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Visualizzazione post con etichetta Frontiers Records. Mostra tutti i post
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venerdì 24 giugno 2022

Glenn Hughes - Resonate

#PER CHI AMA: Hard Rock
Appartenenza e mistificazione. Appartenenza. Il perentorio riff heavy di "Heavy" in apertura di album indubitabilmente identificativo di un chitarrismo blackmoriano (con echi che si rifanno a "Sixteenth Century Greensleeves"), contrapposto al funkytarrismo iperliquido di "Landmines", più o meno collocabile dalle parti dei Living Colour più bidonari (vedi il fottutissimo Invisible Tour inverno 2016). Mistificazione. Il riff paleo-stoner di derivazione ovviamente sabbath/iana che dilania "Flow", magari contrapposto al deliquio iperhammondiano di "Steady" (il polidattiliaco in questione è un certo Lachy Doley), al cui confronto Jon Lord vi sembrerà un cicisbeo imbellettato alla corte di Luigi XV. Appartenenza: la (eccessivamente) autocompiaciuta ambivalenza funky vs. rock vi consentirà oltretutto di reinterpretare la (comunque pessima) copertina. Mistificazione: se appartenete alla schiera di coloro che condividono il pensiero di Sergio Leone su Clint Eastwood, allora divertitevi a suddividere le canzoni di questo album in con-hammond e senza-hammond. L'andamento pop saltellante di brani come "My Town" e "Stumble and Go" testimoniano la occulta presenza di Chad Smith (Red Hot Chili Peppers) a pestare sui tamburi, ancorché in tracce differenti. Ascoltate questo album domandandovi per quale ragione la traccia più interessante, "Nothing's the Same" è solo sulla deluxe. (Alberto Calorosi)

(Frontiers Records - 2016)
Voto:70

https://www.glennhughes.com/

lunedì 27 dicembre 2021

Yes - Heaven & Earth

#PER CHI AMA: Prog Rock
A nulla servirà l'idro-pop di derivazione anninovantesca-alla-Talk ("The Game") o anniottantesca-alla-90125-ma-che-dico-magari-90125-qui-al-massimo-siamo-dalle-parti-di-big-generator ("It Was All We Knew"), o le risibili orchestrazioni finto-soundtrack in apertura di "Subway Walks", non servirà individuare (se non con certosina motivazione) qualche levigato etno-barocchismo alla Anderson Bruford Wakeman Howe ("Light of Ages", ma per non più di un paio di minuti) né certe fotocopiose architetture mid '70s (le scalette finali di "Believe Again" – dove oltretutto potete apprezzare una sfacciata clonazione del Top Gun anthem di Moroder, proprio nelle note iniziali; il botta-funky-risposta basso/tastiera di "Subway Walls"), né infine, la conclamata consapevolezza che gli episodi migliori di questo 'Heaven & Earth' sembrino, alla meglio, outtakes dei peggiori Yes ("Tormato"? "Big Generator"? "Open Your Eyes"? Ce ne sarebbero a volontà). Il fatto è che se la musica della band composta dai membri umanamente più disgustosi della sovente umanamente disgustosa storia del rock non ha ancora inspiegabilmente cominciato a farvi schifo allora lasciate stare, perché questo album è talmente scialbo e sciatto e insignificante che non riuscirà a farvi cambiare idea nemmeno su questo. (Alberto Calorosi)

(Frontiers Records - 2014)
Voto: 50

http://www.yesworld.com/

mercoledì 26 febbraio 2020

Graham Bonnet Band - The Book

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Hard Rock
Un melodic griffato Frontiers ("Welcome to My Home", "Strangest Day", la consueta sfilza di cognomi napoletani nei crediti), ma non soltanto. In apertura, per esempio, una spiazzante fucilata power - l'avreste detto? - i cui pallettoni finiscono conficcati nel prosieguo, per esempio in "Dead Man Walking", dove emerge invero un certo retrogusto Rainbow. I Rainbow, già. Quelli di "Rider", sparata giusto "Straight between the eyes" (sì, sì, cantava Turner, lo so), quelli di 'The Book' trascinati nuovamente 'Down to Earth' dall'eccellente, nervosissimo, riffettismo del giovane Conrado Pesinato, una specie di John Petrucci delle caverne. I Rainbow di 'Down to Earth', l'album più sovraesposto ("Since You've Been Gone", "Lost in Hollywood", "All Night Long", "Eyes of the World"... ma dov'è finito quel riff laser di tastiera che arrembava il pre-finale?) e al contempo sottoesposto (non avreste risentito almeno anche "Love's no Friend"?) dell'intero disco due, quello delle reincisioni: sedici insignificanti riproposizioni fotocopia sovente affaticate (il "Wanna make you miiiiine!" di "All Night Long", ma risentitevi anche il Bruce Dickinson asmatico di "Earth's Child" sul disco uno). Due grahambonnettosissime ore in tutto a coprire un'intera carriera quasi cinquantennale. Eccetto, ovviamente, gli imbarazzanti Marbles. Ve li ricordate? No? Domandatevi il perché. (Alberto Calorosi)

