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martedì 10 gennaio 2012

Black Flame - Septem

#PER CHI AMA: Black Death, Behemoth, Incantation
Diabolica paura agghiacciante! È forse la combinazione di queste tre parole a riassumere il contenuto del come back discografico dei torinesi Black Flame. Da sempre Torino, rappresenta la culla della magia e dell’occultismo, delle forze soprannaturali, vertice di due triangoli magici: il primo, quello bianco, con Lione e Praga, mentre il secondo, quello nero, assieme a Londra e San Francisco. Tutte queste forze si incontrano o forse si scontrano già nel triangolo letale posto sulla cover cd (ad opera peraltro di Niklas Sundin dei Dark Tranquillity) e poi nelle note di questo feroce, oscuro e malvagio lavoro che segue a distanza di tre anni (ancora ricorre questo numero) “Imperivm”. La musica dei nostri è un connubio di black death votato alla fiamma nera, che riprende la violenza della precedente release, inasprendola forse in termini di potenza piuttosto che di ferocia. “Septem” è una estenuante cavalcata che si apre con delle angoscianti vocals, che sanno molto di una ritualità ancestrale, che lasciano ben presto il posto al riffing agghiacciante emesso dalla chitarra di Cardinale Italo Martire (responsabile anche delle vocals maligne dell’album). La ritmica si fa brutale più che mai nella seconda parte del brano dove allucinanti blast beat iniziano a piegarci le gambe. Il riffing si fa più malato in “The Seventh Star”, dove anche le vocals appaiono inizialmente più effettate, mentre la batteria picchia come un’invasata macchina da guerra, prima di un finale in cui le chitarre, si rivelano affilate come rasoi e creano raggelanti atmosfere da incubo; eccitante tutta questa malvagità che scola dalle corde del chitarrista. La corroborante devastazione del combo piemontese continua in “Endless Duality”, dove le atmosfere si fanno cosi pesanti e rarefatte da richiamarmi un che degli australiani Disembowelment, prima di esplodere ancora nel fragore della tempesta death metal, che riporta ai maestri polacchi Behemoth. “Septem” non lascia scampo, incalza nervosamente, penetrando lentamente le nostre menti con i suoi suoni diabolici, spaventosi e terrificanti. E ancora oscuri rituali primordiali aprono “I Am the Vortex” (che vede il contributo dei Satanismo Calibro 9, cosi come pure nel finale industriale di “Matrix of Cosmic Light”) che dopo 3 minuti di ataviche litanie, cede il passo di nuovo alla distruzione death perpetrata dai nostri. Annientato dalla furia dei Black Flame, mi appresto ad ascoltare la seconda parte dell’album che con un terzetto annichilente di song, mi dà il colpo di grazia: prima la rabbia di “The Morbid Breed”, che si fa notare per la sua estenuante velocità e un break centrale cadenzato, dove vorrei esaltare l’eccezionale lavoro di M:A Fog dietro le pelli; “Zombies Without Hunger” è forse la traccia più selvaggia dell’album, anche se il finale è a dir poco ipnotico, sinistro e completamente schizoide, una vera bomba. A chiudere questa malefica release, ci pensa la già citata “Matrix of Cosmic Light”, song di un demoniaco e posseduto death metal ultra tecnico (come tutto il lavoro del resto) che ci conferma che quello dei Black Flame si candida ad essere uno dei prodotti più interessanti, in ambito estremo, di tutto il 2011. Oscuri e affascinanti! (Francesco Scarci)

