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sabato 18 ottobre 2014

Huldra - Black Tides

#PER CHI AMA: Post Metal, Isis, Neurosis
Mi accingo a recensire con gioia ed entusiasmo il quarto lavoro degli Huldra. Ormai, ogni qualvolta la band statunitense se ne esce con qualcosa di nuovo, io sono sempre li, in pole position per scoprire cosa bolle in pentola in quel di Salt Lake City, per capire se i nostri saranno in grado o no di superare i maestri di sempre. E ogni volta devo ammettere che i nostri sfiorano l’impresa nel raggiungere i gods della East o della West coast. Non che abbia già sancito che questo nuovo ‘Black Tides’ non sia all’altezza, anzi ora andiamo giusto a scoprirlo meglio. Si parte con “The Eye of the Storm”, titolo di reminiscenza “neurosiana”, dotata anche di una certa alchimia sonora che richiama inevitabilmente la band di Oakland. Le linee di chitarra si rivelano infatti distorte quanto basta per non guastarne il risultato finale, i suoni tesi e oscuri, le vocals di Matt abrasive come sempre. Solo a metà brano, trovano spazio quelle atmosfere eleganti che strizzano l’occhiolino al post-rock, che già i nostri avevano acuito nel precedente album. Non male, ma dagli Huldra le mie aspettative sono ormai molto alte. Con la title track, le cose sembrano prendere una piega diversa, migliorandone notevolmente l’esito conclusivo. A fronte di un incipit all’insegna dell’ambient, la song scorre tra chitarre in tremolo picking e rabbiosi vocalizzi. Altri dodici minuti che scorrono via rapidi e decisi, alternando sonorità caleidoscopiche che si muovono tra chiari e scuri, in cui vorrei rilevare una forte componente malinconica e un bellissimo finale corale, che ci introduce a “The Sky Split Wide Open”, in realtà semplice interludio che fa da apripista ai quindici minuti di “From Out of the Maelstrom”. Il brano apre con il tamburellare leggero di Chris Garrido dietro le pelli, e una chitarra tenue e gentile che funge da sottofondo. L’eco degli Isis in questo pezzo è assai forte, ma ancor di più l’elemento post-rock dai tratti sognanti, che per più di sette minuti ci accompagna e delizia con le sue raffinate suggestioni strumentali, prima di lasciare il posto alle ondeggianti ritmiche che vedono l’intervento di un synth fine e non invasivo a livello di arrangiamenti e l’utilizzo di qualche clean vocals. A chiudere sulle ali dell'entusiamo il disco, ci pensano i quasi 17 minuti dell’infinita (anche nel titolo) “He Was Compelled To Turn Westward Out of Some Misplaced Sense of Hope”, in cui tutte le influenze del sound degli Huldra affiorano in contemporanea. Isis, Neurosis e Cult of Luna (e forse qualche sentore di The Ocean) si ritrovano infatti nei solchi di questa lunga e ben strutturata song, che viaggia lungo i binari del post-metal desolante, graffiandoci e cullandoci con i suoi suoni marziali, educati, vagheggianti e ipnotici, in cui trova posto anche lo splendido suono di un violino. Ottimo il songwriting, da elogiare la band a livello tecnico, l’unico appunto che forse mi sento di fare in questo nuovo ‘Black Tides’, è che rispetto a ‘Monuments Monolith’, la progressione musicale, nel senso d’innovazione della proposta, è quasi impercettibile. Certo che per chi è un fan della band dell’Utah, poco importa, solo che l’impressione è che questo nuovo lavoro sia una sorta di ottime, e sottolineo ottime, B-sides del vecchio cd. In definitiva, ’Black Tides’ è un gran bell’album, ma mezzo voto in meno rispetto al passato è, per diritto di cronaca, dovuto. Comunque sia, ben tornati amici! (Francesco Scarci)

