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domenica 11 febbraio 2024

Suffer Yourself - Axis of Tortures

#PER CHI AMA: Funeral/Doom
Quel che si suol dire un facile album da recensire... Si perchè qhuello degli svedesi (ma in realtà originari di Kiev) Suffer YourSelf, è un'angosciante proposta di un'ora tonda tonda di funeral death doom. 'Axis of Torture', quarta opera del quartetto, è un disco di quattro pezzi più intro e outro, quindi potrete immaginare come quella da affrontare sia in realtà una staffetta di quasi 15 minuti per ognuno dei pezzi inclusi, fatta di suoni soffocanti, annichilenti la mente e l'anima grazie a sonorità che, già dall'iniziale "Axis Insanity", ci stritolano nella morsa di un plumbeo funeral doom che vede alternarsi a violente schitarrate death, mentre la voce cavernosa del frontman, affronta altrettanto leggere tematiche legate alla sofferenza, al dolore e alla disperazione. Lo ribadisco, un disco facile facile, anche nell'ascolto. Ovviamente, continuo a essere ironico, però i Suffer Yourself (un nome, un programma) ci mostrano come oggi sia ancora possibile proporre funeral doom, senza scadere nel problema del "già ascoltato". Questo perchè i nostri sono abili costruttori di ossessive partiture al limite della tensione emotiva, a cui accostare quelle accelerazioni death che strizzano l'occhiolino indistintamente a Incantation o Disembowelment, mentre tutto il disco potrebbe rievocare i fasti funerei dei primissimi My Dying Bride. La differenza con questi ultimi sta però in una maggiore classe dei nostri che si declina in più raffinate partiture atmosferiche e in una maggiore cura dei suoni. La prima traccia (anzi la seconda per diritto di cronaca) quindi supera di sicuro la prova, lasciando il campo poi ai 17 minuti di "Axis Despair", che risulta essere ancor più asfissiante nel suo monolitico incedere che si dipana attraverso un incipit che sembra stringerci al collo, generando pensieri negativi e mortiferi, con quelle stridule chitarre in sottofondo, raddoppiate da un altro strato di suoni che non possono far altro che produrre incubi a livello subconscio. E pian piano, i nostri aumentano i giri del motore, mentre le voci si fanno più demoniache, il suono ancor più mastodontico tra un rifferama compatto e profondo, e una serie di assoli alla sei corde, a rendere il tutto più convincente e accattivante. Ma i Suffer Yourself non sono certo dei pivelli e la loro esperienza maturata attraverso 13 anni di vita e quattro album, nonchè il mastering di Greg Chandler (Esoteric, Lychgate), li consacra a essere una valida alternativa ai mostri sacri del genere, e penso a Evoken o My Shameful. E arriviamo ai dieci minuti e mezzo di "Axis Pain", che sembrano quasi una passeggiata rispetto alle due precedenti mostruose tracce, complice anche una maggior ricercatezza sonora, almeno nelle linee iniziali della song, prima di perdersi nei labirinti psicotici di un death metal poco affabile, direi sghembo e malato, che si saprà alternare a porzioni atmosferiche e melodiche per un risultato di sicuro valore. "Axis Time" si apre con il cantico del soprano Kateryna Osmuk che, non solo è responsabile delle backing vocals growl del disco e della batteria, ma ci delizia per alcuni secondi con la sua magnifica e raffinata ugola. Poi il canovaccio non muta poi di molto nel resto della traccia, se non per proporre qualche parte di tastiera più spettrale, cosi come stralunate linee di chitarra o eleganti arpeggi che confermano l'ottimo lavoro dei nostri. Ora spetta a voi armarvi di santa pazienza e affrontare questa indolente discesa verso gli abissi dei Suffer Yourself. (Francesco Scarci)

lunedì 4 ottobre 2021

Suffer Yourself - Rip Tide

#PER CHI AMA: Funeral Doom
Nati originariamente come la one-man band di Stanislav Govorukha, i polacchi Suffer Yourself sono diventati una band a tutti gli effetti, con una line-up stabile e ben delineata in questa nuova terza release, intitolata 'Rip Tide'. Un trittico di brani che partono dalla monumentale "Spit in the Chasm" (20 minuti e mezzo) e proseguono attraverso "Désir de Trépas Maritime (Au Bord de la Mer Je Veux Mourir)" e la strumentale "Ugasanie - Submerging" per 33 minuti di suoni pesanti, asfissianti e plumbei, insomma adatti all'incombente stagione autunnale. Funeral doom per chi non l'avesse ancora capito che ci investe come al solito in questo genere, con pezzi di una lunghezza quasi estenuante, voci cavernose, ma anche delle spettacolari melodie che rendono l'ascolto dell'opener ancor più entusiasmante, soprattutto laddove vi si possano trovare forti richiami a 'Gothic' dei Paradise Lost (grosso modo tra il minuto 5.30 e 6, giusto per darvi una indicazione di massima) per poi lanciarsi in accelerazioni più devastanti e death oriented. Il risultato è sicuramente apprezzabile, alla luce dei molteplici cambi di umore e di tempo della lunga song d'apertura, che ha ancora modo di deliziarci con aperture acustiche di scuola Mournful Congregation, regalate da quello che credo sia un violoncello che verso l'undicesimo minuto, ha il pregio di procurarmi brividi di emozione. Il brano ha comunque ancora molto da regalare, tra accelerazioni death (manco fossero i Morbid Angel), funerei rallentamenti alla Evoken, dove il gorgoglio del vocalist non suona proprio cosi rassicurante. Poi ancora da scorgere c'è qualche riferimento ai My Dying Bride verso il diciottesimo minuto e direi che la song ha coperto un po' tutto lo spettro dello scibile funeral death doom conosciuto. Il secondo pezzo ha un'apertura più sommessa, con ancora strumenti ad arco a solleticare i sensi, ad emozionare, a scandire il tempo che ci sottrae dalla morte con una melodia estremamente malinconica e soffusa che trova una variazione al tema verso il terzo minuto con uno squarcio ritmico nefasto, sbilenco, lugubre. Una manifestazione di tremebondo decadimento con echi che ci conducono nuovamente al gotico incedere degli esordi di Nick Holmes e compagni. Una voce non proprio delle più limpide si issa poi con un declamato in francese mentre la ridondante porzione ritmica prosegue nel suo ipnotico incedere verso un finale dal taglio cinematico sperimentale (quasi scuola ulveriana). Gli ultimi tre minuti e 40 ci regalano suoni ambient noise di cui avrei fatto francamente a meno, prediligendo semmai un'altra composizione che desse ulteriori indicazioni di questo collettivo internazionale che include membri da Ucraina e Svezia. (Francesco Scarci)