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sabato 29 luglio 2017

The Pit Tips

Francesco Scarci

Cold Insight - Further Nowhere
In Tormentata Quiete - Finestatico
Apneica - Vulnerabile Risalita

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Don Anelli

Stormhaven - Exodus
Agresiva - Decibel Ritual
Pathology - Pathology

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Kent

Philip Glass - Glassworks
Kehlvin/Rorcal - Ascension
Ryuichi Sakamoto - Async

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Michele Montanari

Novembre - Ursa
Throes of Dawn - Our Voices Shall Remain
Vokonis - The Sunken Djinn

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Five_Nails

Dying Fetus - Wrong One to Fuck With
Burzum - Fallen
Decapitated - Anticult

Sahhar - Kliem It-Tmiem

#PER CHI AMA: Black Metal
Proveniente da Malta, Sahhar è una one man band attiva dal 2006, che ama identificarsi nel "cold realm of black metal", sebbene l'ascolto di questo lavoro non s'identifichi realmente in questo genere, seppur si trovino numerose tendenze a riguardo. Si potrebbe discutere a lungo e in largo riguardo le caratteristiche fondamentali del black metal e si potrebbero fare diverse deroghe ad esse, ma tenderei a definirlo più black che ad inquadrare l'opera verso un metal cosiddetto sinfonico. Le tracce sono assai numerose (anche se il mastermind dichiara che l'album è assai lungo è per commemorare una decade di black metal), gli spunti diversi, e contrastanti sfumature si possono cogliere nel corso dell'ascolto di 'Kliem It-Tmiem'. L'impressione è quella di una musica che vuol essere epica, mistica, a tratti rabbiosa e veloce, senza i tipici toni diminuiti scandinavi che darebbero quella patina di malvagità al disco. Non sfuggono ahimè all'udito alcune sfortunate peculiarità di questa release: una drum machine opaca e dal suono ovattato fa sentire quasi esclusivamente i battiti di grancassa e il crash; la chitarra elegantemente distorta e compressa - per quanto in queste condizioni musicali possa essere preferibile un suono non troppo invadente e pulito - è magra, non eccessivamente incisiva e dai tratti innaturali. Si percepisce l'utilizzo delle tastiere che tentano di trasmettere una qualche aria peculiare ("Zliega" ne è un esempio) mentre un minimo di varietà è creato dai cori, dagli archi e da varie atmosfere, ma alla fine faccio fatica a capire se l'utilizzo di questi orpelli riescono a migliorare la performance dei brani. Una delle note sorprendenti del cd è la tecnica vocale, mutevole e potente, del frontman che trascina e sorregge la più discutibile base musicale. I testi in maltese risultano piacevoli, la fonetica semitica è particolarmente apprezzabile nei momenti più cadenzati e atmosferici. Alla fine però, ribadisco che l'eccessivo numero di song presenti rischi di rendere un po' pesante e noioso l'ascolto, a causa di una durata a dir poco estenuante per il genere proposto, complice anche un sound un po' troppo sintetico che priva di mordente l'intera opera. Non si discute la varietà delle composizioni, magari suggerirei al buon Sahhar di aumentare la creatività a scapito di un disco un po' più breve e fruibile. (Kent)

Kyle Morrison - Pianometal

#FOR FANS OF: Instrumental Progressive Metal; Mindflowers, OSV
Hailing from Atlanta, Georgia, multi-talented instrumentalist Kyle Morrison has assembled quite a profound and dynamic debut full-length effort taking influence from a variety of disparate elements that takes part in a unique and stylish offering. The skill-set is obvious from the very beginning with a rapid-fire slew of twisting, challenging progressive rhythms that bring about plenty of engaging work. Littered with tight groove-based rhythms, rattling drumming and sparkling piano-focused melodies that add a great touch to the blasting rhythms, keeping a stellar base for the album to work around throughout here. The multitude of guests here makes for a strong collection of talent as well, giving stellar performances to a great mixture of progressive touches and stiff grooves. 'Centrifuge,' 'Hymn of Blasphemy' and 'Mammoth' exemplify this style the most, while the three-part Cosmos trilogy, 'Martian Dusk,' 'Orion's Curse' and 'Interstellar Survival' all give a different look to the material at hand with stand-out progressive leanings and complex riff-work alongside the marvelous piano melodies that take center-stage for those tracks. There are maybe a few too many bonus tracks here which does make for a slightly overlong feeling here, but this is still a great overall release in this style. (Don Anelli)

