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Era il 2003: contro ogni aspettativa, il progetto austro-francese più oscuro della scena gotica orchestrale decise di ripresentarsi con un nuovo album, "Winds Devouring Men", distante anni luce dalla produzione passata, seppur in qualche modo vicino al precedente "The Umbersun", il quale già evidenziava un desiderio di abbandonare le tensioni profondamente drammatiche dei primi due lavori ("Leçons de Ténèbres" e "Les Ténèbres du Dehors") facenti parte della trilogia ispirata all'"Officium Tenebrarum", conclusasi appunto con "The Umbersun" e che con esso sembrava aver esaurito il significato del progetto Elend. Invece, nei cinque anni di oblio, gli Elend hanno maturato una nuova perla dal fascino profondamente oscuro, questo "Winds Devouring Men", con il quale sembrarono volersi scrollare di dosso i complicati intrecci classici che avevano ispirato la produzione passata, per donare alle canzoni una leggerezza e una dose di essenzialità che rendono la loro musica più facilmente apprezzabile, pur non intaccando la maestosità tipica delle loro composizioni. E lo si scopre fin dalle note di apertura della bellissima "The Poisonous Eye", cui spetta l'onore di iniziarci all'album più intimista mai creato dagli Elend. L'opera prosegue poi con uno scorrere di quiete melodie che a tratti si tingono di scuro per ritrarre immagini di foschi scenari tormentati, per dar vita ai quali l'ensemble ricorre a passaggi sperimentali dalla forte potenza evocativa e a strumenti percussivi che conferiscono maggiore spessore alle strutture sonore. Echi del passato lirico degli Elend si risvegliano in alcuni momenti nei quali si percepisce la presenza della voce femminile e in particolare la bonus track "Silent Slumber: a God that Breeds Pestilence" ricorda la dolcezza struggente che si poteva catturare nell'album di passaggio "Weeping Nights". Non più confrontarsi con l’assoluto, con l’essenza divina che permea la vita dell’uomo, non più la lotta eterna tra Bene e Male, non più la discesa di Lucifero agli Inferi, bensì un tentativo di aprire le porte della propria intimità per guardarsi dentro e, almeno per una volta, lasciarsi cullare dal fluire intenso dei propri pensieri, lasciarsi accarezzare dalla dolce malinconia delle proprie sensazioni più profonde, senza il timore di scoprirne i lati più nascosti. Nei passaggi melodici di canzoni quali "Under War-Broken Trees", "Away from Barren Stars", "Vision is all that Matters" e "A Staggering Moon", dove la voce maschile si colma di una calma pacatamente sofferta, sento che per la prima volta l'eredità lasciata dai Dead Can Dance è stata veramente raccolta per essere trasformata, rielaborata e rivestita di una nuova eleganza e delicatezza. E' possibile raggiungere la perfezione artistica? Se possibile, allora gli Elend ci sono riusciti, con un album così bello e profondo da far venire i brividi. Letteralmente. (Laura Dentico)
(Prophecy Productions)
Voto: 85
Voto: 85