(Behemoth Productions)
Voto: 80

http://www.black-flame.net/

lunedì 9 gennaio 2012

Ecnephias - Inferno

#PER CHI AMA: Black Dark Gothic, Rotting Christ, primi Death SS
Non poteva mancare sulle pagine del Pozzo, il come back discografico degli Ecnephias, band lucana che seguo sin dal loro primo cd, che con questa nuova release, li vede tra l’altro, al loro esordio su Scarlet Records, brava nel sottrarli alla Code 666. Il digipack si presenta inquietante fin dalla lugubre copertina, dove una Madonna (deduco) lacrimante sangue giace su un letto, con in braccio un bimbo (Gesù Cristo?). Poche note di pianoforte introducono “Naasseni” e poi ecco esplodere l’urlo di “A Satana”, dove a colpirmi immediatamente, è la forte connessione musicale con gli ultimi Paradise Lost, con un bel riff di base avvolto da orientaleggianti melodie create dalle tastiere di Sicarius e con il buon Mancan ad alternare il suo growling ad una voce non del tutto pulita, passando tra l’altro con estrema disinvoltura dall’inglese all’italiano (da sottolineare che il ritornello peschi dall’”Inno a Satana” di Giosuè Carducci). La parte finale è poi da stropicciarsi gli occhi, cosi come la successiva “A Stealthy Hand of an Occult Ghost”, dove i nostri riprendono il loro vecchio amore per i Rotting Christ, contaminato però da una verve cibernetica tipica dei The Kovenant, per abbandonarsi ancora una volta ad una chiusura da brividi, affidato ad un basso slappato e a delle fantastiche melodie. Sono entusiasta nel sentire che la band non si sia persa per strada, nonostante i molteplici cambi di line-up, ma abbia anzi continuato la propria evoluzione sonora, sfoderando un’altra prova degna di nota, che spero non lascerete passare inosservata. “Buried in the Dark Abyss” apre con un’altra strofa in italiano (sinceramente, le parti che adoro e che conferiscono quel quid in più alla proposta dei nostri) e poi grandi come sempre a creare atmosfere orrorifiche in stile primi Death SS, grazie a fantastiche keys, intelligenti chitarre, brillanti cavalcate gravide di malinconiche melodie e grazie soprattutto alla voce di Mancan, sempre carica di teatralità, che lo elevano a mio avviso, tra i migliori cantanti in circolazione oggi, grazie al suo spiccato eclettismo. Il disco procede con un altro pezzo interessante, “Fiercer than any Fear”, che dimostra nuovamente quanto i refrain in italiano siano più facili da essere memorizzati e cosi eccomi cantare “Oh Dio del Male della Sorte”. La malinconica “Voices of Dead Souls” (una sorta di semiballad, una bestemmia lo so, perdonatemi ragazzi), rappresenta un altro esempio di quanto i nostri abbiamo enfatizzato maggiormente l’utilizzo della nostra madre lingua a livello di liriche, emerga una spiccata ecletticità nei brani, sempre estremamente vari; ciò che mi esalta rispetto ai passati lavori è, a parte una eccellente cura negli arrangiamenti, anche la componente tecnica del quartetto, talvolta straripante e che esula completamente dal contesto estremo. La fiamma nera brucia ancora nei solchi di questo “Inferno” e non solo per ciò che concerne il titolo: l’anima black continua a permeare di una cupa atmosfera questo magnifico lavoro, che sicuramente ha il pregio di aprire la musica dei nostri a frange decisamente meno estreme del black ma che allo stesso tempo, corre forse il rischio di perdere gli amanti di sonorità più old school. Tuttavia chi segue la band sin dagli esordi, è abituato alle sonorità accattivanti dell’ensemble italico (splendida a tal proposito la sezione ritmica di “In my Black Church” con un profondo basso, quei delicati tocchi di pianoforte, e un sound grondante un groove pazzesco) o alle trovate geniali di Mancan e soci. “Lamia” chiude infine il cd e ancora una volta rimango stupefatto dalla epicità di un brano che starebbe bene nel “Notre Dame de Paris” di Cocciante (va bene, ora ho forse esagerato, ma non vogliatemi male ragazzi, non vuole essere un insulto, ma anzi vorrebbe esaltare il lavoro egregio svolto, che si completa con una bombastica produzione). A chiudere la versione digi ci pensa la bonus track “Chiesa Nera”, che non è altro che la versione in italiano di “In my Black Church”. Che dire ancora? Lasciarsi scappare questo lavoro, sarebbe una delirante follia. Da avere ad ogni costo! (Francesco Scarci)