Thalos - Event Horizon

#PER CHI AMA: Post Rock strumentale, Mogway
Curiosa fusione tra post-rock strumentale, gusto tedesco per l’elettronica ed esperienza visiva (c’è un videomaker fisso nella squadra, che trasforma in esperienze visive la musica), in questo debutto dei veneziani Thalos. 'Event Horizon' è un lavoro compatto, completamente coerente dal primo all’ultimo minuto. Nove tracce mature ed emotive, costruite sostanzialmente sul continuo gioco melodico tra chitarra e synth — sotto il quale s'incastrano basso e batteria, precisi e costanti —, che si inseguono, si sostengono e si rispondono in continuazione. Le coordinate sono quelle del post-rock colorato di elettronica: niente di nuovo, quindi, anche se i Thalos sanno gestire il tutto con un gusto etereo, impalpabile — mancano i forte/piano tipici, per dire, di certi Mogwai. Meglio: le accelerazioni e i cambi di dinamica ci sono, ma sono pacati, educati, eleganti. Nessuna sorpresa, nessun sobbalzo, nessuna emozione improvvisa. 'Event Horizon' scorre languido, alternando con equilibrio e dolcezza episodi più ritmici ("Berlin", "Progress", "Union") a momenti più onirici ("Quantum", "Limbo"), prediligendo in generale l’atmosfera alla novità, il bel suono al volume, l’intimità al trasporto. Il rischio, purtroppo, è che questo disco passi senza lasciare traccia: delicato e sommesso, non sembra richiedere un ascolto troppo concentrato. Finirà, purtroppo, a suonare in sottofondo mentre fate qualcos’altro. (Stefano Torregrossa)

L’Ira del Baccano - Paradox Hourglass

#PER CHI AMA: Psych-rock/Stoner, Hawkwind, Black Sabbath, The Grateful Dead
Comprate questo disco, ora: è un fottuto capolavoro. I romani L’Ira del Baccano, quasi tre anni dopo l’acclamatissimo 'Terra 42', sfornano questo 'Paradox Hourglass' che è in grado di muoversi agilmente tra il rock oscuro vecchia scuola dei Black Sabbath, lo space rock di Hawkwind e The Samsara Blues Experiment, il prog dei Rush e l’attitudine all’improvvisazione dei The Grateful Dead. Un lavoro solido e poliedrico, ricco di sfaccettature, composto da una lunga suite in due parti (per un totale di 20 minuti) e due brani mai sotto gli 8 minuti. “Paradox Hourglass Part 1 e 2” sono un inno heavy-prog, talmente ricco di riff, stili, cambi di atmosfera e livelli di ascolto da valere l’intero disco. Le chitarre di Santori e Malerba fabbricano sofisticati pattern, perfettamente a loro agio sia nelle sonorità più progressive (Part 1) che in quelle più heavy (Part 2). La sezione ritmica di Salvi e Bacchisio, solo apparentemente in secondo piano, colora con grande gusto ogni riff e passaggio, consapevole nel creare dinamiche e nel seguire i fraseggi delle due chitarre. “Abilene” è un frullato perfetto di attitudine jazz-prog e stoner rock, con una parte centrale (arricchita da tastiere e theremin) che vi proietterà nello spazio più ipnotico, per poi rituffarsi in sonorità heavy. Chiude “The Blind Phoenix Rises”, sensibilmente più lenta e doom delle precedenti — persino epica, in certi passaggi — ma nuovamente incredibile nella varietà e negli incastri di tempi, ritmi e riff. E sia chiaro: non c’è onanismo in questo disco, nessuna esagerata dimostrazione, nessun vezzo tecnico fine a se stesso — ogni singola nota viene suonata nel rispetto del brano e della personalissima visione musicale dei L’Ira del Baccano. Gli oltre 40 minuti di 'Paradox Hourglass' vi riempiranno cuore e cervello, e solo alla fine vi accorgerete che la voce non vi è minimamente mancata. Se credete che gli italiani sappiano fare solo pop, cantautorato noioso o repliche di repliche di indie (se ancora questa parola ha un senso) — beh, ascoltate 'Paradox Hourglass' e pentitevi. (Stefano Torregrossa)

