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sabato 5 dicembre 2020

Ethir Anduin - Pathway To Eternity. The Agony

#PER CHI AMA: Black/Post-Hardcore
Gli Ethir Anduin sono un duo (uomo/donna) proveniente dall'area di San Pietroburgo in Russia. In giro addirittura dal 2006, i nostri giungono con 'Pathway To Eternity. The Agony' all'ammirevole traguardo dell'ottavo album in studio (a cui aggiungere anche altri 4 EP e 2 split, mica male). Il genere proposto? Eh, mica semplice. Cosi su due piedi, vi direi che stando a quanto eruttato nella lunghissima opener "Awareness of the Frailty of Being", potremmo parlare di ibrido tra black, doom e post-hardcore, peraltro ben suonato ed interpretato dai due musicisti russi che francamente non conoscevo, ma di cui sarò costretto a parlarvi davvero bene. Si, perchè la proposta immaginata da questi Ethir Anduin non è cosi semplice da mettere in atto. Serve conoscenza dei vari generi, grande gusto per le melodie malinconiche e perizia tecnica. Posso dirvi che ai nostri non manca nulla di tutto questo e che solo con i chiaroscuri, le sfuriate, i rallentamenti degli oltre undici minuti di apertura, la band mi ha conquistato? Ben fatto signori, ecco cosa intendo quando dico di osare. I nostri hanno miscelato due generi, il black e il doom spesso affini, con il post-hardcore, senza peraltro rinunciare a frangenti post-metal o schitarrate death. Cazzo! Magari ai più risulteranno ancora piuttosto grezzi, ma io ritengo che in queste note iniziali ci sia parecchia succosissima carne al fuoco, da prendere e farsi una bella scorpacciata. E non ci si ferma certo qui, considerato che il disco dura giusto 80 minuti in otto tracce. Sarà un massacro, lo so già, però chi se ne frega, qui di classe ce n'è un bel po' che andrebbe un attimino sgrezzata. Ma quando ascolto anche la seconda "Pandemonium" trovano conferma le mie parole, con questi chitarroni spaventosi di matrice post- che si frantumano contro parti atmosferiche ed in parallelo il growling catarroso di Luka che si evolve in soavi vocalizzi. Bomba. Intro acustica invece per "The Invisible Veil of the Cold Silence" con splendido giro di percussioni annesso e voci femminili inserite in un contesto dark/gothic da visibilio (che tornerà anche più in là con "Beneath the Ruins"), prima di una ripartenza verso un'attesa ritmica pesante, che concederà comunque largo spazio a questa componente atmosferica lugubre in cui a prendersi la scena e la disperata voce della frontwoman, in una prova di grande sofferenza, per un pezzo a cui non manca davvero nulla e che per certi versi potrebbe ricordare la collaborazione dei Cult of Luna con Julie Christmas in 'Mariner'. Più doom oriented per lunghi tratti "The Agony", visto che la pacatezza iniziale cede il posto alle intemperanze black/death della band con un assolo peraltro di chiara matrice progressiva che mi spiazza non poco e mi induce a dare un altro punticino in più alla band in una scalata verso il punteggio pieno. Ragazzi non c'è da scherzare, oggi ho scoperto una band davvero interessante che credo meriti platee ben più ampie. Lo conferma la dirompente "Eternal Shining Star" con gli strumenti e la violenza collocata esattamente nei posti dove deve stare, e con una dose di melodia sempre ben bilanciata. Il disco ha un'altra mezz'ora davanti e forse qui risiede l'unica nota dolente, la sua eccessiva lunghezza: oltre alla già citata darkeggiante "Beneath the Ruins", ecco le fumose ambientazioni sperimentali di "The Universe Hears Everything" e l'ultimo vagito affidato a "Last Struggle" che segna l'apoteosi musicale di un lavoro di grande portata che merita ampi consensi. Davvero bravi! (Francesco Scarci)