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lunedì 25 aprile 2022

Graveyard - Innocence & Decadence

#PER CHI AMA: Hard Rock
Portentosamente legati al peston-rock di matrice doors/zeppeliniana, coadiuvati da qualche piccola astuzia (l'utilizzo john-bonz-esco dell'hi-hat e la saturazione lo-fi del segnale vocale, efficace ma a tratti fin troppo vintage), gli svedesi Graveyard pubblicano l'album finora più stondato e distante dal nostalgic-only alla Witchcraft o alla Rival Sons, giusto per dirne due a caso. Il suono galoppa ovunque, persino nei momenti gentilmente alley-soul di "Too Much is Not Enough" - ma i Vintage Trouble ad esempio percorrono gli stessi vicoli sonori con tutt'altra disinvoltura - nello psych-oyster-cult di "Can't Walk Out" con tanto di sospiri horror cari ai primi Pink Floyd, o nel motorsurf alla Lemmy Kilmister in braghette da bagno di "From a Hole in the Wall", persino nella autodissolvente "Stay for a Song", se avete fantasia. Tra il solido e il monolitico il lavoro della sezione ritmica, irresistibilmente soniche le chitarre, calda e graffiante la voce di un Joakim Nilsson che buttava giù blåbärshot fin dai tempi dell'asilo. Ma l'emozione? (Alberto Calorosi)

(Nuclear Blast - 2015)
Voto: 70

https://www.facebook.com/graveyardofficial

Arabs in Aspic - Victim of Your Father's Agony

#PER CHI AMA: Prog Rock
Profusione di lingue di allodola in salamoia e orde di elettroni in transito sulla cinghia di Van der Graaf ("God Requires Insanity" vs. "Killers"; l'incipit di "You Can Prove Them Wrong" e parecchio altro), come del resto era opportuno aspettarsi, il tutto rimpolpato da immancabili uriah-tastieroni (una straordinaria "One" con tanto di divagazioni psych + coretti senz'altro mutuati dagli ingombranti concittadini Motorpsycho). Altrove riferimenti più obliqui: embrioni dei Ruphus annidati in "Tv 3" e sensazioni prossime a certo space teutonico (gli Eloy borboglianti nella title track "Victim of Your Father's Agony" e quelli funkettoni di "The Turk and the Italian Restaurant"). Nel complesso, il quarto album degli Arabs in Aspic (in realtà il terzo degli Arabs in Aspic II), differisce dal precedente 'Pictures in a Dream' non nelle sonorità e nei riferimenti, entrambi ben consolidati dal giorno in cui fu deciso il nome della band, ma piuttosto per via di un songwriting forse più misurato e consapevole. Una caratteristica non sempre positiva all'interno dell'ipercromatico universo del progressive rock. (Alberto Calorosi)

(Black Widow - 2015)
Voto: 70

https://www.arabsinaspic.org/

Remote - The Gift

#PER CHI AMA: Stoner/Doom
Sentivo la mancanza di un po' di doom, quello claustrofobico, un po' psichedelico e un po' acido, quasi quanto tutto quel regno vegetale dipinto nell'artwork del cd dei russi Remote. I tre musicisti, orignari della semisconosciuta città di Kaluga, ci accompagnano in 'The Gift' proponendoci un concentrato di doom, sludge, psych e death (quest'ultimo più che altro solo per il growling). Sei lunghe tracce di pura distorsione chitarristica, che dall'iniziale "Ouroboros" arrivano fino alla conclusiva, lunghissima (16 minuti) e sfiancante "Tseni", attraverso un viaggio complicato che vede i nostri muoversi tra ondivaghe ritmiche e quel carattere fuzz delle chitarre, mentre la voce tignosa di Eugene racconta di uso di droghe e alcol. Il lavoro si muove senza grossi tentennamenti lungo la title track, ma anche senza troppe trovate stilistiche che possano far gridare al miracolo. "Veisalgia" prosegue sullo stesso pattern evocando in modo randomico, i primi Electric Wizard e i primi Cathedral, gli Eyehategod e via dicendo. La traccia comunque mostra un interessante break atmosferico centrale che probabilmente la differenzia dalle altre canzoni, cosi come quel timido assolo conclusivo. "Prototrip", pur avendo un titolo cosi evocativo, non riflette quello che mi sarei aspettato di ascoltare, ossia un sound decisamente lisergico ma è forse il pezzo più stoner doom del lotto, e quello che vanta anche il miglior assolo del disco. Si prosegue con "Viy", un brano un po' più ostico in fatto di melodie cosi discordanti, però forse è quello che alla fine risulta anche il più riuscito e mi ha suscitato meno perplessità. (Francesco Scarci)

domenica 24 aprile 2022

The Pit Tips

Francesco Scarci

The Nest - Her True Nature
Cult of Luna - The Long Road North
White Ward - Futility Report

