Metal Blade da sempre sforna dischi di discreto valore. Da Tampa, Florida, arrivano questi The Absence, con quello che fu il loro full lenght d’esordio (un EP al loro attivo, risalente al 2004). Una breve intro chitarristica apre “From your Grave”, album dai forti richiami alla Arch Enemy con buone ritmiche, frutto del lavoro dei due axemen, che ricamano coinvolgenti fraseggi chitarristici. Non siamo di fronte a nulla di originale, per carità, tuttavia per lo meno questi ragazzi ci regalano una quarantina di minuti di death metal melodico, con dei pezzi emozionanti: è il caso di “A Breath Beneath” per il suo forte richiamo alla band svedese di M. Amott, la successiva “Necropolis”, per le aperture melodiche di chitarra e la coinvolgente title track. Ottimamente prodotti da Erik Rutan (Into The Moat, Soilent Green, Hate Eternal) presso i Manna Studios, gli Absence si dimostrano anche validi esecutori, con un discreto gusto per la melodia; lo testimoniano gli assoli della title track, ottima la chitarra solista in “Summoning the Darkness” e l’acustica “Shattered”. Da non trascurare anche la prova di Jamie Stewart, ottimo vocalist della band. Aggressivi, melodici al punto giusto, tecnici, un vero peccato che di album di tale fattura ne siano usciti a tonnellate nell'ultimo decennio, altrimenti questo lavoro (ormai datato 2005), avrebbe meritato anche qualcosina in più... (Francesco Scarci)

Continuo Renacer - Continuo Renacer

#PER CHI AMA: Prog/Techno Death, Gordian Knot, Aghora, Pestilence
Originari della penisola Iberica, i Continuo Renacer, band a me totalmente sconosciuta, sono in attività già dal 1994, con un sound influenzato da act quali Cryptopsy, Death e Suffocation. L’anno 2000 segna il punto di svolta per il gruppo, con il delinearsi di una line-up stabile, priva di un cantante e la virata del proprio stile musicale verso un genere più tecnico e progressivo fuso con il jazz, volto a dare alla band un sound più fresco e innovativo. Sicuramente i tre musicisti baschi dimostrano un più che discreto bagaglio tecnico, magnifico è infatti il basso slappato in alcuni passaggi a ricordarmi le performance di Steve di Giorgio nei Death; forti poi i richiami ai Cynic e alle varie creature nate dalle costole di questi ultimi, Gordian Knot e Aghora. L’unica pecca di quest’album omonimo (datato 2005 e che ha visto un come back discografico solo nel 2011), potrebbe sicuramente essere rappresentata dalla scelta di non avere un cantante a spezzare il ritmo, talvolta fin troppo arzigogolato dei brani, dove spesso le sperimentazioni scadono in esercizi di tecnica fini a se stessi. Interessanti indubbiamente sono i passaggi jazz e prog-rock, che si fondono alla perfezione con un genere assai ostico come può essere questo, fatto di pezzi troppo pretenziosi e complicati e con continui cambi di tempo volti a disorientare l’ignaro ascoltatore; tuttavia non abbastanza sufficienti da impreziosire questo album di debutto che comunque, si assesta su una sufficienza piena. Da rivedere sicuramente la possibilità di assoldare un cantante in formazione... (Francesco Scarci)

Prassein Aloga – Midas Touch

#PER CHI AMA: Heavy/Crossover, Iron Maiden, Sons of Selina, System of a Down
Ultimo album datato dicembre 2011, distribuito via digitale da Heart of Steel per questa band greca nata nel 1995, che ha goduto di buoni riscontri in patria poiché, ad eccezione di questo "Midas Touch", l'ensemble ellenico ha sempre usato la lingua madre per esprimersi. Proprio l'uso a sorpresa della lingua inglese ha dato nuovo slancio e verve a questa formazione molto interessante nonché l'aumento della qualità maggiorato dall'apporto in ben due brani della prestazione vocale di Paul Di Anno, mai dimenticato primo vocalist degli Iron Maiden. Tornando al contenuto del disco dobbiamo ammettere che è straripante di idee, intersecazioni di generi e modi di intendere il rock e il metal a 360 gradi. Troviamo il classic metal dei primi Iron Maiden mischiato a forme psichedeliche vicine agli indimenticatbili Warrior Soul, riff granitici di scuola primi Lamb of God oppure schegge di nu metal a ricordare certe cose dei System of a Down. A volte i nostri ricordano l'hard rock o il thrash più sanguigno, il prog metal più classico con piccoli episodi per così dire pop di lusso, con tastiere in buona evidenza, assoli e riff di carattere e una buona sezione ritmica, ma la differenza reale sta nella versatilità della bellissima voce del cantante Angello che varia continuamente e alla fine dona un tocco di moderno alternative metal anche ai brani più statici. In questo disco la varietà sonora è così vasta che a stento si trovano delle sbavature, considerando poi la fantasia e la costante seppur complessa o variegata orecchiabilità dei brani (qualcosa fa ricorda anche i grandi Sons of Selina, mitica prog rock band underground di fine anni '90), tale che potremo definire questo album un piccolo gioiellino da avere assolutamente... In questo cd ci sono brani per tutti i gusti metallici, in tutte le salse, dall'heavy al crossover senza scardinare l'istrionica e camaleontica originalità della band. I Prassein Aloga ci donano questo lavoro mettendo in mostra tutte le loro doti compositive ed esecutive in quattordici brani da ascoltare tutti d'un fiato senza mai sapere cosa aspettarsi dal brano che segue. Immaginate di ascoltare i 35007 dell'omonimo album suonare una cover degli Iron Maiden tratta dal loro primo disco e avrete un'idea della prima traccia reale, dopo l'intro di questo "Midas Touch" e se non bastasse per capirli, potremo passare direttamente alla tredicesima e quattordicesima traccia, una ballata e uno strumentale con piano straziante e assolo di rarefatta floydiana memoria con altre mille venature seventies sparse qua e là... Un disco per menti aperte e cervelli che elaborano e macinano musica rock e metal a tutto campo senza limite alcuno ed epoca. Una grande prova di maturità, un cd da ascoltare, una band da seguire!(Bob Stoner)

