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martedì 13 novembre 2018

Black Space Riders - Amoretum Vol.1 - Vol. 2


#PER CHI AMA: Heavy/Psych/Space/Stoner/Alternative Rock
La Germania ci ha sempre abituati ad una certa avanguardia stilistica a tutto campo: dalla purezza del Bauhaus al kraut-rock, dai robotici Kraftwerk al calzino con sandalo, dai Rammstein ai würstel bianchi. Non stupisce, quindi, che una band come i Black Space Riders provengano proprio dal cuore della Germania. Stupisce anzitutto la loro produzione musicale: ben cinque album in sei anni prima di questo doppio lavoro 'Amoretum', che da solo sfiora i cento minuti di durata (cento!), divisi tra Volume 1 e Volume 2, usciti a soli sei mesi di distanza. I due volumi di 'Amoretum' condividono evidentemente una scrittura uniforme e comune, come in un gigantesco concept album di ventidue tracce diviso in due macro movimenti: il primo, appena più psichedelico; il secondo più disposto ad osare con il lato oscuro, distorto, pesante. E, proprio come nel giardino evocato nel titolo, i brani germogliano impazziti come milioni di diverse varietà vegetali: nascondono o riflettono la luce del sole, hanno spine pungenti o fragili petali, fiori colorati o foglie nerissime, radici infestanti o steli delicati, profumano l’aria o la soffocano. Le coordinate musicali dei Black Space Riders non sono facili da identificare: se da una parte pescano a piene mani da una certa new wave anni ’80 — nelle melodie, sempre piacevoli e orecchiabili — (“Soul Shelter”) dall’altro non disdegnano le distorsioni fumanti tipiche dello stoner rock (“Come and Follow”, “Lovely Lovelie”, “Ch Ch Ch Ch pt. 2”), le atmosfere ipnotiche dello space rock più settantiano (“Movements”), un songwriting che ha molto a che spartire con il prog-rock (“Lovelovelovelovelovelovelovelove Love”, o la lunghissima e conclusiva “The Wait is Never Over”, assoluto capolavoro). Ad un ascolto più attento, emergono persino una certa ambient minimale, voci growl, parentesi dub/reggae (“Fire! Fire!”), chitarre shoegaze, atmosfere orientali (“Ch Ch Ch Ch pt. 1”) — e, in generale, l’impressione di assomigliare contemporaneamente a The Cult, Monster Magnet, U2, Colour Haze, Mogwai, Brant Bjork, Hawkwind e chissà quanti altri. So cosa state pensando: troppi generi, troppa carne al fuoco — il disco non può che risultare sconnesso, disomogeneo. Tutt’altro. Nella selva di emozioni e ispirazioni all’interno dei due capitoli di 'Amoretum' c’è, presente e sottesa per l’intero lavoro, una coerenza innegabile: l’amore immenso e incontenibile per la sperimentazione, la libertà, l’immaginazione senza vincoli se non quello, perfetto, della bellezza. Cos’è il rock, nel suo spirito più puro, se non questo? Poco dovrebbe importarci delle etichette di genere, quando siamo davanti a capolavori di scrittura e invenzione come questo. Da ascoltare, senza alcuna paura di perdersi — anzi, proprio per perdersi. (Stefano Torregrossa)

(BlackSpaceRecords/CargoRecords - 2018)
Voto: 90

https://blackspaceriders.bandcamp.com/