(Scarlet Records)
Voto: 85

Enid - Seelenspiegel

#PER CHI AMA: Black Epic, Summoning
Gli Enid, fondati da Martin Wiese e Florian Dammasch, muovono i primi passi nel 1997 e inizialmente si pongono come unico intento quello di proporre uno stile musicale del tutto simile agli austriaci Summoning. La band, grazie ai due album usciti per la label australiana CCP ("Nachtgedanken" e "Abschiedsreigen"), comincia gradualmente a sviluppare un suono più personale ed è con questo terzo lavoro "Seelenspiegel" che l'identità della formazione tedesca appare maggiormente definita. Lo stile del quartetto di musicisti (che qui si avvale di un quinto elemento alla batteria, ossia Moritz Neuner degli Abigor) può essere definito come un metal dalle forti connotazioni epiche, in cui le parti aggressive toccano l'asprezza del black metal e vengono alternate a momenti più rallentati e sognanti, caratterizzati dall'uso di una voce pulita e da cori dal sapore folk. Una proposta non molto originale ma che, ad ogni modo, risulta apprezzabile per la cura negli arrangiamenti e per l'interpretazione vocale di Martin Wise che sa essere sempre impeccabile e melodiosa nelle parti pulite. Meno convincente è invece la prova nel cantato black che, a mio parere, si rivela incerto e tutto sommato superfluo. 'Seelenspiegel' è un album che pecca di qualche ingenuità ma che risulta comunque piacevole. Consigliato agli amanti delle sonorità epiche e fiabesche. (Roberto Alba)

(Code 666)
Voto: 70
 

Lunar Portals of the Astral Mirror - Незыблемая власть тоски

#PER CHI AMA: Funeral Doom
…e a volte ritorni alle origini, rendendoti pienamente conto del perché certe melodie sono definite ‘spirituali’, della capacità che hanno nell’evocare nel tuo subconscio energie contrastanti e infinite. Come posso non spingermi in riflessioni filosofiche quando sono davanti a questo tipo di eccellenza musicale? Questo non è “un album”, questo è “l’album” per definizione di come dovrebbe essere un depressive-funeral doom. Dovrà entrare per forza di cose negli annali di storia del genere. Non può essere altrimenti. Signori, abbiamo tre singole tracce (di lunghezza variabile) che racchiudono in esse lo spirito di un’inquietudine talmente profonda da non poter essere espressa a parole. Mantenendoci sul piano puramente musicale si evidenzia un uso sistematico di riff tradizionali slow doom, un uso spasmodico dei piatti (non in senso di oppressione, ma di onnipresenza), pesanti corde di chitarre che creano l’atmosfera per le melodie delle tastiere, e il basso (non ci credo ancora) che si espone in desolati assoli. Un suono potente ma non pressante. Passaggi di melodie che trasportano in universi distanti, in antri dimenticati pervasi da un senso di disperata impotenza. Non vi è ostilità in queste note. Ed è bellissimo. Ecco la musica che prende il ruolo di Madre, che incarna il Bene e il Male allo stesso tempo, che sprigiona una forte volontà di riemergere dagli abissi ma che resta salda nella consapevolezza di essere in un guscio protettivo, mentre si dimora nelle tenebre. E quando senti l’armonia che pervade il tuo spirito ti rendi conto che in tutto il disordine è solo la piccola, debole melodia di una tastiera che apre le porte della speranza… come un’anima, sola, che agogna al termine del samsara in quest’epoca di oscura decadenza. Non ve lo scorderete. (Damiano Benato)

(NitroAtmosfericum Records)
Voto: 90

domenica 8 gennaio 2012

Serment d’Allégeance - Serment I & II


#PER CHI AMA: Dark-Ambient
Opera musicale dai forti tratti magico-cabalistici per il factotum celato dietro Serment, un essere mistico che si autodefinisce “La Masque d’Ames”, lasciando intendere all’ascoltatore molto più di quello che può essere un nome. One-man band proveniente dai merovingi territori al di là dei Pirenei, essenza dolce di un genere ancora poco frequentato nei nostri lidi e adatto (anzi, drasticamente consigliato) ad una fruizione esclusivamente personale. Musica composta da e per un singolo soggetto, magia teatrale senza attori né recitazione, excursus di gran classe attraverso adunate di occultisti. “Serment I” e “Serment II” sono da considerarsi come gemelli di un unico parto, creature generate per un fosco black-metal totalmente di stile ambient, dove pressanti tastiere incombono nichilistiche su melodie che hanno in sé qualcosa di terribilmente metafisico. Non aspettatevi andamenti eccessivamente lenti o riff melanconici spudoratamente depressive. “La Masque d’Ames” ci presenta un compendio magico di sublime capacità evocativa, un connubio di temi e suoni da affrontare con lo stesso rigore che potrebbe avere un cabalista. Il progetto rientra in uno studio che non lascia nulla al caso: entrambi gli album presentano nove tracce, suddivise rispettivamente a gruppi di tre (il numero perfetto triplicato) e identificate fin da subito come “Aesthetic Ambient Art”. Se per forza dobbiamo trovare un parallelo storico, questo di sicuro è Burzum. Badate però: siamo lontani dalla violenza sonora e graffiante di un black metal tradizionale o slow; ciò a cui mi riferisco è più il Burzum dei tempi recenti (e, dato che ci siamo, al Mortis degli inizi). Tastiere perduranti e pianoforte a corde; chitarre dai riff brevi, dai passaggi semplici ma perfetti; percussioni quasi assenti; effetti di suono che reinterpretano i rumori attraverso l’eco di sale sconosciute… Pensate a “Serment” come a un magnifico progetto dark-ambient con influenze black presenti a tratti, quasi totalmente strumentale. È opera occulta, certo, ma interpretata con una coerenza, una serietà e uno stile che non mi era mai capitato di affrontare. Più di una volta mi sono tornati alla memoria degli spezzoni di vecchie pellicole cinematografiche dall’inquietante reputazione: Rosemary’s Baby, Omen, la congrega di streghe in Suspiria, le orge mistiche di Eyes Wide Shut… “Serment” è l’opera ideale per una serata occulta… (Damiano Benato)