giovedì 13 dicembre 2012

Huldra - Monuments Monolith

#PER CHI AMA: Post Metal, Psichedelia, Isis
Gli Huldra sono ormai alla stregua di amici per il sottoscritto: li ho conosciuti ed imparati ad apprezzare un anno fa, con il loro EP “Signals from the Void”. Li ho incontrati nuovamente con lo split cd, condiviso con i Dustbloom, la scorsa estate ed ora, alla vigilia del loro debutto ufficiale, la band mi contatta, offrendomi la possibilità di recensire in anteprima il nuovo disco, in uscita a metà gennaio. Che dire, se non esserne onorato; ma so già che la band di Salt Lake City non mi deluderà, perché finora non l’ha mai fatto. E difatti, quando faccio partire “Monuments”, vengo investito dal suadente e possente post metal del quintetto proveniente dalla capitale dello Utah. Lento come il mare magmatico che si muove silenzioso dal cono vulcanico, la musica del five-piece statunitense mi prende immediatamente con il suo fare ipnotico e ben strutturato. Ma si tratta di un pezzo breve, sui quattro minuti, che scivola via veloce e mi lascia li per li dubbioso, se qualcosa sia nel frattempo cambiata in casa Huldra. Quando parte “Twisted Tongues and Gnarled Roots”, e i suoi oscuri otto minuti mi cullano deliziosamente, mi rendo conto che il combo statunitense ha solo affinato (e notevolmente) la propria proposta: la band ha sì preso le distanze dal sound granitico e dirompente dei maestri Neurosis, e ne ha acuito la componente onirica che già si andava delineando nell’ultimo split cd. Musicalmente mostruosi, e al contempo sontuosi, gli Huldra mostrano la loro originalità con un break psichedelico che avrebbe ben figurato in “Panopticon” degli Isis. Le vocals di Matt poi sono sempre molto pacate nella sua forma pulita, anche se qualche bel growl cavernoso non ce lo fa certo mancare. “Noctua” è un interludio ambient che apre a “Ursidae” e ai suoi dodici minuti di suoni caldi e magnetici. Lo spettro dei gods di Boston aleggia ancora nell’aere, ma d’altro canto era indispensabile trovare dei degni eredi di A. Turner e soci, e a mio avviso, gli Huldra si candidano fortemente a raccogliere lo scettro lasciato vacante. Con somma predilezione per suggestioni strumentali figlie del post rock, incantate parti d’atmosfera e fantastiche aperture ariose, i nostri relegano le parti vocali ad una minima parte nell’economia dei brani. Chiaro che la band del west non si è rincitrullita del tutto, ha mollato gli ormeggi e si è messa a suonare ninne nanne per bambini; quando “Thousands of Eyes” esplode nel mio stereo, godo che è un piacere. Il riffing robusto ed ondeggiante dell’act torna a sibilare tra la sabbia, in un vorticoso andirivieni ritmico, dall’incedere compassato ed ubriacante. Chiudo gli occhi e provo a vedere se sono in grado di rimanere in piedi senza barcollare, ma ahimè non posso far altro che crollare al tappeto, stordito dai colpi all’insegna di un trip delirante, a cui la band mi ha avviato. L’ensemble nord americano ha compiuto passi da gigante negli ultimi mesi, e quindi tutto appare estremamente elegante e degno di una big band. “As Above, So Below” o la conclusiva “The City in the Sky” rappresentano altri grandi pezzi che confermano le mie parole e che mostrano quanta classe, si propaghi armoniosamente dagli strumenti di questi cinque ragazzi. La verve, il sound carico di groove, il pathos che gli Huldra emanano, è cosa rara e preziosa, e questo “Monuments Monolith” alla fine, mi ha prodotto lo stesso impatto emotivo che grandi album del passato (e cito nuovamente e non a caso “Panopticon”) hanno avuto sulla mia crescita musicale. Non esagero troppo col voto, per non ritrovarmi magari fra un anno, a dover rivedere le mie scale valutative. Comunque sublimi. (Francesco Scarci)

domenica 16 settembre 2012

Dustbloom / Huldra - Split Cd

#PER CHI AMA: Post Hardcore, Post Metal, Sludge
Non conosco i Dustbloom, ma sicuramente conosco bene gli Huldra, che ho avuto modo di recensire su queste stesse pagine, in occasione del loro primo lavoro. Ed ora, quello che mi ritrovo fra le mani è uno split cd in compagnia dei Dustbloom, con i quali si dividono tre tracce a testa e una addirittura scritta insieme. Ma andiamo pure con ordine, iniziando con l’analizzare il genere proposto dai Dustbloom, che aprono con le prime tre song; forse a causa dell'impostazione vocale del cantante, ho immediatamente l’impressione di sentire una sorta di Placebo/The Mars Volta, in versione hardcore. I suoni ammiccano decisamente a qualcosa di commerciale anche se in certi frangenti di “High Art”, è un po’ il caos a prevalere. L’esito comunque è abbastanza soddisfacente, sicuramente non di facile digestione per il sottoscritto. Con “Translucent Winker”, cerco maggiori conferme, che puntualmente non arrivano, perché fatico ad individuare in modo preciso, affibbiando un’etichetta per intenderci, la proposta dei nostri. Potrei sicuramente cavarmela con post hardcore, viste le vocals screamo e le ritmiche nervose dei nostri, ma sicuramente potrebbe essere riduttivo, visto l’intermezzo schizoide, fusione di più stili, che i nostri piazzano nel mezzo del brano e che ne fanno salire enormemente le “azioni” e la mi attenzione. Ci riprovo con “Paradise (is a Sleveless Straightjacket)”, ma i nostri mischiano ancora le carte, suggerendomi a questo punto di tenerli costantemente monitorati, in quanto la proposta si conferma decisamente intrigante. La palla passa agli Huldra, band statunitense che già nutre di tutto il mio rispetto ed interesse, che nei suoi 17 minuti a disposizione, ci offre “An Apparition”, un affascinante brano che continua a mostrare l’amore della band americana per i maestri del post, Neurosis e Isis su tutti, ed io non posso far altro che applaudire di fronte a tale proposta. Il sound degli Huldra prosegue sulla stessa linea del precedente lavoro, alternando frangenti esplosivi ad altri più ragionati, notturni ed introspettivi. “Dusk Hymn” funge da ponte di collegamento tra la prima e la terza traccia, “Nocturnal Wings” che apre come sempre in modo cauto, lento, con sognanti tocchi di pianoforte, in grado di regalarmi ammalianti suggestioni oniriche, prima che si scaldino i motori e i nostri attacchino con la consueta ritmica distorta (dove in sottofondo si sentono anche delle timide ma stralunate tastiere) e le roboanti growling vocals. Chiude lo split “There aren’t People to Unsee and Things to Undo”, song che nasce dalla collaborazione a quattro mani di Dustbloom e Huldra, che vede il vocalist dei primi prendere l’iniziativa e stagliarsi su una psichedelica base acustica. A metà brano, ecco irrompere la pesantezza delle chitarre e il ruggito degli Huldra affiancarsi allo screamo dei Dustbloom, prima di abbandonarsi alle dolci note conclusive che chiudono questo interessantissimo split cd, che mi ha dato modo di conoscere un’altra band proveniente dal panorama post-hardcore e trovare nuove conferme invece dagli amici degli Huldra. Monitoriamoli insieme. (Francesco Scarci)

