|
#PER CHI AMA: Epic/Folk/Power |
Dal cuore della Svizzera, ecco arrivare il folk-metal degli Infinitas, band nata otto anni fa, ma che solo in questo 2017, riesce ad esordire sulla lunga distanza con questo 'Civitas Interitus', dopo aver rilasciato un EP nel 2015. Ebbene, inizierei col dire che i suoni del quintetto proveniente da Muotathal, possono sembrare abbastanza fuorvianti all'inizio, almeno fino a quando i nostri non mostrano una certa coerenza musicale. Tralasciando l'intro in svizzero tedesco, non posso che rimanere ammaliato da quello che sembra il canto di una sirena collocato sopra una chitarra acustica. Da li a un minuto, rimango invece impietrito di fronte ad un micidiale attacco death/thrash, quello della tonante "Alastor", che ci presenta immediatamente le qualità dietro al microfono della procace Andrea, che si presenta con una voce che varia tra l'urlato, un rarissimo growl e una voce più pulita che si accompagna con un rifferama ora decisamente più orientato all'heavy metal, anche nel pseudo assolo conclusivo. Strano constatare come la song, ma è applicabile comunque per l'intero disco, mostri più facce della stessa medaglia all'interno di uno stesso brano, con la convivenza di più umori e generi. Con "Samael" fa la sua comparsa anche un violino, una voce maschile si accompagna a quella della frontwoman, cosi come cori ben più carichi di groove e melodia, e un riffing che persiste nel ringhiare in territori thrash metal viene smorzato dal folk dei nostri che si fa sempre più arroventato. "Labartu" è un pezzo che parte assai compassato instillando inizialmente un'atmosfera quasi bucolica che ci porta lontano con la mente, in terre incantate su montagne verdi, forse proprio quelle del Cantone Svitto, da cui la band proviene. Nella seconda parte, decisamente più ritmata, possiamo apprezzare nuovamente la performance vocale della brava vocalist, il rullare di una tempestosa batteria e una specie di assolo di basso, tutti elementi che rendono la song parecchio interessante, seppur pecchi un po' in prolissità. "Aku Aku" è un oscuro pezzo strumentale che spezza il ritmo incessante instaurato fin qui dal combo elvetico e che ci introduce alla seconda parte del disco, quella che inizia con la accattivante "Skylla", pezzo meno tirato rispetto ai precedenti, quello che potrebbe anche scalare le classifiche per una vena pop insita nelle sue note, che vedono una versione più equilibrata di Andrea alle vocals. Con "Rudra" si torna a viaggiare sulle velocità heavy fin qui prodotte, con qualche backing vocals che fa capolino qua e là, opera del drummer. La song mantiene intatto il suo spirito folklorico in un incedere che continua a preservare qualche traccia di thrash metal, che si conserverà anche nella successiva "Morrigan", in cui la cantante, per qualche istante, si lancerà addirittura in un cantato lirico. Ancora il violino ad aprire "Amon", un'altra song dal rifferama compatto e veloce che per alcuni versi mi ha evocato anche un che dei Running Wild, e che propone un bel break centrale. Arriviamo al lungo finale affidato a "A New Hope", oltre tredici minuti aperti da uno spoken word in lingua germanica, poi eteree melodie e angeliche vocals che, insieme al suono del mare, dischiuderanno l'ultima sorpresa, un'arrembante ghost track che chiude un disco solido, piacevole e indirizzato soprattutto agli amanti di heavy/power/epic/folk, ma anche ai fan più aperti di thrash e death metal. (Francesco Scarci)