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giovedì 18 novembre 2021

Crocell - Baptized in Bullets

#PER CHI AMA: Black/Death
Li abbiamo già incontrati un paio di volte i danesi Crocell su queste stesse pagine e non ci erano dispiaciuti affatto. In questo 2021, il quintetto di Aarhus, torna con un paio di EP, usciti peraltro lo stesso giorno (ma non potevano fare un full length e morta li?), di cui intanto analizzerò il primo, 'Baptized in Bullets'. Quattro pezzi che irrompono con "Chariots of Hellfire", una song che continua là, dove li avevo lasciati nel 2018 con 'Relics', ossia una furia devastante appannaggio di un death black senza tanti fronzoli, che solo in un break ambient, trova un momento di respiro. Per il resto, il brano sembra voler parafrasare il suo titolo, ossia carrozze infernali impazzite guidate da cavalli sputafuoco, come le note che escono dalle violentissime chitarre o dal growl (a tratti urlato) di Asbjörn Steffensen. Ragazzi, una legnata nei denti, nonostante la seconda parte del brano sia più ritmata e di conseguenza pure più controllata. E la violenza innescata dall'opener, prosegue in "Lustrous Bayonets", di certo meno caotica della prima, più melodica, ma non vorrei che qui fraintendeste le mie parole, i cinque danesi proseguono infatti nel fare davvero male con un sound che rimane caustico e ci prepara all'arrembante "Cauldron of Attrition", un'infuocata traccia black senza alcun spazio lasciato ad inutili orpelli. Solo una ritmica impazzita lanciata a velocità warp nel suo primo minuto, affidando poi a contorsioni ritmiche il suo prosieguo per un ascolto che necessita di maggiore attenzione, in quanto deprivata di quelle melodie che edulcoravano le prime due song. Chiusura col botto con "By Demons and Devils", un pezzo che vede cristallizzato il sound dei nostri in un assalto all'arma bianca e che si farà ricordare più che altro per lo splendido assolo piazzato nel mezzo di un marasma sonoro. Incorruttibili. (Francesco Scarci)

venerdì 22 febbraio 2019

Crocell - Relics

#PER CHI AMA: Black/Death/Sludge
Poco meno di un anno fa, usciva per la Longlife Records il quinto album dei danesi Crocell, band che francamente ignoravo fino ad oggi, ma per cui ora ho tutto il tempo per recuperare la loro discografia. 'Relics' arriva a tre anni di distanza dal precedente 'Prophet's Breath' e ha a disposizione un armamentario di nove ulceranti brani per dissipare tutta la tumultuosa energia del quintetto di Aarhus, e vi assicuro che ce n'è parecchia. I nostri iniziano infatti a picchiare come forsennati già dall'iniziale "Black Death Redemption"; senza pensarci troppo sopra infatti, si lanciano in un'offensiva armata con un concentrato micidiale di black/death melodico (non troppo sia chiaro) che talvolta rallenta nel suo impetuoso incedere, assestandosi su un più melmoso mid-tempo, per poi ripartire più forte che mai, con un fare più ammiccante al punk-hardcore. Smaciullati dall'opening track, si passa a "Once Called Slaves", brano da cui è stato peraltro estratto il video promozionale del cd: qui l'aura è decisamente più oscura e pesante, ma ben presto i ritmi si faranno più dritti e incalzanti, con la voce di Asbjörn Steffensen che si pone a metà strada tra growl e scream. Più controllata, ma solo per una manciata di secondi iniziali, "Conqueror’s Tyranny", visto che poi si fanno largo violentissimi riffoni di chitarra sparati a tutta velocità tra hyper blast beat e brevi strappi solistici che interrompono quella furia che ci accompagnerà, come la più classica tempesta perfetta, fino al termine del brano. Onestamente non vedo grossi cedimenti nell'impenetrabile muro ritmico innalzato dai cinque danesi. Anche con "Tombworld" infatti, i nostri spaccano che è un piacere, profondendo violenza e dedizione tecnica come se non ci fosse un domani. Qui la melodia è riposta decisamente in soffitta e ben poco spazio è riservato anche alla possibilità di fischiettare una qualunque melodia sotto la doccia. Annichilito da cotanta rabbia, proseguo nell'ascolto di "Plague Altar" e qui, se qualcuno se lo stesse chiedendo, l'impressione è quella che il suono diventi ancor più ruvido. Non fosse altro per uno strano break sonoro che interrompe le intemperanze dell'ensemble danese, avrei alzato bandiera bianca già dopo 90 secondi. Non c'è stato tempo fino ad ora di prendere una boccata d'ossigeno e riposare il cervello dalla carneficina messa in atto dai Crocell: finalmente con "Last Dawn Duet", gli animi si placano un pochino e il sound si fa plumbeo e minaccioso, sprofondando quasi in una sorta di sludge death che ci mostra una versione inedita della band. Ma non pensiate che i cinque virgulti nordici stiano qui a coccollarvi, perchè le mazzate riprenderanno a breve. Se vi mancava la dose di melodia quotidiana, eccovi accontentati con "Mammon Rise", una sorta di tributo ai Dark Tranquillity. Sebbene la matrice chitarristica richiami talvolta anche il black scandinavo, il brano è cosi vario che nel finale riesce addirittura a rallentare paurosamente e mettere in scena un ottimo assolo, seppur sempre di breve durata. Ah, braccino corto. Con "Liar's Labyrinth", l'ensemble ha ancora tempo per dire la propria in fatto di violenza, lanciandosi in un ultimo assalto all'arma bianca prima della conclusiva e strumentale "World at Its End", l'ultimo atto di quiete semi-acustica volta a placare gli animi istigati alla più brutale delle violenze. 'Relics' è un disco ruvido, che certamente poco spazio lascia alla melodia e tanto meno alla sperimentazione. Tuttavia ha la grande capacità di condurci dall'inizio alla fine attraverso un turbolento percorso musicale che non lascia alcun scampo. (Francesco Scarci)