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Death8699

Cannibal Corpse - A Skeletal Domain
Cannibal Corpse - Torture
Metallica - Hardwired…To Self Destruct

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Alain González Artola

Eard - De Rerum Natura
Alda - A Distant Fire
Hate - Rugia

Darkthrone - Too Old Too Cold

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Raw Black
A.D. 2006: la fiamma nera di Fenriz e Nocturno Culto continua a brillare nel firmamento del black metal, pur proponendo, come sempre, un nulla di nuovo. Se si deve fare un complimento alla band norvegese, è proprio quello di aver mantenuto da sempre una coerenza di fondo nel loro bagaglio musicale, senza aver mai tradito i propri intransigenti fans. Sta però proprio qui, per quanto mi riguarda, nella staticità artistica del duo scandinavo, il loro limite maggiore per cui non ne ho mai particolarmente apprezzato le gesta. Andiamo comunque a dare un ascolto a questo breve capitolo della saga “darkthroniana”: 'Too Old Too Cold' è un Ep di 4 pezzi, per una durata di circa 13 minuti, dove i 2 classici minimalisti riff di Nocturno Culto, s’intrecciano con i suoni grezzi e sporchi della batteria di Fenriz e con le solite vocals strazianti che s’instaurano sul tappeto old style creato dai due loschi figuri. Insomma, nulla di nuovo sotto il sole: il sound gretto e primitivo dell’act norvegese è sempre una gioia per i fans della band. Interessante la presenza della cover dei Siouxie And The Banshees "Love In A Void", terza traccia di questo piccolo blasfemo lavoro, in cui Nocturno canta in modo epico ricordando non poco la performance ai tempi degli Isengard di 'Vinterskugge'. Da segnalare inoltre la partecipazione di Grutle degli Enslaved, come ospite in "High on Cold War", concentrato di furioso black punk rock’n roll oriented, song che tra l’altro contiene addirittura un assolo!!! Segno che i tempi stavano cambiando anche in casa Darkthrone. (Francesco Scarci)

Noorvik - Hamartia

#PER CHI AMA: Post Metal Strumentale
La scena post rock/metal tedesca è in costante fermento. Dopo aver pubblicato la recensione degli Ok Wait, ecco arrivare anche il terzo disco dei Noorvik, band di Colonia che avevamo recensito nel 2019 in occasione del precedente 'Omission'. La proposta all'insegna di un post-core strumentale, mostrava segni di un certo magnetismo latente nelle corde dei nostri. Quel magnetismo si riscontra anche nelle note iniziali di 'Hamartia' (un disco che ci racconta metaforicamente come l'avidità e l'arroganza dell'uomo lo conducano alla sua caduta) in "Tantalos", song che parte quasi in sordina per poi iniziare ad agitarsi con le sue robuste chitarre che vanno ad ingrossarsi sempre di più, quasi a sfociare in territori più estremi con un voluttuoso riffing capace di schiacciarci come un macigno. E qui, sarebbe servito un bel growling a dirla tutta, ma a questo punto non staremo parlando di post metal ma forse di death metal. "Hybris" torna ad incantarci con lunghi arpeggi post rock, mentre le percussioni si dilatano progressivamente e il basso tuona in sottofondo laddove una chitarra grida vendetta attraverso lo stridore delle sue corde. Il sound dei Noorvik rimane qualcosa di ostico da digerire, soprattutto dove compaiono tentativi di brutali accelerazioni che scemano tuttavia nel giro di una manciata di secondi, per ritornare a quello stato carezzevole iniziale che ci condurrà ad "Omonoia", un ridondante intermezzo ipnotico assai inquietante. E "Ambrosia" continua su quelle stesse note nei suoi primi 20 secondi per poi iniziare a muoversi attraverso un gioco di luci ed ombre, delicato, raffinato ma che sembra pronto a soggiogarsi a ritmiche più pesanti. E il mio presentimento viene confermato da un rifferama distorto e lacerante che lascerà presto spazio ad un incunearsi di tenue melodie disturbanti che troveranno nuovamente sfogo nel finale del brano. Bravi i Noorvik a spiazzare l'ascoltatore con una continua ricerca di suoni e trovate varie, come l'inizio stralunato dell'infinita "The Feast", oltre 15 minuti in cui la band teutonica sembra offrire tutto il meglio del proprio repertorio, dalle aperture progressive dei primi cinque minuti alle cavalcate che da lì ne deriveranno e che coprono fino verso all'ottavo minuto, dove uno stop alle ostilità sembra dar inizio ad una nuova storia, con nuovi personaggi e nuove sonorità che ci raccontano comunque altro dei Noorvik. Dopo questo torrenziale pioggia di suoni, arrivano le più delicate melodie di "Aeons", quasi delle carezze dopo i ceffoni presi in precedenza. Altri ceffoni arrivano invece con "Atreides" e un riffing sincopato da groove metal band, ma il solito cambio ritmico è dietro l'angolo, e i quattro musicisti sono sempre pronti a stupirci con i loro cambi umorali. "Tartaros" è l'ultima tappa di questo viaggio, quella che ci conduce negli abissi, nell'inferno dantesco. Ma mentre mi sarei aspettato un sound ruvido ad accoglierci, ecco in realtà palesarsi un luogo d'incanto, ma non illudetevi, la mutevolezza dei Noorvik vi colpirà ancora una volta, perchè qui mai nulla è scontato. (Francesco Scarci)

