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domenica 28 settembre 2014

Desert Lord – To The Unknown

#PER CHI AMA: Stoner Doom
Quante volte vi è capitato nella vita, di venire solleticati dall’idea del “dream team”, come concetto? Una squadra composta dai migliori giocatori di un determinato sport, una band che annoverasse tra le sua fila i milgiori musicisti di un particolare genere, un vero e proprio sogno, quindi. E quante volte vi è capitato, quelle poche volte che il sogno pareva come per miracolo materializzarsi, di rimanere realmente soddisfatti del risultato finale? A me, personalmente, pochine. Troppo alte le aspettative, o semplicemente troppo aderenti ad uno schema, anche elementare, ma evidentemente difficile da replicare nella realtà (lancio di prima all’ala, dribbling secco, cross perfetto, rovesciata, gol; oppure un pezzo con riff memorabile, strofa, inciso, un paio di assoli da brividi). Quante volte ho avuto tra le mani dischi sulla carta stratosferici, rivelatisi poi schifezze immonde o, ancora peggio, del tutto anonimi. Ecco, a me questo 'To the Unknown' dei finlandesi Desert Lord ha fatto l’effetto della realizzazione, perfettamente compiuta, di quello che avrei voulto ascoltare, a tredici anni, in un disco di una “dream team band”:
- nessun (ma proprio nessuno) elemento di novità o sperimentazione (anche se le cronache lo datano 2014, 'To the Unknown' potrebbe essere uscito in qualsiasi momento degli ultimi trent’anni);
- un amore viscerale per i Black Sabbath;
- l’incapacità di far durare un pezzo meno di 5 minuti, ma anzi la tendenza a sforare i 9;
- la capacità di sfoderare riff memorabili, forse un tantino già sentiti, ma comunque memorabili;
- la perfetta alternanza di riff, strofe, incisi, assoli di chitarra, strofe, assoli di basso, incisi, assoli di chitarra, arpeggi acustici, esattamente quando e come ce li aspetteremmo;
- il tutto suonato a volumi criminali, con quel suono di chitarra che riescono ad ottenere solo in Scandinavia, registrato in modo grezzo e sporco ma nemmeno troppo.
Per quanto sconosciuti, i Desert Lord sono un gran chitarrista, un gran bassista, un batterista pestone e un cantante a cui evidentemente piace il death metal. Questo loro secondo album racchiude in sole 6 tracce e circa 50 minuti, il sogno di un ragazzino, ovvero tanto hard fracassone (non proprio stoner, non ancora doom, non del tutto metal), oscuro, marcio, eccitante. Scusate se è poco. Per me è tantissimo. Pezzi migliori? Piú o meno tutti. Se devo fare nomi dico "New Dimensions", che suona come un nastro di 'Heaven and Hell' lasciato troppo tempo al sole, sul cruscotto di una Ford Sierra. Nera. (Mauro Catena)