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giovedì 8 febbraio 2018

Electric Beans - De Retour en Noir

#PER CHI AMA: Punk Rock
La gradevolissima, fanculosa copertina Hellacotterizzata (avete in mente "Supershitty to the Max"? No? Molto male), ancorché un cicinino troppo nitida, tipo effetto aerografo, suggerisce atmosfere garage-punk, pareti annerite, odore di lubrificanti, diluente, piscio e muffa. Eppure la direzione intrapresa dall'album appare opposta, perlomeno concettualmente: un neoclassicismo rock che-più-neoclassicismo-di-così accompagnato da testi sagaci e decisamente ficcanti, al limite del comedy ("Jeudi" è la indovinata riscrittura di "Jodie", secondo singolo de Les Innocents, storica pop-wave band fransé anni-secondi-80. Mai sentiti? Nemmeno io). Altrimenti, street-punk americano dalle parti di Social distortion ("De Retour en Noir") o Ramones ("J'ai Perdu Mon Télephone") o blandamente punk-blues ("Berceuse Éléctrique"). I mid-tempo ("Moeurs Cathodiques", ma soprattutto "Jack") invece vi potrebbero ricordare un Meat Loaf rimbambito di croissant che frontmaneggia dei Guns n' Roses strafatti di pastis. Ascoltate questo terzo album dei Fagioli Elettrici mentre sistemate lo scaffale dei CD domandandovi come tradurreste in inglese il titolo dell'album, oppure mentre sistemate i vostri romanzi di Philip K. Dick in ordine cronologico domandandovi se per caso "do electric beans release magnetic farts"? (Alberto Calorosi)

Alex Cordo - Origami

#PER CHI AMA: Guitar hero, Joe Satriani
'Origami'. Raggiungere la semplicità attraverso una minuziona e complessa codifica della materia prima. Ci vuole pazienza e dedizione. Altruismo. Abnegazione. Occorre affinare la tecnica e poi nasconderla dietro la semplicità. A volte scoccia farlo. Ditelo a uno come Tortellozzo Malmsteen, per esempio. Ma il suono è bizzoso. Duro come pietra, talvolta. Serve un chitarrismo opportunamente cesellato. Serve esperienza. Servono riferimenti. Il guitar-rock anni '80-'90, qualche flavour di prog-metal tardo '90. Instrumental guitar rock. Il Joe Satriani più classico che potete immaginare ("Straight" e "Hands Up"), il John Petrucci più classicista che non riuscite a dimenticare ("Memories"?), il Ritchie Blackmore più permanentato che fareste di tutto pur di dimenticare ("Himalaya"). Soprattutto sensazioni hard & prog, s'è detto prima, ma anche melodic ("Sunny Day for an Opossum") e pure vagamente, molto vagamente post/math ("Above the Clouds"). O, se preferite, più massicciamente power ("The Car Test"). Allora, che ne pensate? (Alberto Calorosi)

Harmonic Generator - Heart Flesh Skull Bones

#PER CHI AMA: Grunge/Glam, Alice in Chains
Reggisen-ballatonze tardo-hair-metallare più (i Tesla con le dita nella presa di "I Feel Fine") o meno folkeggianti (i Bon Jovi dal parrucchiere di "By Your Side") di chiara derivazione zeppeliniana (il glam n' roll IV-zeppeliniano "Dance on Your Grave") intersecate a (opportunamente ammorbidite) istanze grungey (gli Alice in Chains che ascoltano 'Physical Graffiti' sull'ottovolante di "Lamb and Lion") ed estemporanee virate heavy/power (lo Ian Astbury con le adenoidi di "The End"). Il secondo album dei Generatori di Armoniche transalpini (il nome proverrebbe però da un vecchio singolo degli australiani Datsuns), in realtà un concept (quadri)tematico di settantaefottutamenteuno minuti spalmato su quattro ep in tre anni, seppur identitario, mette comunque in mostra una certa istrionica disinvoltura nel manipolare i sottogeneri in questione. Ma la produzione, solitamente appropriata nei numerosi momenti hair/glam, risulta eccessivamente nitida quando ci s'inzacchera nel grunge/comediavolo/nu-grunge. Per bilanciare, ascoltate questo disco a tutto volume con due boccali da birra sulle orecchie. E levatevi dalla faccia quell'espressione idiota. (Alberto Calorosi)