(Tonzonen Records/Soulfood Music - 2022)
Voto: 76

https://noorvik.bandcamp.com/album/hamartia

OK WAIT - Well

#PER CHI AMA: Post Rock Strumentale
"Ok, fermi tutti". Cosi si potrebbe tradurre il moniker di questa band teutonica che nasce dalle ceneri dei Sonic Black Holes, dando vita appunto a questi OK WAIT. La band originaria di Amburgo propone un post rock strumentale assai vario e dinamico, ricco di suggestioni epiche e di molte altre influenze che si paleseranno qua e là nel corso dell'ascolto di questo 'Well'. Intanto, si parte forte con i quindici minuti e mezzo dell'opener "Wait" e già qui i nostri scoprono le loro carte con le loro lunghe fughe chitarristiche interrotte da break atmosferici, un lavoro alle pelli che sottolinea l'abilità percussiva di Lutz Möllmann, mentre le chitarre di Michel Jahn e Christoph Härtwig dipingono meravigliosi affreschi dai tratti sicuramente malinconici, complice anche la presenza di un preziosissimo violino. Sorprendentemente, la proposta dei quattro mi piace assai, il che è già una vittoria, visto che le ultime release in territori post rock, mi avevano annoiato in breve tempo. Invece, bravi gli OK WAIT a tenermi sempre ben concentrato sulla loro proposta in continua evoluzione. Si perchè l'incipit di "Blow" si palesa come fosse una colonna sonora di uno "Spaghetti Western" qualunque di Ennio Morricone, per poi progredire da tratti desertici ad altri più post metal (complice forse la presenza di Magnus Lindberg dei Cult of Luna al mastering?) assolutamente da brividi ed un finale più mellifluo che va a ribaltare quanto ascoltato sin qui. Classica apertura acustica (forse un po' troppo banalotta a dire il vero) per "Time" e poi una marcetta militaresca contigua, per una song che incarna forse tutte le peculiarità del genere e che alla fine non mi fa strabuzzare gli occhi come accaduto invece nei primi due pezzi. C'è sicuramente del prog pink floydiano in questi quasi dieci minuti di musica, ma mancano forse della medesima energia ed inventiva che mi avevano appagato sino a questo punto. Sulla stessa linea di "Time" è "Dust", ed è un vero peccato, considerate le premesse davvero stimolanti. Siamo sempre alle prese con post rock intimistico dai tratti prog, ma sembra mancare di quella stessa verve iniziale per seguire invece la massa informe di band che popolano la scena. La perizia tecnica c'è tutta, le melodie pure, ma francamente non mi emoziona più di tanto, sebbene siano palesi a più riprese, i tentativi di raddrizzare il tiro, irrobustendo il sound con chitarrate che sembrano prendere in prestito ad un certo punto, un riff dei Nirvana. A "Cope" viene affidato l'arduo compito della chiusura del disco e dopo tutto non se la cava proprio male con un riffing solido e irrequieto all'insegna del post metal, che non avrebbe certo disdegnato la presenza di una bella rocciosa voce nella sua matrice ritmica. Alla fine 'Well' è un buon debut album, con diverse luci ma anche qualche ombra su cui varrà la pena lavorare in futuro. (Francesco Scarci)