lunedì 24 luglio 2017

Ecnephias - The Sad Wonder Of The Sun

#PER CHI AMA: Gothic Rock
È ufficiale, la trasmutazione degli Ecnephias è ormai completata. 'The Sad Wonder Of The Sun' è il sesto album della band lucana e ci dice che ormai le distanze dalla scena ellenica sono ormai prese. Mancan e soci propongono oggi un gothic rock tinto di atmosfere horror che con il sound estremo degli esordi che strizzava l'occhiolino ai Rotting Christ, condivide solo i pochi vocalizzi growl del frontman. Nove le tracce a disposizione per i nostri per convincerci della bontà della loro nuova proposta musicale, che si apre con "Gitana", una song che immediatamente mi ha rievocato le atmosfere di "Mephisto" dei Moonspell, anche se quello degli Ecnephias è un sound decisamente più morbido di quello contenuto in 'Irreligious', sostenuto poi da una performance vocale completamente in pulito e da un blando flusso sonico che s'irrobustisce solo negli ultimi 30 secondi. Quello stesso flusso prosegue nella sinistra "Povo de Santo", un pezzo un po' meno compassato rispetto all'opener, e che vede dietro al microfono come guest star, Raffaella La Janara Cangero (che comparirà anche in "Quimbanda") ad affiancarsi al growling sempre riconoscibile di Mancan, in una song stracolma di groove, dalla melodia fischiettabile e caratterizzata da un ottimo coro. Suoni dal forte sapore ottantiano contraddistinguono invece la flebile ritmica di "Sad Summer Night", song spettrale nella sua componente tastieristica, che vede il vocalist lucano manifestarsi nella sua doppia veste pulita-growl mentre a livello strumentale, il quintetto potentino regala un preziosissimo break di chitarra ed un assolo che sprigiona eleganza allo stato puro. Un riffone che sembra invece provenire da un qualche disco thrash degli anni '80, apre in modo inatteso "The Lamp", ma le keys ne smorzano immediatamente l'irruenza in una song lineare, melodica, piacevole ma forse un po' troppo scolastica. Sembra invece di trasferirsi in una qualche spiaggia caraibica con "Nouvelle Orleans", complice una inedita musicalità reggae tutta da scoprire, che ci mostra la band nostrana sotto una nuova luce, e con la voce del buon vecchio Mancan che emana un calore simile a quello che l'effetto di un paio di cicchetti di whiskey o meglio ancora di rhum potrebbero avere sulle corde vocali. Bel risultato devo ammetterlo, anche se sia ben chiaro, "scurdámmoce 'o ppassat" degli Ecnephias visto che oggi sono una realtà completamente diversa da quella dei loro esordi black death e in continua evoluzione rispetto anche alle ultime uscite. Le atmosfere horror tornano sovrane in "A Stranger", una traccia squisitamente spettrale nel suo incedere severo. Sembrano richiami a The Cure e Fields of the Nephilim quelli che sento in "Quimbanda", la song più dinamica del disco (soprattutto nel finale movimentato tra elettronica e heavy classico), che ripropone la vocalist dei La Janara al microfono e che finalmente vede Mancan tornare a cantare, in alcuni tratti, anche in italiano (che francamente  prediligo), cosi come nella successiva "Maldiluna", in uno strano connubio tra elettronica, suoni mediterranei, rock, dark e techno music che mi disorienta non poco. A chiudere questo eclettico 'The Sad Wonder Of The Sun' ci pensa "You", ultima dimostrazione di quanti e quali rischi si siano presi gli Ecnephias in quest'ultima loro fatica, proponendo un mix tra Paradise Lost e Type o Negative riletti in chiave pop rock, con il supporto di ottimi arrangiamenti. Che altro dire se non constatare la progressione di una band che non si è mai arresa di fronte alle avversità, che ha costantemente cercato di evolvere il proprio sound anche rischiando non poco di andare contro ai vecchi fan. Solo per questo valgono il mio rispetto, poi a parlare per loro c'è anche la storia. Alla fine però 'The Sad Wonder Of The Sun' lo si può amare o detestare, questo non toglie l'egregio lavoro fatto dai cinque musicisti italici, che quatti quatti potrebbero rischiare addirittura di divenire i leader di un nuovo movimento gotico mondiale. (Francesco Scarci)