Descend Into Despair - Synaptic Veil

#PER CHI AMA: Funeral Doom, Shape of Despair, Saturnus
Che aspettarsi da una band il cui monicker significa sprofondare nella disperazione? Di certo non sonorità solari, piuttosto direi suoni votati al depressive o al funeral doom. Ebbene, non serve essere troppo arguti per capire che i rumeni Descend Into Despair propongano simili sonorità, ma poi vedendo l'estenuante lunghezza dei pezzi, propendo più sulla seconda delle mie ipotesi. Obiettivo centrato. I sette elementi, di stanza a Cluj-Napoca, offrono infatti in 'Synaptic Veil', suoni decadenti che hanno colto l'attenzione della sempre più guardinga Loud Rage Music, che ha deciso di puntare sui nostri. Cinque brani per quasi un'ora di musica ad esplorare temi quali il suicidio, l'inquietudine interiore e la malinconia legata alla solitudine. Cinque brani dicevo, che esordiscono con le inquiete melodie di "Damnatio Memoriae", in un tourbillon emotivo di oltre 13 minuti che chiama in causa i grandi del genere, My Dying Bride, Saturnus e Shape of Despair su tutti; i primi forse per la scelta di affidarsi a clean vocals (ma non solo), i secondi per l'utilizzo di melodie ariose quanto malinconiche, i terzi per quell'aurea di pesantezza che ammanta l'intero lavoro e dispensa angoscia a volontà. Ecco tracciate quindi le coordinate della opening track, ma in generale di tutto un album che trasmette una forte animosità nell'anima ed un senso di smarrimento e tormento che logora da dentro. Sicuramente da sottolineare le più che buone atmosfere disegnate dal lavoro coordinato tra chitarre e tastiere, che regalano uno splendido break centrale nella prima traccia, ove peraltro compaiono anche le growling vocals del frontman Xander. "Alone with My Thoughts" presenta un incipit più etereo, sebbene la pesantezza e la lentezza del riffing, combinato all'utilizzo granguignolesco delle vocals, la renda ancor più mortifera dell'opener. Ma la scelta di utilizzare arpeggi acustici è assai comune nel corso del disco: eccolo servito anche nella terza "Demise", dove la struggente voce di Xander si combina con un riffing pulito, atmosferico, a tratti indolente, che lascia ampio spazio alla strumentalità dell'act rumeno, in magnifiche trame chitarristiche che ricamano splendide melodie autunnali e suggestivi momenti d'ambiente, che si ritrovano anche all'inizio della quarta "Silence in Sable Acrotism", ove trovano spazio anche soavi voci femminili e dove la lentezza dell'ensemble si fa più importante, soprattutto alla luce dell'ultima traccia da affrontare, i 14 minuti di "Tomorrow". La luce qui sembra spegnersi definitivamente, cedendo il posto alle voci da orco del frontman e ad una chitarra che lascia presagire solo brutti pensieri, quelli forse di un domani senza speranza. (Francesco Scarci)

