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mercoledì 27 febbraio 2013

Tardive Dyskinesia - Static Apathy in Fast Forward

#PER CHI AMA: Math/Djent, Meshuggah, Textures, Tesseract
Quando penso alla musica greca, mi vengono in mente piatti rotti, cembali e balli grotteschi. La sorpresa nell'ascoltare questo quintetto ellenico al loro terzo album, quindi, è stata grandissima: un mix perfetto tra la poliritmia della scuola dei Meshuggah e le atmosfere più elaborate dei Textures o dei Tesseract, con l'aggiunta di un tocco personale che ho trovato davvero interessante. C'è energia, c'è molta tecnica, c'è groove, c'è velocità, ci sono ampie parti strumentali e la produzione è di ottimo livello. Rispetto ai Meshuggah, tuttavia, ci sono delle armi in più: la maggiore varietà nelle scelte di bpm dei brani, i colori della voce dell'ottimo Manthos (che non disdegna alcuni interventi melodici e in certi cori ricorda alcuni interventi orchestrali degli Strapping Young Lad) e i suoni delle chitarre, senz'altro più caldi e meno digitali del quintetto svedese. Il disco si apre con "Empty Frames", una delle mie preferite dell'album: l'intro è un capolavoro di poliritmica, una vera dichiarazione d'intenti riguardo lo stile dell'intero disco. "The Chase Home", dopo tre minuti di pattern variopinto, chiude con un riff violentissimo. "Smells Like Fraud" lascia spazio ad un cantato più melodico, che ritroviamo anche nei ritornelli di "Time Turns Planets", sorretta però da un riffing intelligente e perfettamente costruito. "Prehistoric Man" è costruita su riff a singhiozzo che pulsano come una ferita aperta, fino all'esplosione dello splendido assolo centrale e all'evocativa parte melodica finale. C'è tempo per prendere fiato con "Indicator", dove un sax si arrampica per scale impossibili su accordi distorti di chitarra. "Circling Around the Unknown" e "We, the Cancer" giocano entrambe sul contrasto tra ritmiche veloci e progressioni melodiche. La canzone più breve del disco, "Failed Document" è un intenso esercizio ritmico costruito sulle terzine che preannuncia il gran finale con "Limiting the Universe": quasi sette minuti in cui i Tardive Dyskinesia raccontano al meglio tutto ciò che sanno fare, spaziando da parti dissonanti a riffing veloci, senza tralasciare ritornelli melodici corali e un finale ambient in stile Tesseract. Un disco ben fatto, che dimostra pienamente la lucidità e le idee chiare dei Tardive Dyskinesia, che hanno saputo prendere il meglio del math metal e colorarlo con un'ampia varietà di interventi personali. (Stefano Torregrossa)