domenica 23 luglio 2017

The Prisoner – Life of the Mind

#PER CHI AMA: Black/Doom, Sarke, Emptiness
Secondo album concettuale per l'originale band parigina dei The Prisoner, incentrato sul tema della desolazione, il silenzio e la prigionia del vuoto, un vortice infernale che lacera qualsiasi sentimento che gli si avvicini. Dediti ad un metal dalle tinte fosche e funeree, nella musica dei nostri, ci si imbatte spesso in trame dal drammatico stile doom che lasciano un po' di respiro e ci allontanano da un drumming e un riffing, selvaggio e compulsivo, che cavalca padrone il sound della band francese. Si parte con l'oscura "Awake", con la sua lunga e plumbea intro e già si ha l'impressione di essere davanti ad un buon album, lavorato con cura e ragionato nei particolari. La qualità sonora è alta, tipica delle band votate al doom, l'incedere lento che viene stravolto da una violentissima, veloce e caotica cavalcata nera come la pece, intonata da uno screaming esistenziale, malato e decadente. Segue "Emptied" e il sound diviene ancora più spesso, odorante di zolfo, carico di tono guerriero e umor nero. Il cambio di velocità, i chiaroscuri compositivi diventano una felice realtà che colloca esattamente la band, a metà strada tra il black e il doom metal, un ibrido dai toni epici che funziona e che non mostra lacune, non annoia mai. "Emptied" è un pezzo straordinario e con il suo finale decisamente horror, tocca vertici altissimi che difficilmente si possono ignorare, un incrocio tra Sarke, Pale Chalice, Emptiness e certi aspetti dei Watain. Entusiasmante e geniale è l'accostamento di suoni sci-fi da film horror anni '70 udibili qua e là come nella lunga, demoniaca e complicata "Battling Ego" (a mio parere il brano migliore dell'album), con suoni che donano al pezzo una forma progressiva, sperimentale e sempre in evoluzione, cosa che nelle track successive amplierà il raggio d'azione dei nostri e ne avvalorerà la loro capacità compositiva. Estremi, violenti, sinfonici, malati e filmici quanto basta per ammirarli come una band d'alto rango, in un album coinvolgente, mai scontato e suonato divinamente. Interessante e decisamente appetibile all'ascolto, grazie ad un suono maturo e reale, caldo ed intenso, attraente ed oscuro al punto giusto, un toccasana per i cultori del genere metal più ricercato, più vivo ed estremo. Ascoltate infine "Acte Final", un brano da leggenda, una vera perla. Questo disco uscito nel dicembre 2016 a seguire il precedente 'The Silence and Nothing', licenziato via Melancolia Records nel 2012, è la risposta più bella che la band in autoproduzione, poteva dare, superando di netto il suo predecessore. Splendido, da avere assolutamente! (Bob Stoner)

Opalized - Rising From the Ashes

#PER CHI AMA: Metalcore
Nati a alla fine del 2015, i ragazzi d'oltralpe Opalized, senza perdere tanto tempo in saluti e smancerie si dedicano immediatamente alla stesura, nonché registrazione dell'album 'Rising From the Ashes'. Il disco è interamente autoprodotto e devo dire con un'ottima resa moderna del sound, con bassi potenti e una bilanciatura perfetta delle frequenza. I nostri propongono un metalcore assai commerciale a cui non si può chiedere niente di più di un ascolto disinteressato. Il tutto infatti suona troppo scontato, con parti stoppate e aperture di chitarre melodiche, con qualche bel riff interessante per carità, batteria sempre dritta, growl alternato a parti pulite. Ho cercato qualcosa di più sul conto della band sul web ma sono rimasto abbastanza deluso nel non vedere live al loro attivo se non qualche data nel prossimo autunno. Alla ricerca di un video, mi è spuntato quello del batterista che finge di suonare la parte della registrazione di batteria in uno studio senza nemmeno un microfono, e proprio non ne capisco l'utilità. Comunque il gruppo è molto attivo sui social avendo più di 20.000 followers, forse a loro interesserà maggiormente questo, piuttosto che fare musica nel vero senso della parola. La parte più bella del disco che mi sento di consigliarvi? L'intro (ed è tutto dire) di "Black Flag", un bellissimo pezzo di bossa nova. Assolutamente bocciati, ma non tutto è perduto. (Zekimmortal)