#PER CHI AMA: Symph Black, Cradle of Filth, Carach Angren |
Un silenzio durato otto lunghi anni, rotto solamente dall'incantesimo di un singolo rilasciato a inizio 2020. Eravamo rimasti infatti al 2012 quando uscì l'EP 'A Ceremony at the Edge of a Burning Page', che sembrava una sorta di canto del cigno per la band israeliana. Poi la svolta, una vera e propria sorpresa, i Bishop of Hexen firmano per la nostrana Dusktone Records ed è storia di oggi l'uscita di 'The Death Masquerade'. Otto nuovi pezzi, di cui il primo è in realtà una intro, che ci restituiscono una band che non ha perso lo smalto dei tempi migliori, continuando ad essere alfieri di un black sinfonico che si rifà ai classici del passato, penso a Cradle of Filth e Dimmu Borgir su tutti. E "A Witch King Reborn" è li a testimoniarlo, proprio con una fortissima influenza proveniente da Dani e soci, con quella capacità di fondere un black bombastico dal sound orchestrale, a tratti vampiresco e goticheggiante, ricco di melodie, vocals malignee (ma non mancano pure i vocalizzi puliti) e ottimi arrangiamenti. Mi fa piacere che il quartetto di Tel Aviv sia tornato, è un'altra arma a favore dello sterile black sinfonico che ha popolato la scena in questi anni. "Of Shuttering Harps & Shadow Hounds" ha un inizio in stile cinematografico come amano tanto sfoggiare i Dimmu Borgir, conferendo grande spazio a pompose orchestrazioni e grottesche atmosfere (stile Arcturus), senza rinunciare comunque a graffianti linee di chitarra, per un risultato alla fine di assoluto impatto, che anche a livello solistico non si sottrae dal proporre interessanti soluzioni. Anche la successiva "Death Masks" si muove sugli stessi paradigmi sonori non rinunciando all'utilizzo (talvolta oserei dire abuso) di tastiere che costruiscono l'architettura di un sound che poggia proprio su un black mid-tempo cinematico che non disdegna sporadiche accelerazioni o un drumming forsennato. Il disco prosegue su questi stessi binari, offrendo incipit che sembrano derivare da soundtrack di colossal cinematografici ("All Sins Lead to Glory" ne è un altro esempio lampante) o riportando suoni e voci che descrivono ancora una volta scene di film ("The Jester's Demise"). L'evoluzione è poi sistematica verso lidi musicali che evocano un altro grande nome della scena degli ultimi anni, i Carach Angren, anche se forse in 'The Death Masquerade' l'utilizzo delle keys è assai più corposo rispetto agli olandesi. A chiudere il cd, dopo la penultima e più aggressiva "A Thousand Shades of Slaughter", ecco i sinistri tocchi di "Sine Nomine", l'ultimo operistico atto di un graditissimo comeback discografico di una band che davamo ormai morta da anni. I Bishop of Hexen sono tornati, con loro si riapre la possibilità di dar più voce ad un genere relegato a vera e propria nicchia musicale. (Francesco Scarci)
(Dusktone Records - 2020)
Voto: 75