(Mort-Né Editions)
Voto: 80

Psycroptic - Ob(Servant)

#PER CHI AMA: Death/Mathcore, Heaven Shall Burn, Cryptopsy
Feroci! Questo è l’aggettivo che si può attribuire al quartetto australiano che con questo “Ob(Servant)” giunge al traguardo del quarto lavoro. Fondati nel 1999 dai fratelli Haley, con il nome di Disseminate, la band approda meritatamente alla Nuclear Blast, rilasciando questo energico cd, capace di miscelare sonorità brutal death a malsane influenze metalcore. Il risultato non è proprio originalissimo, visti i tempi che corrono, però si lascia ascoltare anche perché dal muro sonoro eretto dal combo, si riescono a scorgere influenze ben più intriganti, come quelle di The Dillinger Escape Plan o Meshuggah. Sappiate che la furia qui ha trovato casa, con ritmiche sempre estremamente tirate, che si inframmezzano a debordate psicotiche di scuola Dillinger e mathcore in generale. Violenti mitragliate attaccano l’ascoltatore da più parti, costringendolo all’angolo, finendo per metterlo Ko con cupi e dilatati rallentamenti degni della scuola Meshuggah. La band è sicuramente mostruosa dal profilo tecnico, peccato che la batteria suoni in modo un po’ troppo artificiale; rabbiose growling vocals (ma anche spietati screaming) si intrecciano poi a schizoidi e ultraveloci riffs di chitarra e assoli taglienti come rasoi. Credo che il cd pecchi però alla fine, non tanto per il genere proposto, ma per una quasi ossessiva ricerca di suoni articolati al limite del virtuoso che con questo genere magari hanno ben poco ha che fare: le vorticose scale di chitarra hanno infatti il solo effetto di ubriacare l’ascoltatore e niente più. “Ob(Servant)” avrebbe tanto da offrire, forse troppo, ma gli spunti talvolta scadono in eccessive ricerche di tecnicismi fini a se stessi. Selvaggi! (Francesco Scarci)

