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venerdì 8 agosto 2025

Umbersound - If the Flies Could Sing

#PER CHI AMA: Doom Sperimentale
Mentre calabroni e vespe infestano il mio balcone, l'album 'If the Flies Could Sing' degli americani Umbersound, sposta la mia attenzione su quello che potrebbe essere il canto delle mosche, non solo il loro fastidioso ronzio. E cosi, quasi per sbaglio, mi ritrovo a recensire un lavoro che si spinge nei paraggi del doom metal, con il classico rifferama lento e compassato. Quello della one-man-band di Staten Island è il secondo album, che sembra voler rappresentare la versione più morbida dell'altra band di Joe D'Angelo (il factotum dietro agli Umbersound), i Grey Skies Fallen. Abbandonate le growling vocals (almeno nei primi due pezzi), e un sound più pesante, il mastermind statunitense si protrae in una rilettura più evocativa e decadente del doom. Lo si evince dall'opener "Wolves At The Door", diventa ancor più evidente nella successiva title track, dove le atmosfere si fanno più cupe e opprimenti, ma l'effetto è sicuramente accogliente, offrendo un'esperienza quasi totalizzante per chi ascolta. Chiaro, non è quella che definirei una passeggiata affrontare questo genere di sonorità, ma chi ama suoni di scuola Candlemass, ma con una maggior propensione alla sperimentazione e alla teatralità (ascoltatevi l'ipnotica "Atmos Ritual" che abbina entrambe queste caratteristiche), potrebbe apprezzare enormemente la proposta. Man mano che i minuti passano, l'album diventa più ostico da digerire, pur mantenendo intatti i suoi capisaldi legati a riff lenti e pesanti, tipici del doom tradizionale. Se "Spines On The Shore" potrebbe suonare come una versione doom dei Nevermore, complice un cantato che evoca il buon Warrel Dane (R.I.P.), vi sottolineerei l'emozionalità in grado di emanare "Deaths Old Sweet Song", un pezzo davvero affascinante, tra doom e un mood quasi western. E l'abbinata sperimentalismi vari e doom sorretto da vocalizzi da orco cattivo, proseguono anche in "The Sound Of Umber", prima dei due pezzi strumentali che chiudono con una inaspettata timidezza, il disco. Un lavoro originale e conturbante questo delle mosche che cantano, che necessita tuttavia ancora qualche lavoro di cesellatura (ad esempio l'aggiustamento della voce growl) per suonare vincente su tutti i fronti. (Francesco Scarci)

giovedì 7 agosto 2025

Awful - Absolute Reign

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine   
#PER CHI AMA: Brutal Death
Brutal death violentissimo, sparato a velocità pazzesche, quello proposto dal terzetto italiano degli Awful. Niente mid-tempos, niente pause, ma solamente un martellamento spietato che non dà respiro. Ci lamentiamo spesso del fatto che i gruppi brutal si assomigliano troppo, beh, in questo caso il discorso non vale. Quanto proposto dagli Awful potrà forse sembrare ad alcuni troppo estremo, ma se non altro, non ricorda cose già sentite mille volte. Il demo - di fattura professionale - contiene appena tre canzoni, ma sono sufficienti per stendere al tappeto chiunque!
 
(Sothis Records - 1999)
Voto: 68
 

martedì 5 agosto 2025

Nightwish - Yesterwynde

#PER CHI AMA: Symph Metal
"Yesterwynde", la soundtrack di un ipotetico fantasy cyberpunk, dove il cattivo cade dal suo destriero alato motorizzato, finisce nella baluginante pozzanghera di liquami e diventa un paladino dell'ecologia interplanetaria, introduce l'album più cinematico (mandate avanti e sentite anche la Scaretal/osissima "The Weave") degli ultimamente cinematicissimi Nightwish, nella totale, seppur plastica, continuità coi due album precedenti. Immaginarsi qualcosa che sia solennemente equidistante tra la sigla di una rubrica di attualità di Raidue e il sonoro catastro/tribale di un film di Emmerich sul Pleistocene (ascoltare il primo singolo "Perfume of the Timeless"), qualche ammiccamento NWOBM ma anche un po' (questo, sì, inedito) new romantic ("The Children of Ata") fino a lambire il glam-rock (per esempio nel ritornello Brian-May-esco della riuscita "The Day of..."), sensazioni celtiche, temporali, una specie di Hevia horror che fa headbanging ("Sway") per poi sfasciare la cornamusa sul Marshall (l'eccellente progressione della ottima, seppur troppo lunga, "Hiraeth" - ma solo io nelle prime note ci ritrovo "Cool Water" dei Talking heads?). Sovente (auto)indulgenti le orchestrazioni di Tuomasuccio H. (su tutte, "The Weave") che in svariate occasioni, appare più intento a rimescolare ancora una volta i clichet delle ricchissime (di clischet) "Storytime" e "The Greatest Show on Earth" piuttosto che a comporre veramente musica (il secondo, turgido seppure pasticciato singolo "An Ocean of Strange Islands" e, più avanti, dappertutto sul disco due). Niente di nuovo, insomma, tanto che si può affermare senza sbagliare che il primo attesissimo disco senza Hietala somiglia un po' a tutti gli altri dischi con Hietala. (Alberto Calorosi)