(Golden Antenna Records - 2022)
Voto: 74

https://okwait.bandcamp.com/album/well

sabato 23 aprile 2022

Spettri - 2973 La Nemica dei Ricordi

#PER CHI AMA: Horror Prog Rock
Nell'ambito della reviviscenza coraggiosamente perpetuata negli ultimi anni dall'etichetta di Genova, il recupero della band dalla storia più incredibilie (il nucleo storico della band germina dalla florescenza beat mid-60, transita attraverso l'esperienza horror-prog denominata Spettri, poi il piano bar e la retroguardia culturale nazional-chic marchio Renzo Arbore) tra le incredibilmente numerose band RPI dalla storia incredibile, permette la realizzazione di un album capace di ripercorrere con ossequio e leggerezza stilemi consolidati early-70: sludge-riff sabbatiani ("Il Lamento dei Gabbiani"), scorribande hammond viola carico, rutilianti arrembaggi easy-heep ("La Profezia") unitamente a elementi più marcatamente british-prog, vedi certi momenti di "Onda di Fuoco" e dalle parti di "Apocalypse in 9/8" e le numerose convoluzioni van-der-grafiche ("La Nemica dei Ricordi" vs. "Killer" o ancora "La Nave", aperta da una godibile intro goblin-vecchietta-cattiva-con-la-mela-velenosa, dominata da un riff strutturale da funerale elettrico sabbatiano e magnificamente chiusa da un finale spleen-prog). L'album, un concept straordinariamente vitale e consapevolmente suonato sull'apocalisse interiore in un ipotetico e distopicissimo 2973 intenderebbe essere una sorta di sequel dell'omonimo 'Spettri', ambientato nel 1972. Eppure, nonostante siano trascorsi la bellezza di 1001 anni, i mali del mondo sono davvero molto, troppo simili tra loro. (Alberto Calorosi)

(Black Widow - 2015)
Voto: 69

https://www.facebook.com/spettri.official/

Mortad Hell - There's a Satanic Butcher in Everyone of Us

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Porno Gore Grind
Probabilmente state già sghignazzando non appena avete letto il nome della band e il titolo dell'album. Probabilmente starete sghignazzando ancor più forte perché avrete letto i titoli delle 15 tracce di questo 'There's a Satanic Butcher in Everyone of Us'. E pensare che le due tipologie di individui meno dotate di senso dell'umorismo di tutto il pianeta sono i francesi e i musicisti death metal. Eppure, questo mirabile distillato di blasfemia, doppio pedale e tanto catarro, vi farà sghignazzare interiormente almeno quanto il tizio che quella mattina ha pensato di andare al concerto di Ozzy con un pipistello morto in tasca. (Alberto Calorosi)

Devotion - Necrophiliac Cults

#FOR FANS OF: Brutal Death
Upon listening to this release, I've noted that I actually like this one more than their follow-up 'The Harrowing'. It's dark and eerie death metal as I have taken a great liking to their guitar crunch tone. The whole 39 minutes of this release is absolutely brutal death metal! The vocals are dark and grim which goes along well to the music. The album is TOO fast it's more of a grim vibe to it. The leads were sick too alongside the rhythm guitar-work. I enjoyed this immensely. The sound quality did the album good too. I can honestly say that my "C" rating for this wasn't overly generous.

The music and vocals I liked the most on this entire album, but the drums were well played out too! What I like about the guitars is that they're sick and original as far as riff-writing goes. These guys take no prisoners, just the listener! But it isn't much of a prison when you're digging what you hear on an album! I think that they really are a diverse band and that just shows on this release. Yes I do like this more than 'The Harrowing' but both are well played out. Gruesome and vile throat the music just is fantastic too! There isn't really anything that I'd change on this release. They nailed it!