(Self)
Voto: 75
 

domenica 22 gennaio 2012

Huldra - Signals from the Void

#PER CHI AMA: Post Metal, Ambient, Isis, The Ocean
Navigare nel web è un po’ come visitare una galleria d’arte: puoi ammirare qualcosa di meraviglioso oppure puoi avere la sfortuna di incorrere in qualcosa difficilmente intellegibile o addirittura privo di senso. Quest’oggi devo ammettere di essere stato assai fortunato e il trovarmi fra le mani l’EP d’esordio degli statunitensi Huldra, rappresenta una buona medicina per superare queste gelide giornate invernali. Il quintetto di Salt Lake City ci ammalia fin dalle prime note con un post metal atmosferico che subitamente richiama alla memoria i maestri Isis e The Ocean, e sinceramente, avendo grande nostalgia per la band di Boston ed essendo un grande fan del collettivo di Berlino, mi lascio immediatamente cullare dalle sonorità proposte dai nostri. Si parte piano, quasi in punta di piedi con “A Signal Permeates the Sky”: i primi cinque minuti sono dominati da chitarre vellutate, sonorità darkeggianti, vocals pulite, ritmiche blande e suoni dilatati (sludge, si confermo), prima che l’ensemble nord americano sprigioni la propria forza dirompente, scatenata da una sezione ritmica pregevole e dal growling furente di Matt Brotherton. Ma è solo un fuoco di paglia perché la rabbia dei nostri dura pochi minuti, prima di lasciare ancora una volta il posto a notturne sonorità post rock, che anticipano l’esplosione finale, che mi fa innamorare immediatamente del suono di questa new sensation d’oltreoceano (esiste infatti solo dal 2009). Un intermezzo ambient/noise fa da ponte alla successiva “Ashen Lips”, che si apre con un arpeggio e una ancestrale melodia; i toni sono soffusi (chi ha citato i Mogwai?), la voce lamentosa e in sottofondo, ma la tensione è palpabile, non vi è tranquillità, si intuisce che qualcosa sta per accadere e poi, eccola la fragorosa esplosione delle chitarre e del growling possente di Matt. Eh si, il gioco della prima song si ripete anche in questa seconda traccia, che nei suoi dieci minuti abbondanti incanta per i suoi cambi di tempo, per quegli effetti cosi tanto posti in sottofondo da risultare a dir poco ipnotici; le chitarre si incrociano in duetti da lasciarci senza fiato, e il vocalist dà sfoggio di una eccellente performance vocale. Sono estasiato e non mi accorgo che un altro intermezzo mi accompagna alla conclusiva “A Foothill Lies on the Backside of the Mountain that Looms Before us”, undici minuti che si aprono in modo tenebroso, angosciante, ma ormai so già cosa attendermi, mi sono preparato al sound dei nostri: mi stanno solo tendendo una trappola, dove non voglio assolutamente cadere. Facile a dirsi, un po’ più difficile a farsi. Le note sono deliranti, le vocals cariche di pathos, malinconiche; le chitarre si rincorrono affannose in quest’ultimo drammatico saluto, che chiude un lavoro di tre pezzi (per 42 minuti di musica spaccati), che ha il pregio di conquistarci sin dalle prime battute e deliziarci nonostante la lunghezza delle sue suite. Una sola parola per gli Huldra: sublimi! (Francesco Scarci)

(Self)
Voto: 85