(Nuclear Blast America - 2024)
Voto: 63

https://www.nightwish.com/

lunedì 4 agosto 2025

No More Fear - Vision of Irrationality

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Death Metal
Death metal ricercato, non claustrofobico: ecco cosa ci proponeva questa band italiana nel suo vecchio disco d'esordio. I No More Fear hanno dalla loro, sin dagli esordi, un'apprezzabile creatività, sfornando un prodotto nient'affatto convenzionale, a tratti, addirittura melodico (gran lavoro di chitarre in "Escaping the Indifference"). Ciò potrà forse sconcertare quelli fra voi incondizionatamente ligi alla brutalità più disumana, ma, credetemi, 'Vision of Irrationality' è un bell'album e non annoia. Belle le vocals gutturali, specie in "The Lady with the Sickle", un po' meno la voce straziata. I testi? Taluni introspettivi, altri imperniati su tematiche orrorifiche, senza grossolanità gore. C'è anche un bell'omaggio a Lovecraft (nella conclusiva "Dagon"). In conclusione, un album interessante e davvero originale.

(VideoRadio - 2001)
Voto: 70

http://www.nomorefear.it/

domenica 3 agosto 2025

Rivers of Nihil - S/t

#PER CHI AMA: Prog/Techno Death
È interessante appurare come i Rivers of Nihil stiano facendo progressi a vista d'occhio, album dopo album. E cosi, questo nuovo lavoro omonimo, che rappresenta il quinto in studio per la band americana, segna un bel passo in avanti rispetto al precedente 'The Work', che era uscito nel 2021 e aveva diviso non poco la critica. Il quartetto di Reading, Pennsylvania, prosegue anche qui quel percorso iniziato ai tempi di 'Where Owls Know My Name', ossia coniugare un progressive techno death con derive jazz ed elettroniche, per cercare di recuperare la strada perduta nei confronti dei Kardashev, che pur essendosi formati tre anni dopo rispetto ai nostri, sembrano essersi consacrati più velocemente, grazie alla performance del loro cantante. Comunque, a parte questi convenevoli, devo ammettere che questo nuovo disco è parecchio impressionante nelle sue parti più sperimentali (e mi riferisco all'opening track "The Sub-Orbital Blues") o laddove i nostri passano dalla brutalità del loro techno death primordiale con tanto di growling vocals, a manifestazioni canore pulite di chiara estrazione Kardashev, che rimangono a mio avviso, il vero punto di riferimento per la band di oggi. Per questo, pur non rinunciando a una bella dose di violenza, i Rivers of Nihil amano ammorbidire le loro tracce con un'altrettanta dose di melodia: fantastica, e la mia preferita, "Despair Church", in cui compare anche il sax di Patrick Corona dei Cyborg Octopus e il violoncello di Grant McFarland dei Galactic Emprire. E poi c'è "Water & Time", lo ammetto, potrebbe sembrare un po' costruita a tavolino per piacere, ma in tutta onestà me ne sono innamorato. Tra vocals pulite, fughe jazzistiche di sassofono, inserti growl e linee di chitarra semplicemente favolose, è difficile non lasciarsi trascinare. Il disco in questo modo si fa apprezzare enormemente anche se non manca qualche sbavatura di cui avrei fatto volentieri a meno, come la debordante "Evidence", che sembra richiamare, nelle parti eccessivamente selvagge, gli esordi un po' troppo chiassosi della band, per quanto la produzione cristallina esalti comunque l'intensità sonora data da un egregio lavoro al basso, da sempre precise linee di chitarra e qui, da ben cinque backing vocalist. Forse però è troppa carne al fuoco, soprattutto in un brano che finisce con un fade-out davvero troppo brusco. Tante belle idee, ma non ancora perfettamente calibrate, serve l'ultimo step. Ultima chicca: la traccia che dà il titolo al disco e che lo chiude, con Stephan Lopez dei Cavum al banjo (già sentito nella terza traccia "Criminals"). Un tocco che suggella un album importante, maturo, coinvolgente. A volte forse un po' sopra le righe, ma che può davvero rappresentare un nuovo punto di partenza per i Rivers of Nihil. E farà sicuramente la gioia di tutti quelli che amano le sonorità alla Kardashev e Gojira.. (Francesco Scarci)

