#PER CHI AMA: Black Progressive |
Affrontare questa band di Seattle è compito arduo: nei ventotto minuti totali del cd infatti si può trovare di tutto e questo complica davvero le cose. Per iniziare dobbiamo riconoscere che i quattro brani sono belli e originali, che i musicisti in questione si distinguono per fantasia e sensibilità musicale, qualità e tecnica, che 'As Beauty Fades Away' suonerà alle vostre orecchie come ostico, atipico ma anche divino se solo riuscirete a carpirne il significato sonoro. Io ci ho provato, ci ho messo un po' e alla fine ho scoperto con piacere che questi A Flourishing Scourge sono una scommessa sul futuro del metal estremo. Quello che si cela tra le quattro lunghe tracce dell'album è un'attitudine progressiva evoluta (stile Hammers of Misfortune), caparbietà da doom metal band, atmosfere di chiara matrice Agalloch, un'anima death metal alla Anterior, voce nervosa e gutturale alla maniera dei Neurosis e la volontà di stupire tecnicamente tanto cara agli Opeth. Sia chiara una cosa però: gli A Flourishing Scourge non imitano nessuno, non ricalcano le impronte dei maestri, anzi, ne fanno ottimo insegnamento creando nuove strade e nuove aperture mentali. Quindi, le parti più dure opteranno per non essere esasperate ma solamente potenti, saranno più scarne, compresse e leggibili, tirate, contorte ma sempre decifrabili, sulla scia dei mitici Disharmonic Orchestra, tutta tecnica da gustare con quella verve retro rock che in alcune band sludge/doom fa davvero la differenza. Ecco degli assoli pirotecnici, le cavalcate e la doppia cassa che vola, il black metal d'atmosfera ma niente suoni glaciali, banditi in toto. Le sonorità si muovono calde, intense, nessuno spazio al freddo dominante, vietato guardare ai ghiacciai del nord. Il suono si scalda come lava colata, il ghiaccio si scioglie in un'iperbole grigia per aumentare quel senso di malinconia autunnale, momenti di vita che bruciano, quel senso di reale caduta, evanescente e inspiegabile che pervade l'intero disco e che raggiunge apici altissimi nei vari pezzi acustici sparsi qua e là nel disco (con "In Continuum" ad essere il mio brano preferito) . Proprio qui, in queste parti delicate e riflessive, i nostri quattro strumentisti americani trovano la loro ideale collocazione con partiture sofisticate e variegate, nate tra i ricordi delle sculture sonore di 'Damnation' degli Opeth, il capolavoro 'Grace' di Jeff Buckley e 'The White' degli Agalloch. L'artwork estratto da 'Il Trionfo della Morte' di Bruegel completa l'opera in bellezza per questo gioiellino underground autoprodotto in maniera lodevole. Album difficile da catalogare, intenso come i lavori dei mitici Agalloch. Una band seria e motivata, con tutte le carte in regola per approdare ad un full length memorabile. Consigliato. (Bob Stoner)
(Self - 2015)
Voto: 75