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giovedì 23 gennaio 2020

Order of the Ebon Hand - VII: The Chariot

#PER CHI AMA: Hellenic Black
L'Attica, la culla della civiltà occidentale con la sua splendida Atene, luogo da cui emerse l'hellenic sound. Il quintetto degli Order of the Ebon Hand arriva proprio da là, forgiando il proprio sound laddove nacque quello di altre divinità greche quali Rotting Christ, Kawir, Thou Art Lord, Zemial, Necromantia, giusto per citarvene alcuni. La band di oggi si riaffaccia col terzo album, 'VII: The Chariot', fuori per la russa Satanath Records, dopo ben 14 anni dal secondo disco, 'XV: The Devil', sebbene nel mezzo siano usciti un paio di split. I pezzi per convincerci della bontà del lavoro di quest'oggi sono otto. L'album si apre con "Dreadnaught", un black mid-tempo che mi colpisce soprattutto in chiave solistica, visto un lungo assolo dai connotati heavy rock da stropicciarsi gli occhi. La song è poi ammantata da una sinistra aura occulta che rende più appetibile il dischetto. La seconda "Μόρες" è decisamente più tirata con un forte orientamento ad un black minimalista; quello che colpisce in questa traccia, oltre alla ferale architettura ritmica, sono delle limitatissime ma orchestrali tastiere di sottofondo che sembrano smorzare la furia incontrollata dei cinque ateniesi. Con "Wings" si prosegue sulla stessa lunghezza d'onda, con i classici suoni neri come la pece, fatti di taglienti melodie di chitarra (in stile Swedish black) e gracchianti vocalizzi. Peccato solo siano scomparse quelle chitarre classiche che mi avevano ben impressionato nell'opener. Si continua infatti a picchiare come forsennati anche nella successiva "Sabnock", song che vede la partecipazione alla voce, in veste di guest star, proprio del buon Sakis dei Rotting Christ, quasi a dare il proprio benestare al lavoro degli Order of the Ebon Hand; e la prova del frontman è come sempre indiscutibile. "Knight of Swords" parte più tranquilla con un arpeggio di un minutino a prepararci alla furia distruttiva di un brano di elevata intensità che mi porta a pensare "che mazzo deve farsi il batterista dei nostri". La grandinata prosegue anche in "Αίαντας" ma sarà cosi fino alla fine: in questa song compaiono delle sofferenti ed epiche voci parlate, mentre in "Bael" il ritmo si fa addirittura più furioso. "The Slow Death Walk" è l'ultimo episodio del disco caratterizzato da un riffing più trattenuto che si muove a braccetto con stralunati e quasi barocchi tocchi di tastiera che mi hanno evocato un'altra band greca, gli Hail Spirit Noir. Quello degli Order of the Ebon Hand è un gradito ritorno anche se un po' troppo derivativo. Speriamo solo che la band si levi un po' di ruggine di dosso e non ci faccia attendere altri tre lustri per un nuovo full length. (Francesco Scarci)