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giovedì 16 febbraio 2017

Phoenix Mourning - When Excuses Become Antiques


BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Metalcore/Emo, Trivium
C'è stato un periodo, a metà anni duemila, in cui ogni giorno la mia casa era invasa dal suono metalcore di una qualche band statunitense ed è ancora la Metal Blade, che oramai era diventata specialista in questo genere, a deliziare le mie orecchie con l'ennesima new sensation dagli USA. Chi mi conosce e si aspetta l’ennesima stroncatura in quest’ambito, dovrà ricredersi perché a me i Phoenix Mourning non dispiacciono. Non inventano nulla di nuovo per carità, però ho come la sensazione che ciò che suonano sia fatto col cuore. La band a stelle e strisce proveniente dalla Florida, prodotta da Tom Morris (Iced Earth, Obituary), ci spara 13 tracce di metalcore moderno che sconfina nell’emo, fatto di riff metal su quali s’innestano graffianti voci death e pop (si avete letto bene) clean vocals, accompagnati da fughe in territori hardcore e da ruffiane melodie emo. Il limite di questo genere è che forse dopo pochi ascolti si esaurisce il desiderio di rimettere il cd nello stereo o che molte volte non si riesce ad arrivare alla fine del disco perché le canzoni finiscono per assomigliarsi un po’ tutte. Ad ogni modo, per chi ama questo genere di sonorità, l’ascolto è come minimo consigliato, tanto per avere qualcosa di nuovo da fischiettare sotto la doccia. (Francesco Scarci)

(Metal Blade - 2006)
Voto: 65

https://www.facebook.com/PhoenixMourningFL/

The Classic Struggle - Feel Like Hell

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Death/Thrash/Metalcore
La Metal Blade non è sempre stata un'etichetta brillante, negli anni 2000 è stata spesso sinonimo di death/metalcore, e talvolta non proprio di qualità. The Classic Struggle è una di quelle band che nel 2005 (e successivamente nel 2008, prima che si perdessero un po' per strada) ha pensato bene di provare a perforarci i timpani con la loro “originalissima“ miscela di death/thrash per cui subito mi viene da pensare:“Che palle, un’altra band che suona uguale a mille altre!! Ce ne era forse bisogno?”. Si ragazzi, non c’è niente da fare, i gruppi non si sforzano minimamente di cambiare ricetta, si limitano a scopiazzare a destra e a manca ciò che andava e va per la maggiore. Quest'ennesima band che mi capita tra le grinfie non sarà ruffiana come tante altre, ma pescando a piene mani dal death svedese, miscelando il tutto con un sano metalcore americano, sforna l’ennesimo inutile disco. La ricetta di 'Feel Like Hell'? 12 brani, tirati, diretti, con chitarre taglienti, una pietosa batteria sincopata, una voce al vetriolo, qualche stop’n go, un paio di rallentamenti con feroci ripartite, sfuriate grind e la zuppa è pronta. Ma l’inventiva, l’originalità e la personalità dove sono andate a finire, perdute nei meandri più dispersi del pianeta? L'ennesimo disco clone che mi induce sempre più spesso a fare copia-incolla con recensioni precedenti. Alla fine i poveri The Classic Struggle magari non sarebbero neanche male, ma in un calderone di uscite mensili tutte identiche quanti si ricorderanno del loro “memorabile” disco? Noiosi. (Francesco Scarci)

(Metal Blade - 2005)
Voto: 50

https://www.facebook.com/TCSOfficial

Sudden Death - Unpure Burial

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Brutal Death, Obituary, Morbid Angel
Ricordate quali erano i gruppi che arrivavano da Tampa (Florida) oltre vent'anni fa? C’erano i Morbid Angel, i Deicide, i Monstrosity e tante altre valide band di death metal che fruttarono il nome di un genere solo per la loro posizione geografica, il “Floridian Death Metal”. Non era tutto oro ahimè quello che arrivava da quelle parti e in questo caso dobbiamo accontentarci dei Sudden Death, band dedita ad un sound vicino alle band succitate ma con potenzialità veramente ridotte rispetto ai mostri sacri. 'Unpure Burial', album ormai del 2004, raccoglie dieci song di un death canonico senza troppe velleità, senza troppi sussulti con qualche passaggio interessante, ma niente di più da segnalare. I ragazzi sono dei bravi strumentisti, su questo non si discute, ma di idee qui ce ne sono veramente poche: manca la cattiveria, la furia che contraddistingue un genere che ha fatto della violenza e della brutalità la propria bandiera. Il metal dei Sudden Death viaggia su mid-tempos, anche se ogni tanto i ragazzi si svegliano e pestano sull’acceleratore, senza però mai convincermi appieno; manca freschezza, energia e irruenza, tant'è che dopo tre brani mi ritrovo apatico e annoiato da un disco ha ben poco da dire. In “My Left Shoulder” influenze doom drone fanno capolino e così sembra che i nostri si siano calati un acido e suonino come i Black Sabbath; altrettanto accade in “Black Heart Soul” e nella conclusiva “Dethroned Disciple”, ultimo pezzo che mette la parola fine a quest’agonia. Proprio non riesco a digerirli, voi provate a dargli un ascolto, magari li potreste trovare anche interessanti. (Francesco Scarci)