sabato 3 febbraio 2018

Kayleth - Colossus

#PER CHI AMA: Stoner/Space Rock, Monster Magnet, Cathedral, Kyuss
Continua con il nuovissimo 'Colossus', il concept sci-fi dei veronesi Kayleth, ormai di casa da anni qui nel Pozzo dei Dannati. Il secondo lavoro, sempre edito dall'Argonauta Records, ha da offrire sessanta minuti di sonorità space/stoner, che non sono certo la più facile delle scampagnate da fare, soprattutto se ci sono ben 12 pezzi da affrontare. Si parte con "Lost in the Swamp" dove, accanto alla consueta ritmica ribassatissima, fanno capolino i synth ispirati del bravo Michele Montanari, mentre la voce di Enrico Gastaldo si muove sempre in bilico tra il buon Chris Cornell e qualcosa degli svedesi Lingua. Da sottolineare la preziosa performance alla sei corde di Massimo Dalla Valle, a districarsi tra riffoni pesantissimi e brillanti assoli. Bel pezzo, l'ideale biglietto da visita per questa nuova release del combo veronese. Si prosegue con "Forgive" e la sostanza non cambia: ottimo e vario il rifferama, abbinato all'imprescindibile componente eterea dei synth, e la voce di Enrico che questa volta cerca modulazioni vocali alla Kurt Cobain. "Ignorant Song" è un bel tributo agli esordi dei Black Sabbath, in grado di sprigionare una dose di energia sufficiente a scatenare un bel pogo. Diavolo, da quanto non se ne vedono. E allora lanciamoci via veloci ad assaporare la tribalità della title track (bravo a tal proposito Daniele Pedrollo dietro le pelli), una song più lenta ed oscura, in cui sottolineerei ancora il lavoro ritmico (le linee di basso di Alessandro Zanetti rilasciano traccianti da paura) e solistico dei nostri. "So Distant" è breve, veloce, uno schiaffone in faccia tra riff tonanti e l'elettronica ubriacante dei synth, con il frontman che canta principalmente su un tappeto ritmico sostenuto dal solo incessante battere del drummer. Forse un modo per cercare un contatto con gli alieni, quello proposto invece dal cibernetico inizio affidato a "Mankind's Glory", song ipnotica che evoca un che degli esordi dei Cathedral, in una song dal forte potere magmatico. Al giro di boa, ecco il lisergico inizio di "The Spectator" (dove io ci sento un che dei Pink Floyd uniti ai Linkin' Park, sarò pazzo?) pronto ben presto a lasciare il posto al più pesante stoner tipico della band italica. Altra mazzata in volto e siamo giunti a "Solitude", altra perla che vede nuovamente nella band di Lee Dorrian e soci (ma che affonda le proprie radici nel suono desertico dei Kyuss), i propri riferimenti musicali in una scalata musicale da brividi. Si conferma la bontà del songwriting, la produzione cristallina amplifica inevitabilmente la resa sonora ed una potenza che non resta a questo punto che assaporare anche dal vivo. Si arriva nel frattempo alla più lenta e ritmata "Pitchy Mantra", più litanica delle precedenti, ma essendo collocata più in fondo alla scaletta, sembra aver meno da dire. E questa è probabilmente la debolezza di un disco che negli ultimi suoi pezzi, pare smarrire la verve dei primi brani, anche se "The Angry Man" ritrova smalto e brillantezza, nella sapiente coniugazione di psichedelia e blues rock. "The Escape" è il penultimo pezzo del cd, e il vocalist sembra voler provare altre soluzioni vocali (Soundgarden) che si stagliano su di una matrice ritmica costruita egregiamente dai cinque musicisti veneti, in una traccia che mostra ulteriori sperimentalismi sonori al suo interno. In chiusura troviamo "Oracle", traccia più soffice e seducente delle altre che conferma quanto di buono fatto fino ad oggi dai Kayleth. Con un paio di pezzi in meno mi sa tanto che 'Colossus' me lo sarei goduto al meglio, da tener ben presente per la prossima volta. (Francesco Scarci)

(Argonauta Records - 2018)
Voto: 80

Sombre Croisade - Balancier des Âmes

#PER CHI AMA: Swedish Black
Che meraviglia la zona della Vaucluse in Francia, con quei suoi borghi alle pendici delle montagne. Da uno di questi, Bollène, ecco arrivare i blacksters Sombre Croisade, con il nuovo 'Balancier des Âmes', fuori per la Pest Records. Dopo cinque anni di silenzi (a parte uno split datato 2013, in compagnia degli Augure Funébre), l'oscuro duo torna con un nuovo lavoro malato, oscuro, feroce e contorto, insomma in piena tradizione transalpina. Sei i brani a disposizione per definire lo stato di forma di Malsain e Alrinack, i due loschi figuri che stanno dietro ai Sombre Croisade. Si parte con la speditissima "Renaissance", in pieno stile black old school, dove alcuni sperimentalismi folk rimangono relegati in sottofondo, mentre harsh vocals e ritmiche infuocate dominano incontrastate. La title track è un black mid-tempo, in cui roboante è l'architettura affidata alla ritmica, diabolico lo screaming efferato di Alrinack, ma sicuramente melodiche le linee di chitarra che si dilettano nel proporre sonorità ispirata alla scena svedese. "Don Ténébreux" apre con la classica chitarra acustica, prima di divenire più caustica nel proprio incedere mortifero e angosciante che subisce un ulteriore incancrimento nella successiva "Midiane", song altrettanto sinistra ed arrembante, che però ha poco da aggiungere ad un genere, sempre più povero di idee. Si continuerà seguendo questi dettami fino alla conclusiva "Souffles d'Ailleurs", muovendosi lungo i binari di un intransigente e glaciale black metal, consigliato alla fine, solo ai fan più accaniti. (Francesco Scarci) 