(Longlife Records - 2018)
Voto: 75

https://crocelldk.bandcamp.com/album/relics

martedì 4 febbraio 2014

Crocell - Come Forth Plague

#FOR FANS OF: Melodic Death, Illdisposed, Amon Amarth
A solid third release from this Danish set, and one that really shows them honing themselves in on where they’re going in the future if the collection of material here is any indication as this is easily their finest release to date. Having honed their songwriting chops, which was a large part of their earlier struggles and more-than-likely responsible for the gap between this and their previous album, that extra time has turned this into a heaping slab of modern Death Metal presided over by a ravenous guitar tone and tight, pounding drumming that accentuates the melodies in the riff-work more than ever, and the result is quite impressive at times. While there’s a multitude of bands attempting to mix the melodic guitar chugging and lead melodies with tight, blasting drumming and pummeling patterns, this is a more than serviceable slice that attempts to slow down the pedestal to those groups and incorporate some Doom elements in the form of their pacing and tempo, not so much in arrangements. This tends to set them up much like countrymen Illdisposed though they opt for more groove rather than the Doom elements here, but the general practice is still the same where it marries melody and brutality in a cohesive package. Despite barely three minutes in length, opener "Perfidious Ceremony" sets the stage to come with barreling drumming, tight guitars and a thick, well-textured sound that offers up far more hints of melody than expected and really sets this off in the right direction. The album’s stand-out track, "The Dark I Will Inhale," tends to encapsulate the majority of what makes this one work with razor-edged riffing, tight leads and a choppy, energetic tempo that never rises up the mid-tempo, yet it works well in displaying what the band is about and how it’s evolved over time with a series of controlled variation switches and tempo changes, making for an overall enjoyable and satisfying track. This tends to crop up in tracks like "Trembling Realms," "Teachings of Terror – Doctrines of Death," "Scars of Red" and the title track, all of which tend to fall into the same overall pattern and presentation that really highlights the main flaw to this in that it does tend to run together with slight variations on the same theme. "My Path of Heresy" contains some rather intriguing acoustic guitar work before dwelling in a thrashing groove that would make Amon Amarth fans happy with its’ technically-proficient rumblings and an extended running time, while "Seven Thrones" sticks out for its overt Doom influence and plodding pace. Overall, though, it doesn’t really do a whole lot to distinguish itself from the hordes out there playing a similar brand of metal who are a lot more accomplished and prolific at accomplishing this feat, so it serves mostly as a turn for the right direction but still not enough to really make a lasting mark. (Don Anelli)

(Metal Hell Records - 2013)
Score: 75

http://www.crocell.dk/