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giovedì 23 marzo 2023

Dez Dare – Perseus War

#PER CHI AMA: Alternative/Garage Rock
In un rituale cosmico di circa 35 minuti, Dez Dare ci delizia con un altro album di psichedelia acuta, stralunata, astratta, figlia di una serie di teorie musicali molto personali, che ruotano attorno a questo musicista australiano con sede a Brighton (UK). La peculiarità nell'accostare strade diverse dalla psichedelia è innegabile nello stile di Dez Dare (al secolo Darren Smallman), passando dalle immagini dell'artwork, colorate e allucinate, al bel video di "Bozo", questa volta il nostro menestrello sonico, crea muri sonori con un ammasso di suoni provenienti da variegate direzioni. Che siano le chitarre fuzz dei Dinosaur Jr, il garage dei Gorilla, il krautrock, il noise rock, il fattore hippie caro a Brant Bjork, il proto punk degli Stooges, la prima synth wave elettronica o il mondo immaginario messo in musica da Daevid Allen, poco importa al nostro incredibile figlio, non dei fiori, ma dei funghi allucinogeni. Ogni cosa nel suo mondo è psichedelia, quindi, nelle sue composizioni, ci si può trovare di fronte ad un cantato che ricordi i primi riverberi dei Monster Magnet ("OUCH!"), o che un effetto vocale, diciamo alla The Pop Group (!?!), sia inserito in un contesto ipnotico di un rock scheletrico proveniente dallo spazio ("My Heels + My Toes, My Lies + My Nose"), ricordando l'effetto follia di "The Return of Sathington Willoughby", brano d'apertura di 'Brown Book' dei Primus. Tutto questo è praticamente concepito con una logica di libera espressione, di fatto tra le mura domestiche, un "Do It Yourself" anticonvenzionale, che rende tutti gli album di Dez Dare un'esperienza cosmica unica. Il suo è uno stile altamente originale, da puro e simpatico anti divo e artigiano del suono, dove il canto/parlato alla Beastie Boys, si confonde con quello dei Fu Manchu e con il tipico approccio punk, in un'atmosfera costantemente dilatata, sormontata da montagne di fuzz e xilofoni dal retrogusto dark. In effetti, come tutte le sue realizzazioni, non è facile descrivere le sue opere, si possono fare degli accostamenti a priori, ma il mood compositivo con cui genera e degenera la sua musica, scardinando il modus operandi della maggior parte delle bands che suonano questo genere, gli permette di essere veramente unico, nel bene e nel male dell'opera, e nel percorrere la strada che porta alle infinite lande della psichedelia sotterranea. L'orecchiabilità dei suoi brani è un'altra delle sue caratteristiche, poiché anche 'Perseus War', si contraddistingue per la sua facilità di approccio, anche se tutto è allucinato ed ipnotico a dismisura e nulla è lasciato al caso, e questo lo si percepisce benissimo ascoltando la ricercata musica di Dez Dare. I 2:54 minuti del singolo "Bozo", sono un apripista splendido. Garage rock degno dei 500ft of Pipe, guidato da una ritmica spinta alla Hawkind, rumori di fondo, feedback, un tremolante xilofono giocattolo e umore lo–fi. Un video divertente accompagna il brano, surreale e spettrale, decisamente geniale, come del resto anche il video inquietante di "Bloodbath-on-HI". Penso che in ambito sotterraneo Dez Dare non abbia tanti rivali, lui è diversamente psichedelico, in senso talmente ampio, che l'impossibilità di paragonarlo a qualche altro artista è reale. La sua arte riesce a parlare delle lotte dell'universo per la sua sopravvivenza come della pressione quotidiana che l'uomo subisce nella sua esistenza contemporaneamente, attraverso suoni ed immagini, che sdoganano con una certa naturalezza, incubi, sogni, allucinazioni e figure da cartone animato, atmosfere horror e commedie satiriche del sabato sera. La proposta di quest'artista è forse quanto di meglio il mondo psych rock oggi possa offrire, un rock disagiato, che non guarda necessariamente al virtuosismo, che abbandona la veste patinata e torna allo splendore del sottosuolo, fa rumore intelligente, oltrepassa il confine nuovamente, e illumina come le band di un tempo. Una musica adatta per i più folli ma sani di mente, una musica da evitare per i puristi e poco liberi all'ascolto. (Bob Stoner)

