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lunedì 1 febbraio 2021

Blighted Eye - Wretched

#PER CHI AMA: Prog Death, primi Opeth
Quando penso a Seattle mi vengono in mente immediatamente due cose: la prima è lo Space Needle, quella torre a forma di ago con terrazza rotante. La seconda beh, semplice, qui sono nati Pearl Jam e Soundgarden e il movimento grunge, mica male no? Bene, i Blighted Eye arrivano da questa stessa città, proponendo però un sound decisamente più cattivo ed elaborato, una sorta di death progressive a tratti melodico, a tratti davvero incazzato. Se dovessi azzardare un paragone penserei ai primi Opeth miscelati con gli Enslaved più progressivi e con gli Slumber, ovviamente non con la stessa classe delle prime due band scandinave. La strada intrapresa dai nostri però, per quanto irta di ostacoli, potrebbe essere davvero interessante. 'Wretched' è un EP di quattro pezzi che quando necessita di affondare il piede sull'acceleratore, come nell'opener "Contempt", lo fa senza alcun scrupolo. Allo stesso tempo, se c'è da andare giù di fino, i nostri non si tirano indietro e sciorinano un'efficace linea melodica cosi come pure un brillante assolo per poi lanciarsi in un robusto riffing conclusivo, che chiude il sipario con un arpeggio che ci porta a "Respite". Inizio ancora di scuola Opeth, con quei classici giri di chitarra che hanno reso famosa la band svedese ed un cantato che evoca inequivocabilmente quello del buon Mikael Akerfeld. Il brano si conferma possente, prima di un altro spettacolare giro di chitarra che si prende la scena con gusto e perizia tecnica, mentre il frontman Kyle Chapman esibisce la sua ottima ugola, con il sound che va incupendosi man mano si avvicina alla conclusione, con in più anche un tocco malinconico sul finale. Vorticoso l'inizio di "Relent", song furiosa e dirompente quanto basta fino a che la band tira improvvisamente il freno a mano, prima elevando un enorme muro di chitarre, poi dando un'altra rapida sfuriata ed infine assestando un ottimo arpeggio interlocutorio. Col finale si torna a correre sui binari di un death melodico ma sempre assai tagliente. L'ultimo pezzo è affidato alla title track che è peraltro la song più lunga del disco, con oltre sette minuti e mezzo di durata. L'inizio è ritmato, dai tratti compassati quasi doomish e un bell'urlaccio con growl persistente in sottofondo. Il pezzo è delicato, mostrando ancora parti atmosferiche prima di sferzate ritmiche ben assestate. Ma la melodia è sempre in sottofondo a mitigare l'irruenza dei nostri che con accelerazioni improvvise, ganci dritti in volto e sciabolate alla sei corde, rischierebbero invece di metterci KO assai velocemente. Il brano invece dosa con equilibrio violenza black/death con ottime ed oscure linee melodiche, che confermano l'irrompere nella scena estrema, di una nuova brillante creatura. (Francesco Scarci)