(Frontiers Records - 2016)
Voto: 60

https://www.facebook.com/grahambonnetmusic/

venerdì 29 giugno 2018

Quiet Riot - Road Rage

#PER CHI AMA: Glam/Hard Rock
Il banchetto che spaccia glammaccio sfuso (l'unoduetre introduttivo è micidiale: uno, il singolo "Can't Get Enough"; due, una "Getaway" comicamente introdotta da una specie di... sì, dev'essere un sitar; tre, "Roll This Joint" "Hold each end uh loosely / lick it up and give it a twist", nel caso vi foste scordati come si fa) è collocato esattamente di fianco a quello del ciabattino che vende scarpe da ginnasitica Mike © e Adibas ©. Osservateli entrambi. Osservate il faccino implume del nuovo frontboy James Durbin e ascoltate la sua vociottina mentre se ne sta lì a recitare la parte del cattivone rock sventrapapere. La sensazione sarà la medesima, quella che vi faceva sghignazzare ogni volta che vi capitava sotto gli occhi la bambolottosa copertina di 'Bad' di Michael Jackson. Coretti, liriche evanescenti come Ceres pisciata nel vicolo, elementari riffettoni ggg-osi degnamente accompagnati dai sempre più banali pattern di batteria di Frankie. Emergono al di sopra del pelo del ridicolo liquido la simil-zeppeliniana "Still Wild" e il quasi-power di "Freak Flag", dove non faticherete a individuare (più che) qualcosa di "The Man Who Sold the World". Ma sicuramente non ci riesce la copertina del disco. A emergere dal ridicolo, intendo. (Alberto Calorosi)

(Frontiers Records - 2017)
Voto: 50

https://www.quietriot.band/

martedì 26 febbraio 2013

Distorted - Memorial

#PER CHI AMA: Death/Progressive, The Project Hate, Dark Tranquillity
Premesso che di questa band non so praticamente nulla e in internet non sono riuscito a reperire molte informazioni, vi posso dare in breve quelle che sono state le mie sensazioni all’ascolto di questo disco. Appurato che si tratta di un combo israeliano che ha registrato l’intero lavoro in Svezia (mah...), di primo acchito mi è venuto da accostare la band agli svedesi The Project Hate, per quel loro approccio progressive fatto di musiche iper-tecniche, voci femminile contrapposte ai tipici grugniti maschili. Analizzando più in profondità l’album, si possono scorgere poi altre interessanti influenze, derivanti dallo stupendo “Mabool” dei loro conterranei Orphaned Land, con quei giri di chitarra che richiamano melodie mediorientali, le quali rendono, come dire, più esotica, la proposta dei nostri. Ma questi giovani israeliani devono amare profondamente anche lo swedish death, in particolare “The Gallery” dei Dark Tranquillity, che deve aver influenzato non poco la stesura di questo discreto “Memorial” (certo che potevano scegliere anche un altro titolo meno inflazionato), così come pure sono udibili influenze derivanti dagli Opeth. La vocalist invece deve aver preso lezioni di canto dalla nostra Cristina Scabbia dei Lacuna Coil, per la similare impostazione vocale, in complesso più che discreta. Comunque sia, i Distorted nelle nove tracce ivi incluse, ci propongono un death di discreta fattura, fatto di ammiccanti aperture melodiche, eteree vocals femminili e infernali growls. Piacevole uscita, anche se la sua emivita sarà assai breve, come sempre meglio gli originali... (Francesco Scarci)

(Frontiers Records)
Voto: 70

http://www.myspace.com/distortedband