(Locomotive Records - 2004)
Voto: 50

http://suddendeathpr.tripod.com/

martedì 14 febbraio 2017

Eufobia – S/t

#PER CHI AMA: Thrash/Death, Voivod, Nevermore
Gli Eufobia con la loro musica riescono ad elettrizzare qualsiasi cosa gli venga a tiro; hanno la dote speciale di saper scrivere brani potenti e corposi lasciando anche l'ascoltatore più scettico a bocca aperta. Nati a Sofia nel lontano 2003, e al loro terzo album completo (distribuito via Wizard LTD), dopo un buon disco come il precedente 'Cup of Mud' datato 2011, tante date e tour di spalla a band molto blasonate (Immolation, Onslaught...), centrano il bersaglio con un ordigno sonoro pronto ad esplodere nelle vostre orecchie. Risultano un po' come una felice anomalia nel panorama metal estremo odierno, poiché riescono a fondere in maniera convincente vecchie e nuove tendenze senza cadere nell'obsoleto e nella composizione scontata. La cosa che più colpisce nel nuovo disco è l'uso della voce, che si avvale poco del growl a vantaggio di un canto d'assalto, ruvido ma nitido, che ricorda molto i felici fasti dei Voivod epoca 'Phobos', cosa che li accosta ancor più al thrash d'annata rivisitato con un sound più moderno che rievoca i Gojira, tecnologico e melodico, stile Nevermore o i Machine Head dell'ultimo periodo. Comunque, 'Eufobia', è un album la cui caratteristica principale è la velocità: le canzoni rincorrono le tradizioni del metal estremo presentandosi con un impatto sonoro inaudito, tutto impostato sulla timbrica di una bellissima sezione ritmica e con chitarre mozzafiato che riescono a dare vitalità e inventiva a modelli musicali preimpostati. La voce e i cori che si spingono fino alla soglia dell'hardcore/punk vecchio stile, risultano di grande efficacia ("Liquid of Creation"), mentre la ricerca di evoluzione e la fuga verso le derive della sperimentazione e della creatività compositiva si esaltano in "Devotion", carica di suggestioni prog in salsa Static X, isterica e stravagante con un drumming supersonico. La band è difficile da inquadrare sin dal primo brano, le influenze sono molte e pure lo spettro dei Mastodon più complessi, appare sullo sfondo di "Fat Sack of Shit", un pezzo da devastazione ben calibrato. Bella la concentrazione d'atmosfere sci-fi e il sano carico di potenza (vedi "Unspoken") che sorvolano tutto il disco, senza dimenticare che i quattro musicisti bulgari danno mostra delle loro ottime capacità in tutti i brani, anche grazie ad una produzione accorta e di primo piano che rende la mezz'ora di musica contenuta nell'album davvero encomiabile. Un'opera d'arte, fresca e coinvolgente da ascoltare tutta d'un fiato. Una prestazione notevole della band per uno splendido album, vivace ed aggressivo, creato con tanta passione ed intelligenza per reinterpretare, contorcere, ed oserei dire, reinventare le sorti dell'extreme metal. Un album di metal pesante che non si regge solo sulla violenza sonora, sulla doppia cassa soffocante o ad una voce gutturale, un album che parla di nuovo death metal in maniera seria e credibile, saltando a piè pari tutte le possibili etichette del genere. Un lavoro evoluto, geniale e proiettato nel futuro che soddisferà le esigenze di tutti, anche quelle dei più intransigenti. Album stellare! (Bob Stoner)

domenica 12 febbraio 2017

Intervista con Hungry Like Rakovitz


Conosciamo qualcosa di più dei grinders Hungry Like Rakovitz. Di seguito il link all'intervista che il nostro Kent ha avuto con la formazione bergamasca:

Revenience - Daedalum

#PER CHI AMA: Power Symph
Formatisi nel 2014 dalle ceneri di precedenti band, principalmente dai Nemoralis, i bolognesi Revenience ci presentano la loro prima fatica discografica, 'Daedalum', uscita per la Sliptrick Records lo scorso anno. Forti della soave voce di Debora Ceneri e di un’inclinazione melodica, la band ci propone con naturalezza un carico symphonic metal forgiato da influenze gotiche, seguendo le fortunate orme di gruppi come i connazionali Soundstorm. Il quintetto bolognese non si fa mancare nemmeno qualche sfumatura più elettronica, che possiamo avvertire fin dall’inizio del disco, già dall’introduzione strumentale: questa, per i nostalgici come me, può richiamare alla mente i vecchi album dei Rhapsody, che si presentavano sempre con la canonica intro composta da cori ancestrali e orchestrazioni da soundtrack. Tuttavia, se allora capitava di perdersi nelle sinfonie provenienti da mondi antichi e fantastici, qua ci troviamo in una terra ben diversa e in un’epoca decisamente più attuale! “Blow Away By The Wind” è forse il pezzo più emblematico, in cui si avvertono un po’ tutte le caratteristiche principali dei Revenience: sound potente a sostegno delle vocals della Ceneri, che qui si destreggia in modo impeccabile, sfoderando la sua padronanza delle corde più alte e alternandosi nel chorus alle growl-vocals del batterista Simone Spolzino. Le tastiere lavorano a tempo pieno, con le onnipresenti orchestrazioni d’archi e gli stacchi “electro” arricchiti da una sovrapposizione di fluttuanti pad. La lenta ballad piano-voice “Lone Island”, molto ben congegnata musicalmente e con vocals ancora vincenti, è seguita dall’irruenta "A-Maze", che racchiude il lato più potente e cattivo dell’ensemble bolognese, ma in cui non può comunque mancare uno stacco di richiamo fortemente melodico (bel lavoro la parte pianistica sul finale!). La traccia conclusiva dell’album, “Shadows and Silence”, dalla struttura leggermente più articolata, rappresenta una degna chiusura per un esordio altrettanto degnamente riuscito: la doppia cassa a sostenere i ritornelli, l’assolo ‘catchy’ di chitarra nella parte centrale, l’ottimo lavoro dietro le tastiere di Pasquale Barile e poi una scordata melodia in fade, lasciano l’atmosfera sospesa in un misterioso sospiro. Possiamo con piacere definire questo 'Daedalum' un debutto discografico decisamente azzeccato da parte della band bolognese che, pur senza introdurre particolari novità, riescono a proporsi con un certo stile, senza annoiare: una piacevole sorpresa nostrana nel campo power/sinfonico, come furono qualche tempo fa anche i Sailing To Nowhere. Speriamo dunque di stupirci ancora! (Emanuel 'Norum' Marchesoni)

(Sliptrick Records - 2016)
Voto: 80

https://www.facebook.com/Revenience/

sabato 11 febbraio 2017

Cold Body Radiation - The Orphean Lyre

#PER CHI AMA: Shoegaze/Post Punk, An Autumn for Crippled Children
Al quarto tentativo mi imbatto finalmente nei Cold Body Radiation, one man band olandese affacciatasi nel mondo metal nel 2010 con una proposta blackgaze davvero convincente, che nel corso degli anni si è evoluta, proponendo oggi un sound più etereo e vellutato. Ecco quindi 'The Orphean Lyre', fuori per la nostrana Dusktone Records, un lavoro che include otto tracce che di quel sound originario non conserva ahimè più nulla. Il cambio di rotta era già palese nel precedente 'A Clear Path' e trova consolidamento in questo nuovo album, che può essere accostabile per molti versi alla direzione intrapresa da un'altra band dei Paesi Bassi, gli An Autumn for Crippled Children, ossia un post punk shoegaze (lasciate però perdere gli Alcest), venato di forti influenze che ci riportano alla darkwave. M, il mastermind che sta dietro ai Cold Body Radiation, si abbandona a sonorità estremamente malinconiche, dimenticandosi completamente dei suoi albori black. Con "The Ghost Of My Things" ci si tuffa nell'infinito universo dello shoegaze più intimistico ed onirico, più vicino al dream pop, con tanto di voci melodiche e sognanti, e linee di chitarra poste in secondo piano rispetto ai più preponderanti synth. Solo qualche rara galoppata in stile punk, rappresentano l'unico vero punto di contatto con un passato ormai scivolato nell'oblio, perché anche con "All The Little Things You Forget Are Stored In Heaven" e le rimanenti tracce, fino all'ultima e più convincente "The Forever Sun", si procede nell'esplorare morbide atmosfere ambient, che hanno se non altro il merito di concederci momenti di relax e meditazione. Difficile consigliare questo disco ai fan di vecchia data della band olandese, ma se siete stati in grado già di assorbire il colpo con 'A Clear Path', anche 'The Orphean Lyre' potrebbe meritare la vostra attenzione. Chi invece si avvicina per la prima volta al musicista olandese, ed è in cerca di una qualche esperienza sensoriale, si lasci pure avvolgere dal sound stratificato dei Cold Body Radiation, potrebbe risultare quasi piacevole. (Francesco Scarci)