(Nuclear Blast)
Voto: 70
 

Wormfood - France

#PER CHI AMA: Avantgarde, Fleurety, Arcturus
La prima, e ce ne saranno tante, ve l’assicuro, delle molte stranezze in cui m’imbatto nell’ascoltare questo concept, è venir accolto da una voce che non canta. Assisterò invece ad una lezione di francese. Butto l’occhio sul Cd che ruota veloce nel lettore. Lo guardo. No, non appartiene alla serie del corso di lingua che mi hanno prestato, è proprio “France” dei Wormfood. Aspettate, ora che lo guardo bene, mio Dio sta cambiando aspetto! È diventato un disco flessibile rovente e diamantato che sta smerigliando l’ultimo dettaglio di “Sfera dentro sfera” di Arnaldo Pomodoro: sono investito dalle scintille. Noooo, è cambiato ancora! Adesso è diventato la ciambella glassata rosa pralinata dei Simpsons. Ne vedo cadere a pioggia dal cielo. Ma torniamo a noi: avete mai assaggiato una di quelle caramelle “tuttigusti più uno”, quelle che compra Harry Potter sull’Hogwarts Express? Beh, io l’ho fatto. L’ultima volta che l’ho incontrato, perché siamo ottimi amici, sapete, ne ha offerta una a me e un’altra ad Hermione. Anche in quell’occasione ho ravvisato lo stesso stupore. Questo per darvi un’idea della varietà musicale che caratterizza questa release e di come questa band mi abbia impressionato. Positivamente. Si perché questo è uno di quei casi in cui è sbagliato etichettare la band con “un genere”. Mi trovo piuttosto a passeggiare in una galleria che espone opere d’arte delle più divergenti e disparate correnti musicali: dal doom, thrash, french variety, death, gothic, punk, pop, classic, al baroque, com’è precisamente indicato sul foglietto informativo posto sul retro del disco. Mi chiedo a questo punto se non ci siano controindicazioni. Non ce ne sono di indicate, ma fatevene voi un’idea dopo che avrete finito di leggere queste mie righe. Torno ad ascoltare quella voce, (ah si, il titolo della song è “Lecon de Francais/French Lesson”) dice che mi trovo sulle strade di Parigi. Vengo quindi gettato a capofitto, come risucchiato da un buco nero, in questo onirico viaggio nella perversità francese, nella metropoli parigina per la precisione, dalla voce di un barbone, si proprio un barbone. Ha una voce gutturale, lo sento prima vomitare, sputare per terra poi, ed inveire contro non so chi, non so perché. La sua voce rivela senza alcun dubbio che è completamente ubriaco: a conferma di ciò, il trillare della bottiglia vuota che evidentemente si è appena scolato e che rotola per terra, che gratta sull’asfalto, urtata di sicuro da uno dei suoi passi nel suo incedere incerto. Osservo attorno a lui un và e vieni di auto, un traffico vero e proprio. E lo sento anche, non sto scherzando. Lì vicino passa anche un treno, d’altronde siamo nel bel mezzo di una grande metropoli, Parigi appunto, eppure in un posto del genere, che dovrebbe straripare di gente, avverto la sua solitudine, non c’è anima viva, è completamente solo. Poi un colpo. Secco. Oddio è stato travolto dal convoglio in arrivo. Vedo il suo corpo martoriato rotolare, credo senza vita, in prossimità dei binari. Nessuno lo ha visto, né tantomeno se né accorto. Da vivo esisteva di per sé ma non esisteva per nessuno. Adesso che è morto, poi, almeno credo, non è cambiato, nella sostanza, nulla. La seconda traccia è una canzone vera e propria, “Bum Fight” s’intitola. Parte lenta, con solo chitarra e batteria. Lunghe pause e poi un assolo heavy metal seguito da un growl rabbioso, come se a cantarlo fosse proprio quel barbone: ma allora ancora non è morto... Eh no! Ecco di nuovo le sue invettive. Un rullo in quarti ben scandito ne accompagna la voce che si fa pulita. La traccia continua tra battiti di mani e una fisarmonica prende il sopravvento. Torna la voce ancora growl, la canzone rallenta un’altra volta, stop alle telefonate, e non solo: anche alla voce, si, perché passa un’ambulanza, sento la sirena. Si ritorna quindi a cantare, incazzati neri, ad urlare fino a ferirsi le corde vocali. La traccia si conclude con lo scricchiolio come quello emesso dalla punta del braccio meccanico di un giradischi nella pausa tra una canzone e l’altra. E siamo solo all’inizio. Segue “Ecce Homo”: una folla acclama qualcuno. Squillano addirittura le trombe. E poi una voce intona “…Les Sodomie!” a cui si accodano dei diabolici grugniti che sembrano quelli di un demone, delle frustate con applausi al seguito, il tutto dura poco meno di un minuto, ma mi ha lasciato così, con la mia faccia a sembrare “L’urlo di Munch”. Era quindi l’intro per la successiva “TEGBM (Fantaisie Galante du Grand Siècle)” che parte tra violente scariche di chitarre distorte e un drumming molto pesante. Veloci colpi di charleston aperto introducono un organo e la voce tituba tra il growling e un pulito a tratti. Ancora una volta, gente che ride di gusto, che commenta. Segue una frase in francese che non comprendo, sono sincero, introduce qualcosa che ha a che fare con niente poco di meno che Jean Baptiste Moliere. Riparte il growl, una fantasia di tastiera talvolta solista, accompagna distorsioni di chitarra e un’incipiente batteria. Segue “Daguerréotype”, altro breve inframezzo che mi fa pensare, per i cori femminili, alle vecchie fiabe per bambini e che introduce la successiva “Miroir de Chair”. La song parte incazzata poi s’incupisce; un sonaglio introduce qualcuno che piange, nel silenzio. La voce si fa parlata ma tremante, tristissima, accompagnata da una sapiente tastiera e poi risfocia ancora una volta nel growling, tra gli eterei cori femminili. Il grugnito di un elefante e poi una musichetta a mo’ di circo con tanto di banditore. Che storia, non mi sono mai imbattuto in niente di simile prima d’ora. Altro breve intermezzo con “Comptine”, che stavolta ci propone un motivetto fischiettato. A questo punto sto ridendo di gusto da solo, proprio non me l’aspettavo. Segue l’incazzosa “Vieux Pèdophile” che descrive il decadimento umano nella versione forse più atroce e cattiva, quella della pedofilia, che ci viene proposta attraverso gli occhi di chi l’ha vissuta. La successiva “Dark Mummy Cat” parte con una litania cantata che mi rammenta l’Islam. Anche questa come le altre è sicuramente da ascoltare. Come le precedenti, intercala tra le note le sue chicche. Questo filo di perle si conclude con le successive “Omega = Phi” e “Love at Last”. In definitiva, quindi, l’immagine che mi resta dopo l’ascolto di “France”, è quella di un diamante che sfaccettatura dopo sfaccettatura, song dopo song, brilla sempre di più. Ogni singolo pezzo ha qualcosa da raccontarmi, ogni racconto non è mai banale, non c’è qualcosa che non mi abbia stupito. Una pietra preziosa che merita di essere incastonata nella più meravigliosa delle parure regali. (Rudi Remelli)

