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sabato 8 giugno 2013

Fortid - Pagan Prophecies

#PER CHI AMA: Black Epic, Immortal, primi Enslaved
L’Islanda, quale luogo misterioso e fatato deve essere quella lontana isola sperduta nell’Oceano Atlantico? Completamente distaccati dal vecchio continente, immagino che gli islandesi non possano godere degli influssi e delle tendenze che imperano sulla terra ferma. E cosi spuntare da quel fascinoso posto, band o artisti strani e stravaganti. Penso alla più famosa di tutte, Bjork, ma anche a realtà un po’ meno famose come Sigur Ros o band molto più di nicchia, come quella di quest’oggi, i Fortid. Fortid che rappresentano il progetto solista di Einar Thorberg, meglio conosciuto come Eldur, musicista di Cursed e Potentiam. Il buon Eldur dopo aver completato la sua personale trilogia iniziale, “Völuspá”, e dopo essersi trasferito in Norvegia, ha stravolto la sua creatura, scegliendo dei musicisti in pianta stabile e da qui la nascita di questo nuovo interessante capitolo, “Pagan Prophecies”. Sette lunghe tracce di black dalle tinte pagane, che spostano le precedenti influenze vichinghe verso sonorità più architettate e progressive, nella vena dei primi Enslaved. Apertura fin da subito affidata alla title track, la song che abbraccia immediatamente la nuova direzione stilistica intrapresa dai nostri, in cui vengono immediatamente sguainate le spade e la danza tribale affidata ad un riffing di chiara matrice black, sorretto da ottime ed impetuose melodie di chitarra. Con la seconda “Spirit of the North” respiriamo maggiormente le atmosfere pagane dell’act nordico, con un feeling ricco di emozionale epicità, affidata a lunghi intermezzi strumentali. Con “Electric Horizon” il quartetto scandinavo torna ad infierire col proprio black fatto di scorribande battagliere, blast beat iperveloci e l’incursione selvaggia interrotta solo dall’eco di una guerra in lontananza ad infrangersi contro il muro sonoro del violento combo nordico. Mi stupisce a fine brano la presenza di uno splendido assolo, cosa assai rara nel black. Un arpeggio introduce “Lesser Sons of Greater Fathers”, la song più tranquilla del lotto, in cui Eldur mette da parte addirittura il proprio efferato screaming, lasciando posto ad una più calda performance vocale, in una song che sa molto di “Twilight of the Gods” dei Bathory. Con “Sun Turns Black” si torna a viaggiare su ritmiche tiratissime, infernali e nere come la pece, con il buon Eldur che torna a rimpossessarsi delle sue diaboliche vocals, e lanciarsi in una roboante cavalcata epica, condita dal classico intermezzo acustico e sorprendentemente da un altro assolo, che mi permette di apprezzare ulteriormente il lavoro della band. “Ad Handan” riparte con gli stilemi classici del genere: intro acustica ad esplodere nella consueta cavalcata black epica, in cui anche i segni oscuri degli Immortal, si alternano nel sound apocalittico dei Fortid, in una lunga ed estenuante traccia. La cupa outro, “Endalok” chiude un album che potrà permettere ai nostri di farsi conoscere un po’ di più nel mondo del black estremo. Convinto tuttavia che con “Endelok” mi trovassi alla conclusione del disco, ecco spuntare la classica ghost track, una ventina di minuti, conditi dai suoni tipici dei temporali che squarciano i cieli più prossimi al circolo polare artico. Glaciali ma epici! (Francesco Scarci)

(Schwarzdorn Production)
Voto: 70

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