sabato 2 agosto 2025

Sólstafir - Endless Twilight of Codependent Love

#PER CHI AMA: Prog/Psych Metal
Una rarefazione quasi-pop in apertura, poi la furenza eruttiva che digrada in una magmatica coda, poi il chill-out crepuscolare smorzato in un reprise un po' contratto ma squisitamente hard rock: architettonicamente svartir-sandariana, ruvida e irregolare come un fiordo disegnato su una mappa, seppure inferiore a "Lágnætti" (si potrebbe chiosare che qualunque cosa dei Sólstafir sia inferiore a "Lágnætti"). "Akkeri" può non piacere ma posiziona alta l'asticella programmatica dell'album. Non sarà così: i tumulti emotivi di "Ótta" cedono il passo ad architetture musicali più radiolina-oriented come già dai tempi di 'Berdreyminn'. La produzione, ancor più monumentale, della già estremamente monumentale produzione di 'Berdreyminn' rintuzza le sporadiche manchevolezze creative. E così "Drýsill" appare soffice eppure concrezionale, misuratamente elegiaca e non, come dovrebbe essere, sfrontatamente già sentita. E i camerismi björkettari assieme ai gnau-gnau aurali di "Rökkur" oscurano un fangoso e poco originale quasi-parlato il cui scopo è principalmente quello di evidenziare i già evidentissimi limiti della lingua più brutta del pianeta tra le settemilacentoundici esistenti. E il nanana-nanana ruffianamente post-rock vs. Robert-Smith-che-si domanda-dove-è-finito-il-mascara di "Her Fall From Grace" non sarà al livello di "Fjara" ma la recrudescenza quasi-crimsoniana nel finale fa dimenticare quella contrastante sensazione come di big-babol appiccicata a un dimmu borgir (nel riff di chitarra avrete sentito qualcosina di più di qualcosa proveniente da 'Sound of Silence'). E gli sguaiati black-fasti ante-svartir di "Dionysus" che virano in un pre-finale quasi-disco senz'altro rinverdiscono l'attenzione almeno quanto l'incipit jazzaminoso di "Or", molto black-heart-processionale e anche un po' tardo-Gilmouriano. Nella seconda metà dell'album e tra le (stavolta interessanti) bonus track, riemergono qua e là sentori solsta-wave mai veramente sopiti: "Alda Syndanna", ma anche la (a tratti) watersiana "Hrollkalda Þoka Einmanaleikans". (Alberto Calorosi)

venerdì 1 agosto 2025

Clouds - Desprins

#PER CHI AMA: Funeral Doom
Per chi ancora non lo sapesse, i Clouds intitolano tutti i loro full-length con una parola che inizia con la lettera D e che ha un significato di distacco o partenza. Ecco a voi quindi il sesto capitolo della band rumena, capitanata da Daniel Neagoe, e intitolato 'Desprins', un'opera che continua a inserirsi in quel contesto funeral doom, con elementi atmosferici ma soprattutto emotivi, per un viaggio diretto nel profondo della nostra anima. E 'Desprins' non tradirà certo i fan della band, proponendo sin dall'iniziale "Disguise", quei ritmi lenti e pesanti, coadiuvati da cavernose voci growl che evocano un senso di disperazione e introspezione, e da una malinconica melodia di fondo affidata al flauto di Andrei Oltean. Potrei anche chiuderla qui, dal momento che non ci sono sostanziali novità rispetto ai vecchi album, che il sottoscritto peraltro colleziona gelosamente in formato vinile. E infatti, man mano che ci si spinge avanti nell'ascolto, non possiamo che trovare tutte quelle peculiarità che Daniel e soci, ci confezionano ormai da oltre un decennio. Preparatevi pertanto a un death doom in cui trovare un'alternanza tra ritmiche robuste e melodie più tenui ("Life Becomes Lifeless"), altri più atmosferici con un Daniel in formato vocale sia growl che pulito e più decadente ("Chain Me", "The Fall of Hearts" e "Will it Never End"). A parte questo, grossi stravolgimenti nello stile della band non sono contemplati. Se siete fan dei Clouds pertanto  andate pure sul sicuro; se siete invece nuovi, inizierei l'esplorazione della band dai lavori più datati, 'Doliu' e 'Departe', giusto per fare due nomi. Ah, vedete, altri titoli con la lettera D. Deprimenti. (Francesco Scarci)

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