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mercoledì 30 novembre 2022

The Wild Century - Organic

#PER CHI AMA: Psych Rock
Con questo album, uscito per la Tonzonen Records, la band olandese osa valicare il confine che delimita l'ispirazione presa in prestito da un genere e il rischio di imitazione delle sue opere sonore, perchè per ogni nota che scorre in questo nuovo lavoro dei The Wild Century, troviamo un legame pesante per composizione, stile e sonorità con qualche brano famoso degli ultimi 50 anni della storia del rock psichedelico. Metto subito in chiaro che il combo riprende le citate sonorità talmente bene, che non si può parlare di imitazione, tanto meno di plagio, semmai di forsennata ispirazione presa a prestito, ed è un ascolto divertentissimo quello di 'Organic', un ascolto che in un qualche modo ci permette di ristabilire contatti con un mondo che magari avevamo dimenticato o, nel peggiore delle ipotesi, mai approfondito. Quest'ottimo album quindi vi fornirà un compendio di rimandi musicali talmente esaustiva da farvi esclamare a gran voce che i The Wild Century, pur non essendo innovativi o puramente originali, rimangono un'ottima, moderna, retro rock band con i fiocchi, che ricordano tante altre realtà della scena che fu ma che alla fine risultano, nel loro circolo vizioso di suoni, interessanti e belli da sentire. Straordinaria la scelta dei suoni vintage di quest'opera, che sembra provenire direttamente dai '70s e che ricalca fin troppo i beniamini di quell'epoca. Si parte con la cavalcata psych di "Lowdown Dog", che solca le orme dei Velvet Underground con un effetto vocale alla Hawkind per approdare ad "Oh Yeah", dove il wah wah della chitarra iniziale evoca spudoratamente "Woodoo Child" del grande Hendrix, con un tiro garage che si sposta tra fuzzstones e certi ritmi cari a 'Second Coming' degli Stone Roses, con un organo in primo piano da brivido. "Carry On" rallenta la spinta, e tra gli accennati deserti sonici alla "The End" dei The Doors o una vaga similitudine ad un brano di un Bob Dylan d'annata, ci culla verso lidi vicini ai Mother Superior di "Save my Soul" (da 'The Mothership Movement' del 1998) ed una lunga coda finale carica di venature progressive e psichedeliche in sintonia con i primi Deep Purple. Il sitar e tanta psichedelia ipnotica, accompagnano poi l'evoluzione cosmica di "Beautiful Queen" che sembra cantata dallo spettro di Mick Farren. "Grey Blue Eyes" è una ballata super psych che richiama le origini della band forse mostravano molta più originalità e uno stile decisamente meno derivativo, ma con un taglio meno professionale sotto certi aspetti sonori, e più underground. Gli assoli di "Mother's Grace" a metà e in chiusura del brano, sono delle chicche, anche se la song, a tratti, non nasconde affinità con il mood di "Nights in White Satin" dei The Moody Blues. Per concludere, devo spezzare una lancia a favore di quest'album tanto derivativo quanto indovinato, ben curato e ricercato, per una band che si può tranquillamente accostare ai magici e mai dimenticati On Trial, quanto ai tanti gruppi menzionati sopra, aggiungendo anche i Baby Woodrose, 13th Floor Elevators, i Kula Shaker e tutti quelli che trovano posto nell'immaginario sonoro di questo particolare secolo selvaggio. L'ascolto ne vale proprio la pena, il viaggio culturale e cosmico sono assicurati. (Bob Stoner)

(Tonzonen Records/Soulfood Music - 2022)
Voto: 75

https://thewildcentury.bandcamp.com/album/organic-2

domenica 24 aprile 2022

Noorvik - Hamartia

#PER CHI AMA: Post Metal Strumentale
La scena post rock/metal tedesca è in costante fermento. Dopo aver pubblicato la recensione degli Ok Wait, ecco arrivare anche il terzo disco dei Noorvik, band di Colonia che avevamo recensito nel 2019 in occasione del precedente 'Omission'. La proposta all'insegna di un post-core strumentale, mostrava segni di un certo magnetismo latente nelle corde dei nostri. Quel magnetismo si riscontra anche nelle note iniziali di 'Hamartia' (un disco che ci racconta metaforicamente come l'avidità e l'arroganza dell'uomo lo conducano alla sua caduta) in "Tantalos", song che parte quasi in sordina per poi iniziare ad agitarsi con le sue robuste chitarre che vanno ad ingrossarsi sempre di più, quasi a sfociare in territori più estremi con un voluttuoso riffing capace di schiacciarci come un macigno. E qui, sarebbe servito un bel growling a dirla tutta, ma a questo punto non staremo parlando di post metal ma forse di death metal. "Hybris" torna ad incantarci con lunghi arpeggi post rock, mentre le percussioni si dilatano progressivamente e il basso tuona in sottofondo laddove una chitarra grida vendetta attraverso lo stridore delle sue corde. Il sound dei Noorvik rimane qualcosa di ostico da digerire, soprattutto dove compaiono tentativi di brutali accelerazioni che scemano tuttavia nel giro di una manciata di secondi, per ritornare a quello stato carezzevole iniziale che ci condurrà ad "Omonoia", un ridondante intermezzo ipnotico assai inquietante. E "Ambrosia" continua su quelle stesse note nei suoi primi 20 secondi per poi iniziare a muoversi attraverso un gioco di luci ed ombre, delicato, raffinato ma che sembra pronto a soggiogarsi a ritmiche più pesanti. E il mio presentimento viene confermato da un rifferama distorto e lacerante che lascerà presto spazio ad un incunearsi di tenue melodie disturbanti che troveranno nuovamente sfogo nel finale del brano. Bravi i Noorvik a spiazzare l'ascoltatore con una continua ricerca di suoni e trovate varie, come l'inizio stralunato dell'infinita "The Feast", oltre 15 minuti in cui la band teutonica sembra offrire tutto il meglio del proprio repertorio, dalle aperture progressive dei primi cinque minuti alle cavalcate che da lì ne deriveranno e che coprono fino verso all'ottavo minuto, dove uno stop alle ostilità sembra dar inizio ad una nuova storia, con nuovi personaggi e nuove sonorità che ci raccontano comunque altro dei Noorvik. Dopo questo torrenziale pioggia di suoni, arrivano le più delicate melodie di "Aeons", quasi delle carezze dopo i ceffoni presi in precedenza. Altri ceffoni arrivano invece con "Atreides" e un riffing sincopato da groove metal band, ma il solito cambio ritmico è dietro l'angolo, e i quattro musicisti sono sempre pronti a stupirci con i loro cambi umorali. "Tartaros" è l'ultima tappa di questo viaggio, quella che ci conduce negli abissi, nell'inferno dantesco. Ma mentre mi sarei aspettato un sound ruvido ad accoglierci, ecco in realtà palesarsi un luogo d'incanto, ma non illudetevi, la mutevolezza dei Noorvik vi colpirà ancora una volta, perchè qui mai nulla è scontato. (Francesco Scarci)

(Tonzonen Records/Soulfood Music - 2022)
Voto: 76

https://noorvik.bandcamp.com/album/hamartia