(Dusktone Records - 2017)
Voto: 70

PhaZer - Un(Locked)

#PER CHI AMA: Alternative Rock
I PhaZer sono un quartetto portoghese nato nel 2004 con all'attivo due EP e due album nonché una svariata lista di concerti. La vera svolta della band è avvenuta firmando con le etichette Raging Planet, Raising Legends ed Ethereal Sound Works che hanno permesso al quartetto di Lisbona di crescere esponenzialmente ed essere definiti più volte come la miglior rock band portoghese. La loro musica è infatti un concentrato di puro rock con reminiscenze alternative e metal che hanno portato ad ottenere ben quattordici brani per un totale di sessanta minuti di musica. Un lavoro quasi biblico di questi tempi. "Gone", la opener track, ci proietta immediatamente nell'universo musicale della band e lo fa con un bel calcio in culo, una botta di pura potenza neanche fosse una sniffata di metanfetamina blu. I suoni moderni, cosi come le chitarre belle compresse e la precisione di esecuzione strumentale, rendono il sound netto e tagliente, mentre il vocalist ci delizia con il suo cantato potente e dalle grosse influenze thrash metal che si adatta perfettamente all'evoluzione del brano. Questo è arrangiato egregiamente e dalla struttura classica, ma suonato con passione e convinzione, come la seguente "The Last Warrior" che aggiunge atmosfere cupe ed inietta una copiosa dose di rabbia incontrollabile per poi ammorbidirsi sul ritornello. La continua alternanza di fraseggi dalla diversa intensità, rendono la canzone dinamica e piacevole. Bello anche l'assolo verso la fine, giusto per dare respiro al vocalist che può riprendere con la solita enfasi. "Hold Me" si distacca invece dall'intera produzione, con un feeling power/prog rock anni '80/90, e in cui anche i suoni cambiano come il cantato. Praticamente un tuffo nel passato, che ci fa sospettare di una simil forma di bipolarismo insita nella band. Il repentino cambio di inversione si fa apprezzare, anche se per un attimo ho avuto il dubbio che fosse partito un altro cd nel lettore. Andando avanti nell'ascolto di 'Un(Locked)', si trovano altre sfaccettature nello stile dei PhaZer, come "Wake Up To Die" che riprende lo stile desertico delle cavalcate stoner. Riff e pattern cadenzati guidano la potente "muscle car" in stile classico americano con vocalizzi dal sentore più moderno. A circa metà del brano arriva lo stacchetto geniale, un jingle in stile circense che spezza il ritmo e regala la scusa per riprendere la corsa interrotta per poco. L'album chiude con "Locked Out", un pezzo introspettivo ed oscuro che dopo una breve intro arpeggiata e sottomessa, esplode in un tripudio strumentale cattivo e rabbioso che poi si addolcisce quasi a ballata, con una continua alternanza che mantiene alto il livello di attenzione. Non poteva mancare l'assolo finale con conseguente progressione a chiudere in bellezza. Sonorità contemporanee allacciano generi del passato per reinterpretare lo stile e scrivere qualcosa di apparentemente nuovo, già comunque sentito e digerito negli ultimi anni, ma i PhaZer sono bravi, si mettono in gioco e sperimentano con quello che è nelle loro corde. Non saranno sicuramente i paladini dell' avanguardia, ma è un album ben fatto, vario e che merita di essere ascoltato. (Michele Montanari)

(Raging Planet/Raising Legends/Ethereal Sound Works - 2016)
Voto: 70