#PER CHI AMA: Funeral doom, Ahab, Monolithe |
È con estremo piacere che mi cimento nella recensione di questa quinta fatica in studio degli Ea. Al solito, per chi già li conosce (altrimenti mi permetto di farlo presente a coloro che ignorano l’esistenza di questa creatura oscura), i ragazzi non lasciano trapelare nulla che vada appena al di fuori delle note registrate in questo disco. Gli Ea (ma per quanto ne sappiamo potrebbero essere pure una one man band, chissà…) negli anni ci hanno abituati ad un suono votato alla terra, possibilmente adombrata e, tutt’al più, appena rischiarata da sfuggevoli raggi di luce crepuscolare. Criptici (dicono di provenire dalla Russia, sempre ammesso che questo corrisponda al vero), adornano le loro composizioni con sintetici testi scritti in un misterioso idioma antico, ricavato e ricomposto sulla scorta di studi archeologici, ed anche a tal proposito qualche dubbio può lecitamente sorgere. Quale che sia lo scopo ultimo di tutto questo mistero, di assolutamente pacifico e, per una volta, ben illuminato dalla luce del sole c’è un talento non comune emerso sin dal primo lavoro e maturato album dopo album. Notevole la capacità della band di affrontare (trionfalmente) il ben difficile salto da una struttura basata su lunghe ma separate composizioni ad un’unica suite, e questo è il secondo monolite che i Nostri partoriscono, segno di una ormai confidenza raggiunta in tal senso. Ci troviamo di fronte, per lo meno per chi scrive, al loro miglior lavoro ed, in ogni caso, a quanto di più accessibile faccia parte della loro discografia (il che è tutto dire!). Ciò che di ostico poteva essere ritrovato nei precedenti capitoli qui è stato adeguatamente smussato e levigato, senza perdere una virgola di quegli elementi di solennità ed epicità sonora che ne rappresentano senza dubbio il marchio di fabbrica. Il songwriting maturo ci dà in pasto un unicum scevro di quei momenti (per fortuna pochi) a volte vuoti, o lungaggini, che potevano essere riconosciuti specialmente nei lavori d’esordio. Di pregio l’utilizzo più marcato e convinto della doppia cassa, portando il disco a muoversi su granitiche ritmiche capaci di accelerazioni ed improvvisi rallentamenti, continuando quanto intrapreso già nel precedente album. Il riffing delle chitarre non ha subito grandi variazioni rispetto al passato, sempre portante nell’intrecciare la struttura di ogni singolo passaggio; immancabile il tappeto melodico-onirico delle tastiere a fare da supporto, nonostante un’evidente ridimensionamento dato a questo strumento rispetto agli esordi, il che non è affatto un demerito. Qua e la fa capolino l’onesto growling del vocalist, sicuramente non il migliore in circolazione, ma ben oltre la sufficienza. Solo un rapido accenno al finale, molto diverso dal loro solito in quanto quasi “tronco” rispetto alle abitudinali lunghe scie tastieristiche. Ma al di la degli aspetti tecnici, ciò che conta nell'intraprendere l’ascolto di un qualunque disco degli Ea è l’atmosfera che sono in grado di creare, capace di trasportarci in un mondo buio e meraviglioso ma non terrificante, lento ma non opprimente, epico ma non vagheggiante e dove la sensazione di smarrimento non si connota negativamente, perché alla fine si ritrova la strada di casa quasi d’improvviso. Gli Ea sono una realtà nel panorama funeral doom che ormai non si può più ignorare… se mai decideranno di mostrarsi, saranno accolti e acclamati a gran voce dal popolo delle odissee musicali. Sicuro. (Filippo Zanotti)
(Solitude Productions - 2014)
Voto: 85