The production quality is just about perfection and everything you could hear including the bass and keys. I wouldn't modify any part of this album. They hit home with one killer release. The only caveat is maybe a few things...the sound of the drums (snare and double bass) as well as some of the rhythm guitar is a bit muddled. That's why I took some points off otherwise it's GRAND. As long as they're playing slow, the riffs are easier to decipher. But the tremolo picking is a little tough to transcribe on a treble clef. But this album is one onslaught of destruction to your eardrums! They got it right on here. Just some things to work on.

I went ahead and bought this CD on eBay but it is available both on Spotify and YouTube. You wouldn't think of a name for a death metal band would be "Devotion", but maybe it's the illusive oxymoron. Do show support for the band by getting the album. But if you want to stick to digital, at least take a listen and hear how it sounds. I thought that it would be good from hearing 'The Harrowing' but I actually like this one a little more than their current release. It's thicker and I like the production quality more. Check it out! (Death8699)

Agro - Ritual 6

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Thrash/Death
È la seconda volta nella mia lunga carriera di scribacchino che mi trovo a recensire una band proveniente dal Sud Africa, la prima fu con i The Ocean Doesn't Want Me. No, per favore non aspettatevi cinque uomini di colore che impugnano i loro strumenti e mettono a ferro e fuoco i palchi di tutto il mondo, gli Agro infatti (peraltro mai nome fu più brutto) fanno parte degli africani bianchi. A parte queste divagazioni etniche, 'Ritual 6' rappresenta addirittura il sesto lavoro (ad oggi sono otto) per il quintetto di Johannesburg: la band gode di una certa notorietà in patria che li ha visti suonare un po’ ovunque nei vari club, in tour con i Mortification nei maggiori festival del Sud Africa e Botswana, portandoli a vendere ben 10.000 copie solo nel loro paese. Dopo la parentesi questa volta geografica, veniamo alla musica dei nostri: diciamo subito che non siamo di fronte a nulla d’innovativo (quando mai), infatti il combo africano suona un thrash/death di discreta fattura, caratterizzato da riff di chitarra un po’ grossolani, sui quali si immettono piacevoli inserti tastieristici che dovrebbero stemperare l’arroganza delle ritmiche e il cantato growling di Cliff Crabb. Se vogliamo fare un paragone con una qualche band famosa, potrei immaginare la musica degli Agro come un ipotetico mix tra Pantera e Crematory, non disdegnando qualche puntatine in territorio Machine Head o Nevermore. Se non avessi saputo che l’album in questione fosse il sesto per la band, avrei creduto fosse il loro esordio, perchè ancora molte sono le sbavature soprattutto in ambito esecutivo; qualche buon’idea c’è anche nei 55 minuti che costituiscono l’album: "B.df.p." non è una song malvagia, ha delle valide soluzioni musicali, c’è soltanto da lavorare qua e là per limare le innumerevoli imperfezioni e “grezzure” che contraddistinguono questo lavoro. Con calma, non c’è fretta, intanto una sufficienza risicata, i nostri cinque sud africani se la portano a casa, in attesa di tempi migliori. (Francesco Scarci)

(Armageddon Music - 2006)
Voto: 60

https://www.facebook.com/agroband

Gong Wah - A Second

#PER CHI AMA: Psych/Post Punk/Indie
Li abbiamo apprezzati un anno e mezzo fa quando i nostri uscivano con il loro album omonimo. Tornano oggi i tedeschi Gong Wah, forti di un nuovo lavoro all'insegna di quelle sonorità kraut rock, elettronica e fuzzwave che avevamo avuto modo di apprezzare nel debut. 'A Second' segna il passo del secondo capitolo per la band di Colonia che vede ancora l'evocativa voce di Inga Nelke dominare il palco. E la proposta dei Gong Wah la si apprezza sin dall'opener, cosi gonfia, cosi melodica e trascinante. "Heartache Jean" corre che è un piacere e noi con la fantasia proviamo a starle dietro. "The Well" nel suo incedere pop rock ci porta nel mondo fatato dei Gong Wah, dove il basso magnetico di Giso Simon si unisce al fare seducente di Inga. Le percussioni darkeggianti di Nima Davari aprono "Consolation", una danza ipnotica che non potrà non coinvolgervi nel suo mood non troppo distante pure dallo shoegaze, in un brano che ha una progressione splendida e violenta, che la identificherà alla fine di questo viaggio, tra i miei brani preferiti del lotto. Sofferenza pura per la minimalista "Baby, Won't You Come Along", tiepida e inconsistente però nelle sue zaffate droniche. Più votata al post punk con venature elettroniche invece "Paint My Soul", ancora una volta coinvolgente nelle sue note quasi danzerecce, con la voce di Inga qui sopra gli scudi. E si arriva al momento del pezzo più lungo e strutturato del disco, "One Fine Day", otto minuti di commistioni sonore tra elettronica minimalistica, IDM, kraut rock e qualche ulteriore sfumatura che solo ripetuti ascolti potrebbero palesare. Ma questo è un altro pezzo favoloso di questo 'A Second', un disco in grado di celare ancora piccole perle tipo l'irruenta e sbarazzina "The Violet Room Track". Più ritmata invece "This Life", ed è in questo genere di brani che vedo più "normalità" nella proposta dei nostri, anche se, ancora una volta la voce suadente di Inga, ravviva un po' il tutto. In chiusura la ninna nanna affidata a "A Head Is Not A Home", una ballata che chiude questo stimolante e sperimentale lavoro dei Gong Wah. (Francesco Scarci)

