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Eccolo, finalmente. Dopo l’abbondante antipasto rappresentato nel 2014 dal super EP 'Zigurat', i Sergeant Thunderhoof danno alle stampe il loro primo album. Se 'Zigurat' li aveva posti all'attenzione per le loro non comuni capacità di scrittura in un ambito, quello stoner, che spesso è preda di una perpetua riproposizione di cliché frusti e idee di terza mano, 'Ride of the Hoof' centra in pieno l’obiettivo di confermare le qualità della band e si pone come importante pietra di paragone per la scena negli anni a venire. Rispetto all'esordio, sembra esserci qui una maggiore apertura verso una prospettiva di evoluzione, laddove invece 'Zigurat' pareva piú ancorato a riferimenti classici. Sono molto interessanti il suono delle chitarre e l’uso della voce, che riescono a coniugare alla perfezione modernità e un certo gusto classico. Quello che maggiormente colpisce, nel suono dei quattro ragazzoni del Somerset, è che sembra fatto di una materia allo stesso tempo pesante e leggerissima, in grado di penetrare fino al centro della terra così come repentinamente schizzare nello spazio a distanze siderali. E questa dualità riesce a rendere l’ascolto sempre interessante, vivo e fresco. L’album si snoda lungo sei brani mediamente lunghi, per un totale di una cinquantina di minuti davvero densi. Dall'apertura, affidata a “Time Stood Still”, si nota subito la grande abilità a livello di songwriting e una ricerca sonora in grado di coniugare sprazzi post a classicità stoner doom. Si prosegue senza cedimenti con l’incedere pachidermico di “Planet Hoof” e i riff trascinanti in stile '70s di “Reptilian Woman”, fino a “Enter the Zigurat”, song dalle forti componenti psych e la monumentale “Goat Mushroom”, 13 minuti di stordimenti doom, improvvise accelerazioni ipercinetiche e immani cavalcate stoner psichedeliche. La chiusura di 'Ride of the Hoof' è affidata a quella “Staff of Souls” che rivela un lato totalmente inedito e affascinante della band inglese, fatto di delicati arpeggi dal sapore post-rock e un cantato sognante, il tutto lasciato sospeso in un modo davvero magico. Maniera eccellente per chiudere un album carico di decibel e distorsioni che vi faranno friggere le orecchie, ma che ha anche un altro effetto collaterale: creano dipendenza. In ambito stoner, i Sergeant Thunderhoof si confermano tra le migliori uscite dell’anno. Senza dubbio. (Mauro Catena)
(Self - 2015)
Voto: 80