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mercoledì 16 marzo 2016

Mutiny on The Bounty - Digital Tropic

#PER CHI AMA: Experimental Post Rock
Questo giovane quartetto proveniente dal Lussemburgo è arrivato al terzo full-length, che aggiunge un nuovo tassello alla propria evoluzione - senza però ancora raggiungere la piena maturità - con un disco curatissimo in ogni suo dettaglio, dalla registrazione alla confezione, e formalmente ineccepibile. Alfieri di un post-rock strumentale dalle forti connotazioni math, con 'Digital Tropic' i Mutiny on The Bounty innestano massicci quantitativi di elettronica su una matrice che rimane sostanzialmente post-metal, per un risultato sicuramente curioso e intrigante, pur non privo di punti interrogativi non ancora del tutto risolti. Innanzi tutto due parole vanno spese sul magnifico 12’’ in vinile trasparente che, oltre a garantire un’eccellente resa sonora, permette di godere appieno della splendida copertina. Scelte stilistiche cosí raffinate si riflettono nella cura che la band pone nella composizione e realizzazione della propria musica, contrapponendo potenza e delicatezza, rabbia e candore. Come detto, l’impianto è un classico math-prog-metal piuttosto potente e complesso ritmicamente, sul quale si adagiano ricami chitarristici, synth, loop ed effettistica varia, in un modo che ricorda vagamente i 65daysofstatic, pur senza raggiugerne le vette poetiche. Le cartucce migliori vengono sparate subito in apertura, e se ci si trova piuttosto esaltati dall’ascolto delle trascinanti "Telekinesis" e "Countach", si rimane soddisfatti solo a metà del resto della scaletta. Tanto i primi due brani stupiscono per freschezza, potenza e creatività, quanto risulta difficile tenere desta l’attenzione per tutta la durata dell’abum. Il punto è che il gioco, dopo un po’, sembra mostrare la corda, gli inserti elettronici risultano un po’ troppo zuccherosi e quella che sarebbe potuta essere la perfetta colonna sonora di un film di fantascienza distopica alla Matrix, sembra in piú di un’occasione la musica di una versione di Candy Crush Saga sotto anabolizzanti. Forse semplicemente 'Digital Tropics' è un tantino freddo, al cospetto di un’esecuzione impeccabile e di doti non comuni di scrittura, o forse si tratta di un disco che risente molto del mood con il quale lo si ascolta. In definitiva i lussemburghesi sono senz’altro promossi, ma con riserva. Come tutti gli studenti piú dotati, da loro ci si aspetta sempre qualcosa in piú. E speriamo che possano mostrarcelo in futuro. (Mauro Catena)

(Small Pond Recordings - 2015)
Voto: 70

sabato 23 gennaio 2016

InTechnicolour - S/t

#PER CHI AMA: Alternative Rock/Stoner, Baroness
Fighi gli InTechnicolour, peccato solo abbiano rilasciato un EP di 3 pezzi che per di più dura non oltre i 12 minuti. Minuti sufficienti però per inquadrare la band, che vanta membri di Porshyne, Delta Sleep e Physics House Band, e che partorisce un sound figlio dei Baroness. Il quintetto di Brighton esordisce con i brillanti tre minuti di "Lend Me A Crushed Ear" e una proposta che sia nel suono che a livello vocale, si ispira chiaramente al gruppo georgiano. Chitarre fuzzate tra lo stoner dei Mastodon e lo stile desertico di Kyuss, conducono le danze tra atmosfere oscure e aperture melodiche, e con i vocalizzi di Tobie Anderson ad emulare quelli del frontman statunitense, almeno in questa prima traccia. Si, perchè nella successiva cover del 1970, "Hey, Who Really Cares", di Linda Perhacs, la rilettura dei cinque di quel pezzo folk, richiama a livello vocale Lingua/The Isolation Process, e in termini musicali sterza, avvicinandosi all'alternative rock dei Tool. Con il riffone iniziale di "We Are All Losing Sleep", gli InTechnicolour acquisiscono ancor più personalità e, combinato con le sempre più convincenti vocals di Tobias e una ritmica d'impatto, i nostri elaborano una traccia fresca, varia e che offre uno splendido e caldo break centrale, accompagnato da un ottimo chorus, che ci consegna una band già in palla e pronta al salto di qualità, se ben supportata. Inatessi quanto sorprendenti. (Francesco Scarci)