(Tonzonen Records - 2022)
Voto: 76

https://gongwah.bandcamp.com/album/a-second

lunedì 18 aprile 2022

Fooks Nihil - Tranquillity

#PER CHI AMA: Vintage Rock/Psichedelia
Recensiti dal buon Bob Stoner un paio di anni fa col disco di debutto omonimo, tornano in sella i teutonici Fooks Nihil e il loro sound iper vintage che ci porta a cavallo tra gli anni '60 e '70 con un sound che potrebbe fare da colonna sonora a "Sulle Strade della California" o "Le Strade di San Francisco", due telefilm di metà anni '70. Perchè questo pensiero? Ho immaginato una visione dronica della West Coast, delle sue strade e delle sue spiagge, e in sottofondo questi psichedelici brani che a partire dalla bluesy "Lovely Girl", cosi ammiccante i Buffalo Springfield, si muovono lungo gli undici brani di 'Tranquillity', evocando qua e là anche Crosby Stills & Nash e soprattutto i The Byrds, letteralmente proiettandoci indietro nel tempo di cinquant'anni. Quello dei Fooks Nihil non sembra assolutamente un album concepito oggi, ma sembra tuttavia una raccolta di inediti di alcune delle band sopraccitate. Se vi piacciono questo genere di sonorità, che chiamano in causa anche i Beatles ("Mangalitza") e gli Eagles ("C.A. Walking"), non potrete farvi mancare l'ascolto di questo lavoro decisamente old style. Il mio brano preferito? Non ho alcun dubbio, "Elain", con quel suo mood alla Bob Dylan e quell'assolo conclusivo da urlo. Menzione conclusiva per "Pictures of You", un brano dal rilassatissimo e forte "sabor latino" che incanta per quel suo scherzoso fare che mi ha evocato "Piranha" di Afric Simon. Si insomma, non propriamente un album da Pozzo dei Dannati, ma per una serata in allegria, 'Tranquillity' può andare alla grande. (Francesco Scarci)

Slayer - Repentless

#PER CHI AMA: Thrash/Speed
Nonostante gli avvicendamenti significativi (la sostituzione di Lombardo con un oplita che prende il nome di Paul Bostpah; il decesso del chitarrista Jeff Hanneman, si dice, per le complicazioni conseguite al morso di un ragno; un nuovo produttore e infine pure una nuova label), i maniscalchi del chainsaw-metal riuscirono a mettere insieme il consueto crogiolo di apocalisse, disperazione, superominismo ("Inject the system with something new / A social terror to lead the few...") e randellate sul muso transitando con coraggio e disinvoltura dal thrash-con-parecchio-speed-e-un-po'-meno-sludge di "Repentless" al thrash-con-parecchio-sludge-e-un-po'-meno-speed di "When the Stilness Comes". L'obiettivo di quest'ultimo album era dichiaratamente quello di gettarsi dietro le spalle certe recenti ingiustificabili nu-merdate per tuffarsi di nuovo tra le ascelle pelose e discutibilmente nettate appartenenti a orde di patetici veterometalloni tutt'ora piagnucolanti sul vinile di 'Reign in Blood'. Strano che nessuno abbia avvistato Rick Rubin nei paraggi. Molto strano. (Alberto Calorosi)

(Nuclear Blast - 2015)
Voto: 72

https://www.slayer.net/