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martedì 6 febbraio 2024

NI - Fol Naïs

#PER CHI AMA: Prog Rock
Per capire una band come i francesi NI, bisogna semplicemente fingere di non capirli e assimilarli così come sono e per quello che ci fanno sentire. Mi spiego meglio. Ho letto in rete recensioni che li mettevano in parallelo col mathcore e le opere diversificate di Mike Patton, e il paragone in minima parte ci può anche stare, ma secondo me l'aria che si respira dalle parti della band transalpina è da ricercare altrove, e trova radici molto più indietro nel passato della musica. Se vi capitasse di ascoltare l'evoluzione de "L'Elefante Bianco" degli Area, nell'album "Crac!" del '75, troverete infatti grosse analogie con alcune delle costruzioni sonore dei NI, poiché questa band ha un legame particolare fin dalle sue prime opere con il progressive rock più folle e libero dagli schemi, e qui non posso non citare un loro precedente geniale lavoro qual era 'Les Insurgés de Romilly', e poco importa se in questo nuovo album, fino al brano "Berdic", sembrano aver ascoltato una volta di troppo i The Dillinger Escape Plan o i Psyopus, per cercare di far presa su di un pubblico più vasto con un suono più carico. Il fatto è che la frenesia, la follia, e alcuni stilemi del rock in opposition, erano già nel DNA di questo gruppo ed è bastata una produzione più scura e pesante, dove si riesce a carpire l'essenza buia di lavori come '777 - the Desanctification' dei Blut Aus Nord (anche se qui non stiamo parlando di black metal), per aprire un nuovo fronte per questo combo di gran valore, composto da musicisti di qualità, che sanno esaltare il potere dei suoni dell'avanguardia, restandone caparbiamente e intelligentemente lontani, per cullarsi una loro completa e intoccabile originalità. Vi si trovano anche tracce di free jazz contorto e schizoide ("Chicot", "Rigoletto"), sulla scia di certe composizioni sentite su 'Blixt' del trio Bill Laswell, Raoul Bjorkenheim e Morgan Agren, e per non farsi mancare nulla, anche una tensione sonora tangibile di band come gli oramai dimenticati ma mitici Jesus Lizard. Nella triade di "Triboulet part 1, 2 e 3" si sente tutto il legame con gli album precedenti con le loro evoluzioni sofisticate ma aperti anche a momenti di atmosfera, che poco si lasciano apparentare con il mathcore o il metal, ritornando a parlare di vero e proprio prog d'avanguardia di casa Zorn. Pur trattandosi di musica rumorosa e distorta, vi trovo anche una bella attitudine nel plasmare la materia prog alla maniera degli Universe Zero, ovviamente con le dovute distanze dal gruppo belga. Mi permetto di dire anche che i NI possono avere un retaggio futurista alla Meshuggah, come citato dal press kit di presentazione del disco, ma a mio avviso non li percepisco assolutamente freddi e chirurgici come i colleghi svedesi anzi, per essere prevalentemente strumentali, suonano caldi, avvolgenti ed espressivi, e mostrano un'aggressività più devota all'arte dell'immaginario astratto che alla rabbia o alla tecnica in sè. Penso si sia capito che questa loro nuova opera è uno dei migliori album del 2023 per il sottoscritto, copertina superba come sempre d'altronde, una grande produzione, musicisti in splendida forma esecutiva e compositiva, un'ottima uscita per la instancabile Dur et Doux, un disco immancabile nella vostra bacheca dell'avanguardia. (Bob Stoner)
 
(Dur et Doux - 2023)
Voto: 80
 

domenica 24 marzo 2019

Ni - Pantophobie

#PER CHI AMA: Mathrock/Avantgarde/Noise Rock, Fantômas, Zu
Chi, per passione o per lavoro, scrive si sarà trovato almeno una volta a sperimentare un blocco creativo: le ore e i giorni passano, l’illuminazione non arriva e il foglio desolatamente vuoto davanti a sé, inizia a generare un’ansia crescente. Questa spiacevole sensazione, comunemente chiamata “blocco dello scrittore”, pare abbia un nome scientifico: leucoselofobia, letteralmente “il terrore nell’osservare una pagina bianca”, che probabilmente trascende la dimensione puramente letteraria e finisce per accomunare un po’ tutti gli artisti, compresi i musicisti alle prese con un nuovo album.

I Ni avranno mai sperimentato questa fobia? Io me li immagino chiusi nella loro sala prove di Bourge-en-Bresse, mentre suonicchiano senza convinzione alla disperata ricerca dell’accordo giusto, del riff efficace, di quella vibrazione interiore che all’improvviso spinge le dita di chitarristi e bassisti a muoversi veloci sulle tastiere dei propri strumenti e i batteristi a pestare con energia le pelli dei tamburi. Mi piace pensare che sia stato proprio il tentativo di esorcizzare un blocco creativo ad ispirare 'Pantophobie', quarto album di questo eccentrico quartetto transalpino, incentrato come da titolo sulla “paura di tutto”.

La genesi dell’opera è stata ovviamente tutt’altro che frutto del caso: ascoltando questi undici brani (in realtà nove più due inquietanti tracce di silenzio assoluto in apertura e chiusura) e dando un’occhiata alla storia della band, è chiaro che i Ni, dotati di grande tecnica ed impressionanti abilità compositive, abbiano progettato l’opera nei minimi dettagli, offrendoci un disco volutamente nevrotico ed imprevedibile, basato su ritmi concitatissimi e repentini cambi di dinamica su cui vengono sviluppati intrecci ed armonie allo stesso tempo stravaganti ed eleganti. È difficile attribuire un’etichetta alla proposta musicale del gruppo, ma possiamo tranquillamente parlare di un math/noise rock strumentale in cui tempi dispari, i riff storti ele sequenze bruscamente troncate la fanno da padrone, ma nel calderone vengono riversate influenze avantgarde metal, hardcore, jazz e persino qualche pennellata di ambient e post-rock; l'eco di Mr. Bungle, Fantômas e delle varie creature di Mike Patton sono evidenti, ma è possibile cogliere anche richiami ai nostrani Zu.

Il tutto pare realizzato col preciso obiettivo di non dare alcun punto di riferimento e lasciare l’ascoltatore costantemente spiazzato, quasi a voler riprodurre in musica lo stato di confusione e il senso di minaccia provato da chi soffre di una delle fobie che danno il nome ai pezzi: “Leucosélophobie”, “Héliophobie” (la paura della luce del sole), “Alektorophobie” (paura delle galline), “Kakorraphiophobie” (paura del fallimento), tanto per citarne alcune, sembrano termini usciti da un’enciclopedia psichiatrica per definire terrori assurdi, nei quali possiamo leggere una sottile ironia da parte della band nel ritrarre una società sempre più spaventata ed in balia di apprensioni spesso prive di senso.

In 'Pantophobie' il tema della paura non si limita dunque a fare da sfondo all’estro compositivo degli strumentisti: l’intero lavoro si presenta come un vero e proprio "Urlo di Munch" musicale, la perfetta rappresentazione di un’epoca priva di certezze e dominata da un’inquietudine di cui è difficile cogliere le radici. La cura proposta dai Ni, celata dietro tempi composti e ritmiche folli, è piuttosto semplice: imparando a non prenderci troppo sul serio forse ci accorgeremmo che i nostri mostri non fanno poi così paura. (Shadowsofthesun)