martedì 13 settembre 2022

Dez Dare – Ulysses Trash

#PER CHI AMA: Garage Rock
Nuovo album per lo stravagante artista di Brighton, che dal suo cappello magico, estrae un altro disco veramente divertente, tutto da gustare. Un lavoro multicolore di psichedelia ortodossa, figlia di un amore assoluto verso la parte più acida del mondo del rock e del low-fi. La cosa che più colpisce della musica di Dez Dare è che, pur muovendosi all'interno di un contesto molto abusato e saturo come il fuzz sound di matrice seventies, riesce a renderlo ancora una volta affascinante, grazie ad un modo tutto suo di interagire con muri di riff distorti che sanno di vintage ma che non smettono di brillare di luce propria. Quindi, ci troviamo di fronte ad un ambiente cosmico che richiama alcuni viaggi degli Hawkins, fatti a bordo di un vecchio furgone Volkswagen T2, non in perfette condizioni ma coloratissimo, che fa apparire la contea di Brighton come la California dei Fu Manchu degli esordi. Una versione del suono distorto del mitico Hendrix che ha deciso di smettere con gli assoli e dedicarsi ad una musica più diretta, come se gli Mc5 fossero in procinto di partire per lo spazio ed il riff della perla sonica "1.9.8.5." fosse uno splendido manifesto della sua arte, tra potenza proto punk alla Stooges e garage rock underground. Il fatto che tutti i cantati, nelle loro linee melodiche ricordino molto da vicino la formula vincente di 'Licensed to Ill' dei Beastie Boys la dice lunga sullo stile di questo guru del fuzz, che non ci pensa due volte ad inserire vie tortuose nella sua musica, pur di definirne un concetto di libertà compositiva assoluta, anche a rischio di ricordare troppo qualche collega più famoso. È il caso del riff iniziale di "Trashin'" che suona come un remake di "For Whom the Bell Tolls" di Hetfield e soci, oppure quello di "Bloody Sea, Holy Fuck", che ricorda l'inizio di "Country House" dei Blur, rivisitato in stile Trailer Hitch, compianta e poco conosciuta band di camionisti americana uscita per la Man's Ruin Records nel 1997, un anno di grazia per lo stoner rock. Tra le brevi composizioni che compongono il nuovo scrigno magico, vi troviamo anche brani più complessi e introspettivi, come "Outrage, Metrics, Mechanics, Death", robotico e drammatico sabba dal fascino cupo e sinistro, dove l'artista britannico si muove tranquillamente a suo agio anche in veste più ambient/noise in salsa dark. In definitiva, l'arte rumorosa di Dez Dare è come un portale verso una nuova costellazione di un cosmo sconosciuto, creata da un cultore di suoni del passato, che non vuole assolutamente far dimenticare, e che con questo nuovo 'Ulysses Trash' riporta le sue teorie a suon di fuzz, in uno stato di grazia underground delizioso, continuando in maniera vigorosa la sua opera musicale iniziata nel 2020 con l'ottimo debutto 'So Cold, Josephine'. Nota di merito anche per l'artwork coloratissimo dalle acide, fumettistiche e strepitose copertine, che ne caratterizza ulteriormente la vena artistica indomabile, gli allucinati video che lo accompagnano e per i testi anti pop, dei vari brani, “ ...la mia testa è così piena che non riesco a sognare...” (...My Head is so Full I Can't Dream...). Lunga vita allo stregone psichedelico di Brighton! Lunga vita alla psichedelia sotterranea! Entrate nel mondo fantastico di un vero artista di culto underground! (Bob Stoner)

mercoledì 1 settembre 2021

Dez Dare - Hairline Ego Trip

#PER CHI AMA: Punk Rock
Un po' di insana follia punk rock era tempo che non la ascoltavo. Dovevo attendere questo frescone inglese nato in Australia che, durante il famigerato lockdown, ha pensato di mettersi in proprio e buttare giù un po' di stravaganti pezzi orecchiabili. Ecco la genesi di questo 'Hairline Ego Trip' dei Dez Dare. Nove brani che partono dal punk primigenio di "Dumb Dumb Dumb", tanto selvaggio quanto scanzonato per poco meno di due minuti di musica. La cosa prosegue con il garage rock di "Conspiracy, O' Conspiracy", niente di travolgente ma mostra un tocco che palesa già una certa personalità. Quella che emerge forte invece in "King + Queen Monstrosity", laddove potrebbe sembrare stravagante, ma non lo è affatto, parlare di psych punk doom, vista la natura slow motion del brano. Esperimento riuscitissimo. Si passa ad un surf rock sporcato di venature stoner con "My My Medulla", un pezzo che ci conduce direttamente agli anni '60. Non male ma un po' lontano dai miei gusti musicali. Divertente ma troppo vintage. Si continua a percorrere la strada dello stoner/desert rock polveroso con "Sandy’s Gonna Try" ed un cantato che invece sembra uscire da uno dei brani dei Sex Pistols, ma l'energia che emana ahimè non è la medesima. "Break My Vice" sono 100 secondi di uno stralunato post punk, mentre "Crowned by Catastrophe" ha quasi un piglio blues rock nel sua cantilentante incedere ipnotico. "Goodbye Autonomy" mette in scena altri 107 secondi di un sound tanto stravagante quanto difficile da etichettare senza doverci scrivere una tesi che descriva cosa il musicista di Brighton voleva realmente proporre. Ancora punk rock con la lunghissima "Tractor Beam, Shitstorm", quasi dieci minuti di musica psicotica e ridondante in grado di destabilizzare i sensi con i suoi giri di chitarra in loop ma anche in grado di sottolineare l'imprevedibile genialità di quest'artista britannico. (Francesco Scarci)