(Pest Records - 2017)
Voto: 65

Chien Bizarre - Outsider

#PER CHI AMA: Alternative Rock, Litfiba, QOTSA
"Rock italiano senza compromessi". Quando leggo queste definizioni un po' sorrido e non so poi per quale motivo ma tendo a pre-configurarmi nella mente cosa realmente aspettarmi da una simile dichiarazione. Infilando il cd dei marchigiani Chien Bizarre e premendo il tasto play del mio lettore, vengo letteralmente proiettato indietro nel tempo di quasi 50 anni, visto che il riff de "Il Gigante delle Favole" è chiaramente rubato ai Led Zeppelin di "Good Times Bad Times", cosi come l'utilizzo della voce. La song poi evolve in un rock orecchiabile, di matrice italica anni '70. Ecco, partirei subito col sottolineare che i compromessi ci sono eccome, soprattutto se poi si finisce per strizzare l'occhiolino a Timoria ("Underground") e Litfiba, piuttosto che a sonorità di scuola grunge americana. Per carità, 'Outsider' come lavoro non è affatto male, anzi lo trovo parecchio radiofonico, non mi stupirei infatti di ascoltare qualche brano su radio nazionali, però la scontatezza di certe dichiarazioni me la eviterei alla grande, servono solo a generare inutili aspettative che molto spesso vengono puntualmente tradite. Qui i pezzi scorrono via veloci, forti di una orecchiabilità tutta italiana, fatta di cori coinvolgenti (tutti cantati rigorosamente in lingua madre, il che impedirà a mio avviso, una fruizione anche al di fuori dei confini nazionali), qualche riffone aggressivo e una buona dose di atmosfere seventies. I pezzi che più mi hanno entusiasmato alla fine si contano su una mano: detto della opening track, aggiungerei "Come Cleopatra", da cui è stato estratto il primo video della band e che offre tre minuti di sonorità rock più intense ed oscure devote ai Queens of the Stone Age e che vedono l'ospitata di Massimo Gerini alla voce (tornerà anche in "Empatia" dove a mettersi in mostra c'è un bell'assolo e nella "litfibiana" "Preghiera Laica"). La successiva "Insensibile" conferma quanto di buono già emergeva in "Come Cleopatra" e che mette nuovamente in risalto le influenze rock progressive settantiane della band. "La Mia Generazione" è una semi-ballad dotata di una vena particolarmente malinconica, soprattutto se si pone maggiore attenzione al contenuto dei testi, mentre musicalmente si assiste ad una crasi tra gli In.Si.Dia di "Grido", i Litfiba e gli Alice in Chains. Ultima menzione infine per "Mantide", song a cavallo tra il dark dei Litfiba di 'Desaparecido' e rock progressive. Alla fine 'Outsider' è un buon lavoro di rock contaminato, ruffiano e poco più. La scelta di non scendere a compromessi lasciamola a qualcun altro però che è meglio. (Francesco Scarci)

(Self - 2017)
Voto: 65

Funeral Baptism - The Venom of God

#PER CHI AMA: Black/Death
Arrivano da Bucarest (anche se in realtà le loro origini partano addirittura dall'Argentina) questi terroristi sonori che, sotto il vessillo Funeral Baptism, portano avanti la loro proposta dedita alla fiamma nera del black. 'The Venom of God' è il loro debutto sulla lunga distanza, sebbene la durata di poco inferiore ai trenta minuti, possa far pensare piuttosto ad un EP. All'attivo dei nostri proprio due EP, che mostravano le potenzialità infernali del duo rumeno. Potenzialità che si palesano anche attraverso questi cinque (più intro e outro) velocissimi pezzi che, dalla scarnificante e spietata "The Seething Spirit", arrivano a "My Last Whisper", sfruttando una furia belluina ed infame che non lascia scampo. L'unica mia raccomandazione è pertanto farvi attraversare dall'intemperanza ritmica di un combo votato ad una forma di black primordiale che nulla ha da aggiungere ad una scena del resto ormai satura da anni. Potreste tuttavia soffermarvi sulle atmosfere glaciali di "The Gift" che vi faranno credere, almeno per qualche minuto, di camminare tra le innevate foreste svedesi. Lo stesso dicasi per la furibonda "Pale Rider" che tra i suoi accordi, vede riproporre un rifferama malinconico che mi ha evocato gli spagnoli Nahemah. Se la title track ha una vena più oscura e ritmata, con "Return to the Void" si sfocia in death intransigente che trova come punto di legame col black, le sole ferali urla del vocalist Liviu Ustinescu, mentre i solos sembrano uscire da 'Reign in Blood' degli immortali Slayer. Creatura strana quella dei Funeral Baptism, sicuramente da avvicinare con cautela. (Francesco Scarci)

(Loud Rage Music - 2017)
Voto: 65