#PER CHI AMA: Space Rock/Death Progressive, Opeth, Nahemah |
Sapete quanto sia affascinato da tematiche astronomiche e quest'oggi mi trovo ad affrontare Titano, il più grande satellite di Saturno ed uno dei corpi rocciosi più massicci dell'intero sistema solare, nonché uno dei più affascinanti, per la presenza di ghiaccio d'acqua, laghi di idrocarburi e altre caratteristiche che l'accomunano alla nostra Terra primordiale. I tedeschi Odetosun, forse affascinati quanto il sottoscritto per l'astronomia ma anche ispirati dal romanzo 'As on a Darkling Plain' di Ben Bova, ne hanno voluto esplorare la superficie, cosi come fece la sonda Cassini-Huygens nel 2004, dedicandoci 4 lunghi brani. Brani che si aprono con l'inusuale (ma solo per posizionamento nella scaletta - e a cui personalmente avrei affidato l'outro) strumentale "At the Shore of the Ammonia Sea", che ci delizia comunque con dieci minuti di caldo rock progressive anni '70, che conferma quanto Bob Stoner aveva dichiarato nella recensione del debut 'Gods Forgotten Orbit', ossia che il terzetto di Augsburg sfodera una classe innata e già matura. Ma la "battigia di quell'oceano di ammoniaca" non puzza decisamente come il gas tossico e dall'odore pungente citato nel titolo, anzi profuma di dolce, e alla fine ci regala atmosfere dilatate di space rock di grande spessore. "Machine Horizon" irrompe con un riffing tempestoso, per cui mi sembra quasi di immaginare dei fulmini all'orizzonte di quel mare sopra descritto, mentre le arcigne vocals di Luke Stuchly calzano a pennello sulla matrice sonora dei nostri (ma in futuro mi aspetto evoluzioni sull'aspetto vocale dei nostri). L'atmosfera diviene più rarefatta e l'assenza di ossigeno intorpidisce la mia mente, ma niente paura perchè anche il sound degli Odetosun va via via ammorbidendosi lanciandosi in squarci di rock senza tempo: c'è chi cita i Pink Floyd, chi i Voivod o gli ultimi Opeth, io preferisco pensare che le splendide note che fuoriescono da 'The Dark Dunes of Titan' siano degli Odetosun e di nessun altro. Classe sopraffina lo confermo, soprattutto nella sei corde di Benny Stuchly e se "Remember Sequoia Forest" è un troppo breve interludio strumentale, alla fine mi abbandono alla conclusiva title track e ai suoi meravigliosi 15 minuti abbondanti di musica che mi catapultano nello spazio più profondo, in cui trovo modo di viaggiare ancor di più con la mia fantasia. È un mid tempo ragionato, in cui death metal (colpa del growling urlato di Luke), progressive e oscuro post metal (ricordate gli spagnoli Nahemah?) collidono come asteroidi sulla superficie di un pianeta, generando profondi canyon, montagne, laghi e valle, dando origine alla stupefacente armonia della natura. Altrettanto fa il terzetto teutonico, in grado di muoversi con agio attraverso fraseggi jazz, dilatazioni post apocalittiche, tastiere settantiane e assoli strepitosi, il tutto corredato da un'eccellente lavoro ritmico, con un plauso particolare infine alla batteria del bravissimo Gunther Rehmer. Il tutto mi induce all'oblio totale, una sensazione straordinaria per i miei sensi. Non saprei che altro dirvi per solleticare i vostri di sensi e indurvi all'ascolto (mandatorio) di questo sorprendente 'The Dark Dunes of Titan'. Per gli Odetosun garantisco io. (Francesco Scarci)
(Self - 2015)
Voto: 85
https://www.facebook.com/odetosun
Voto: 85
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