(Code 666)
Voto: 90
 

Darkened Souls -Tales From the Dark Path

#PER CHI AMA: Melo Death, Black Sun Aeon, Routasielu
Ben poche sono le informazioni disponibili sul web per questa giovane band finlandese, che risponde al nome di Darkened Soulus e la cui nascita è avvenuta ad opera di Jani ed Eke in un pub, nel 2006. Un battito di cuore apre il cd e a seguire delle flebili tastiere in quella che è la intro del cd, prima che “Downfall and Awakening” apra le danze di questo lavoro dal sound di chiara matrice finnica. Come riconoscere questa tipologia di suono? Semplice no: ritmiche abbastanza tirate ma assai pregne di dinamica melodia, ricche parti atmosferiche, secche growling vocals contrapposte ad un cantato pulito, tematiche inerenti la mitologia nordica e il quadro sembrerebbe abbastanza chiaro. La musica del quintetto lappone è carico sicuramente di parti catchy, elementi malinconici come nell’arpeggiata terza traccia “Nothing to the Future”, una sezione ritmica che può richiamare act quali Black Sun Aeon o Routasielu, ma anche qualcosa degli Amorphis più incazzati. Decisamente nulla di originale, anzi alquanto derivativo, ma come da sempre professo, tutto quanto proviene da quella regione d’Europa, ha un suo fascino e finisce per accattivare l’interesse del pubblico grazie a quelle sue ancestrali melodie. Non si discute minimamente la perizia tecnica dei musicisti, magari lascia un po’ a desiderare la produzione che risulta un po’ troppo ovattata, ma non importa più di tanto, perché “Tales From the Dark Path” rappresenta decisamente la colonna sonora di questo mio inizio d’inverno. Andando avanti con l’ascolto, forse quello che stona un po’ troppo è l’utilizzo della voce pulita, un po’ troppo decontestualizzata dalla proposta musicale del combo finlandese; è necessario proprio farci l’orecchio per poterla apprezzare appieno. Poi ben poco c’è da dire, se non suggerire alla band di darci meno dentro con la rutilante batteria che in taluni frangenti rischia di offuscare tutti gli altri strumenti. Per il resto, mi sento di consigliare a tutti gli amanti della musica estrema melodica (non posso definirlo certo death metal) un ascolto di questo cd, speranzoso che ben presto i nostri possano trovare la loro giusta strada e la collocazione che meritano, scrollandosi di dosso le troppe influenze di cui la loro musica fin qui sta patendo. (Francesco Scarci)

(Self)
Voto: 65