Kaptivity - Walk Into the Pain

#PER CHI AMA: Old school Death metal, Grave, Deicide
Era da tanto che non mi capitava di ascoltare qualcosa di old school e tutti sono a conoscenza che la scena italiana non abbia tantissime band che seguono queste sonorità, purtroppo, sopratutto in ambito death metal. I Kaptivity riescono nel loro intento grazie ad un songwriting aggressivo che non cade mai nella banalità, ed è forse questo che pecca nel loro disco (o probabilmente che vorrei sentire io): una attitudine schietta e menefreghista capace solo di rappresentare le più becere musiche. Quello che io identifico come il "problema" è l'effettiva capacità strumentale e compositiva del combo emiliano che riesce perfettamente nel suo intento di creare delle tracce di matrice death old school con un pizzico di aria macabra e funeraria. Dopo l'atmosfera creata dall'intro, le composizioni sono un sussegguirsi di violenza sonora e di bieca oscurità, in primis le tracce "City of Pain" e la evocativa "Burning Until the End". Avrei preferito "Dawn of the Immolated" successiva all'"Intro", dato che è impossibile ascoltarla composti. L'opera risulterà molto piacevole per tutti gli amanti di un certo death metal primordiale o per coloro che sono alla costante ricerca di nuove leve per vecchie sonorità. (Kent)

mercoledì 14 agosto 2013

Picatrix - Quaestio Prima

#PER CHI AMA: Ambient elettronica downtempo
Difficile introdurre quest’artista, poiché avvolto dalla nebbia del mistero. L’unica cosa che si può narrare, è che pare quest’opera sia scritta e composta da Luigi Seviroli (autore, tra l’altro, di alcune musiche per fiction italiane e del film su Dylan Dog), ma non è chiaro se sia proprio lui sotto pseudonimo. Altra chicca, è l’intervento all’interno del booklet del famoso scrittore Valerio Evangelisti (ricordiamo “Il Ciclo di Eymerich”, e la trilogia di Nostradamus), che loda questa breve composizione di 5 tracce. Tutta l’opera, ormai datata 2005, catapulta l’ascoltatore in un limbo che evoca immagini di vita medievale, con sterminati campi e villaggi fatti di capanne sotto il castello, aiutati anche da note di cornamusa sintetizzate (presente in tutte le operette), oltre che a momenti di suspense in “Zohar et Metatron”. Note allegrette si possono sentire in “The Inquisitor” che con la cornamusa quasi crea un’atmosfera giocosa. Tutt’altra ambientazione viene creata in “From Hell”: cupa, inquietante, drammatica. 10 minuti angosciosi, che lasciano l’ascoltatore in sospeso ma che riportano alla perfezione la parte più nera e tenebrosa del medioevo, piena di fantasmi e ignoranza. Si chiude così quest’ambiguo album, perfettamente mimetizzato nella nebbia più fitta e che, nonostante i numerosi ascolti, risulterà veramente impenetrabile da comprendere. Di sicuro è perfetto per qualche serie televisiva in costume, o come sottofondo musicale per leggere. (Samantha Pigozzo)

The Coffeen - You Must Be Certain of

#PER CHI AMA: Heavy Doom Stoner Punk
Caffettiera, bara da morto e altre amenità, questo album è un calderone infernale di generi (stoner-doom-heavy metal-dark-punk-blues-la suoneria dell' Iphone, etc.) che se preso nel modo giusto, non è così male. Per modo giusto intendo non seriamente, dopo tutto cercar di fondere generi diversi è già stato fatto, però o hai le palle per farlo bene, altrimenti cadi nel banale. Tecnicamente niente da dire, si sente che c'è esperienza e pelo sullo stomaco, ma ormai non basta quello, da anni. Parliamo brevemente di "Zombie for Breakfast", doom iniziale lento come un cadavere che cerca di risalire dalla sua tomba e vocione grosso in dark style. Poi si cambia e via di punk, assolo di wah wah e cori che ricordano l'heavy metal degli anni 80. "Fistfuck Rising" è uno stoner primordiale, neanche fossero mai esistiti i Kyuss e gli Sleep. Giri ripetitivi e voce con un pò di riverbero, giusto per non perdere lo stile vintage del cd. Chiudo (sennò sto male) con "When the Telephone Doesn't Ring" che risolleva i The Coffeen, almeno per alcuni riff che catturano l'orecchio del vecchio rocker e lo incitano a smuovere le budelle bruciate dal troppo whisky trangugiato nei molti anni di concerti dei Motorhead, ZZ Top e co. Che vi devo dire, ascoltatevi le altre tracce e decidete che farne. Italians do it better, come recitano i The Coffeen, ma cosa facciamo meglio? Sicuramente non facciamo valere le nostre idee e non mettiamo in gioco il nostro culo per qualcosa in cui crediamo. Noi al massimo il culo ce lo facciamo rompere, non solo da Rocco. (Michele Montanari)