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mercoledì 10 febbraio 2021

Needlepoint - Walking Up That Valley

#PER CHI AMA: Psych/Prog/Folk
Nel brano di apertura del nuovo disco della band di Oslo, "Rules of a Mad Man", c'è una frase del testo che mi ha colpito molto e dice più o meno così: "...ben presto la scacchiera fu un disastro, il gioco non aveva l'aspetto degli scacchi, la regina è stata pugnalata da una forchetta, da una pedina malvagia di New York..." Questo dettaglio, a mio parere, è la chiave per affrontare e capire il pianeta Neddlepoint, band talentuosa, con più di un decennio di vita e molti album alle spalle, band dall'indole visionaria, stralunata, piena di risorse e degna prosecutrice di una sorta di musica concettuale con chiari rimandi al periodo power flower, quanto alla psichedelia di fine anni '60, primi anni '70 per toccare picchi di progressive, jazz e free rock. Un quartetto capace, proprio come nel primo brano, di cantare e mettere in musica, le vicende di una battaglia che avviene tra pedine, fantomatici eroi e cavalieri, in una scacchiera immaginaria. Questa ben presto si allargherà ad un campo di battaglia all'interno della mente di un folle, affondando le sue radici in un contesto intellettuale, talmente fantasy e psichedelico favolistico, che lascia sconcertati per tanta fruibile bellezza. I norvegesi Needlepoint adorano il lato morbido e poetico del progressive, carico di venature assai colorate, ove nei testi si nasconde sempre una vena malinconica. Nel loro rincorrere voli di libera fantasia, ci si può imbattere poi in un corpo che si sdraia sull'erba e vuole essere portato via dalle formiche, proprio come raffigurato nell'artwork della copertina, sulla falsa riga de "I Viaggi di Gulliver". Musicalmente il quartetto di Oslo è impeccabile grazie a una sezione ritmica brillante piena di vitalità esecutiva che quando scioglie le briglie è un piacere ascoltarla. Tra le varie peripezie, la lunga "I Offered You the Moon" è una vera delizia. Una voce moderata di grande enfasi conduce il gioco ma non invade mai il campo, a tratti ricordando il guizzo allucinato dei Nirvana (quelli psichedelici inglesi non quelli di Kurt Cobain) di 'The Story of Simon Simopath' del 1967, poi si ricoprono di luce cristallina aprendosi al psych folk di 'The Shepherd' dei Genesis più intimi, abbandonandosi alle allucinazioni psichedeliche tra The Kaleidoscope e primi Caravan. L'intero disco è solcato da un sacco di strumenti e ospiti, il solo vocalist e compositore di tutti i brani e testi, Bjørn Klakegg, suona chitarra, cello, flauto e violino con cui, nel finale della folkloristica "So Far Away", dona anche un tocco di atmosfera celtica, il che ne amplia notevolmente le prospettive. "Carry Me Away" assume un taglio esotico con venature jazz, rock e bossanova, inoltre la presenza del coro "Carry me away", impreziosisce il brano portandolo verso lidi inaspettati e geniali proprio nella sua parte finale, cosi carica di fascino luminoso. "Another Day" e la lunga title track, con quella sua iniziale sognante malinconia e la sua coda evolutiva, sono l'ideale conclusione per un'opera immensa che il grande pubblico amante del prog/psych con la P maiuscola dovrebbe conoscere. Un disco che nasconde un'infinità di spettacolari luoghi e paesaggi sonori tra le sue note, un album che impressiona anche solo immaginando lo sforzo fatto per la sua stesura, l'ottima produzione e la sua artistica concezione, un disco che a dispetto del tempo, è da mettere in bacheca tra i gioielli di un'era, quella tra il 1967 ed il 1970, che cambiò il modo di intendere la musica rock, per sempre. (Bob Stoner)