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martedì 22 gennaio 2013

Khonsu - Anomalia

#PER CHI AMA: Groove Metal, Industrial Metal
Dopo un lungo peregrinare nella rete, prima o dopo, quell’album capace di sorprenderti salta fuori e nel caotico panorama metal degli ultimi anni non è sempre così scontato. Almeno pare non esserlo per chi ha passato l’ultimo ventennio a fagocitare tonnellate di dischi. L’effetto paradosso di una grande passione per la musica è proprio questo: un grosso sbadiglio sempre in agguato già al primo pezzo. Con tanti ascolti alle spalle, è quasi invitabile che tutto suoni banale e già sentito, soprattutto quando il mercato è sovrassaturo di band, ma quando inciampi su un album fuori dagli schemi come quello dei Khonsu, capisci immediatamente che dovrai mettere mano al portafogli, perché certi lavori l’acquisto lo meritano davvero. Khonsu è il progetto di S. Grønbech, polistrumentista norvegese che viene supportato alla voce da Thebon, già singer nei Keep of Kalessin. Nel loro album d’esordio, “Anomalia”, il duo presenta sette brani di grande impatto, per un’ora scarsa di musica in cui le sorprese di certo non mancano. Sbadigli, dunque? Neanche mezzo! Fortunatamente poi, delle sonorità ruffiane dei Keep of Kalessin “Anomalia” non possiede nulla. Anzi, il pregio dei Khonsu è quello di proporre un metal di difficile catalogazione. Groove? Industrial? Alternative? Avantgarde? Forse questo debutto è la risultante di tutti questi generi mescolati assieme. Forse c’è persino dell’altro, ma in fondo nessuno ci obbliga a trovare un’etichetta. Piuttosto, vale la pena soffermarsi su ogni singolo brano e constatare quanta energia venga sprigionata da ciascuno di essi. Energia che tra l’altro viene amplificata e ben veicolata da una produzione a dir poco poderosa, dove il suono di ogni strumento è perfettamente calibrato e il bilanciamento tra chitarre ed elettronica offre un esempio concreto di eccellenza. Di beat e tastiere infatti, “Anomalia” è pieno, ma il sound rimane assolutamente robusto ed omogeneo, affrancandosi in maniera netta da certi pasticci “industrial metal” dal vago retrogusto plasticoso. Una prova esemplare di questo equilibrio è “Inhuman State”, opera dall’impronta cyber che si dipana in quasi dieci minuti di accenni vocali hardcore e di tastiere che sembrano voler raccontare un viaggio interstellare da cinematografia sci-fi. Non sono da meno “In Otherness” e “The Host”, che, tra barocchismi ed un pizzico di teatralità, paiono invece ispirarsi a degli Arcturus imbottiti di vitamine. Vale la pena citare anche “Dark Days Coming” e “Via Shia”, perché entrambe svelano degli episodi emozionanti di cantato in voce pulita, che probabilmente rappresentano i picchi più espressivi e melodici dell’album. Il vero carattere dei Khonsu emerge però in “Malady”, indubbiamente il brano più originale ed evocativo, sul quale il gruppo dovrà porre le basi per sviluppare ed affermare un proprio stile unico e ancor più distinguibile. Promettenti. (Roberto Alba)

(Season of Mist)
Voto: 80

http://www.soundsofkhonsu.com/