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sabato 20 giugno 2015

Ashtar - Ilmasaari

#PER CHI AMA: Black Doom, Sludge
C’è fermento nell’ultimo periodo in Svizzera. Non c’è infatti solo la Hummus Records a regalarci ottimi esempi di sonorità post. Si aggiunge la Czar of Crickets Productions, che già avevamo avuto modo di apprezzare qualche tempo fa con gli Unhold e che oggi, a dimostrazione che non si trattava di un episodio sporadico, ci presentano un misterioso duo di Basilea, gli Ashtar. Formatisi nel 2012 e composto dalla gentil donzella Witch N. (voce, basso, chitarra e violino) e dal feroce (almeno in foto) Marko Lehtinen (voce, chitarra e batteria), i nostri si fanno portavoce di un oscuro black dalle forti sfumature sludge. Sei le cupissime tracce a disposizione del duo elvetico per convincermi(vi) della bontà della loro proposta. Il cd si apre con l’ossessiva amalgama doom di “Des Siècles Qui…”, brano denso e melmoso, come nella migliore tradizione sludge, il cui unico punto di contatto con il black, è rappresentato dalle arcigne vocals dell’affascinante strega e qualche sfuriata a livello ritmico. Non so se “She Was a Witch” voglia ribadire la natura magica della front female svizzera, ma ciò che emerge forte dal brano è la malvagità che trasuda dalle sue nebulose note che ne evidenziano un piglio quasi tribale a livello della batteria e un che di stoner nei riff delle chitarre. Sicuramente pregno di tensione, acuita anche da una certa reiterazione dei suoi angusti suoni, il debut album degli Ashtar si rivela ancor più interessante nella lunga “Celestial”: tredici minuti di avvolgenti e dilatate sonorità mefitiche, che mettono un forte senso di angoscia quando una diabolica chitarra acustica si affianca al muro ritmico su cui si ergono gli striscianti vocalizzi della streghetta Witch N. Ma la traccia ha modo di muoversi ariosa in diversi interludi post rock che trovano ampi spazi in lunghe e fluttuanti fughe strumentali. “Moons” è un altro esempio di stoner doom, dotato di una indiscutibile carica groove che gli consente di prendere le distanze dalle sonorità funeral doom tipiche dell’est Europa o dai classici del passato, My Dying Bride o primi Anathema. Se proprio fossi costretto a darvi qualche punto di riferimento, ecco che opterei piuttosto per gli Esoteric, ma credo che l’influenza sia più che altro dettata dalla presenza dietro la consolle di Greg Chandler. “These Nights Will Shine On” è una traccia più movimentata, in cui compare finalmente anche il grugnito di Marko ad affiancare Witch N. alle voci, in quella che è la song più “nera” di ‘Ilmasaari’, ma in cui emergono prepotenti le qualità e le potenzialità degli Ashtar, nel dipingere un sound buio quanto una notte di novilunio. Il suono mefistofelico di una chitarra acustica e di un magico didjeridoo, spalancano le porte della conclusiva “Collide”, l’ultima tappa di questo viaggio verso le viscere della Terra. (Francesco Scarci)

(Czar of Crickets Productions - 2015)
Voto: 75
 

Vola - Inmazes

#PER CHI AMA: Modern Metal, Meshuggah, Raunchy, Devin Townsend
Se anche nel metal ci fosse il cosiddetto disco dell’estate, i danesi Vola si candiderebbero sicuramente per la vittoria finale. ‘Inmazes’ è un disco incredibile, a cui non manca praticamente nulla, dalla traccia furiosa alla ballad, passando per la semi-ballad e un’altra bella manciata di song stracariche di Groove (per non parlare poi della notevole cover). Collocare stilisticamente il quintetto di Copenaghen non è nemmeno poi un così grande sforzo: immaginate infatti i Meshuggah che suonano Nu Metal, strizzando l’occhiolino a Devin Townsend. Tutto chiaro no? Immergiamoci allora nel sound roboante dei Vola, che aprono le danze con “The Same War” e le sue chitarrone granitiche di matrice “meshugghiana”, con le vocals pulite, qualche urletto “korniano” e una porzione corale davvero notevole. In questi frangenti, le tastiere surclassano la possanza delle 6 corde, passando attraverso una lineare fluidità melodica carica di suoni assai accattivanti. “Stray the Skies” è un altro imperdibile pezzo da potenziale top ten del metal: chitarre sincopate stoppate solamente da un altro magnifico coro e splendidi break di synth, da non perdere assolutamente. “Starburn” ha un inizio che si muove tra il fluido space rock e le tipiche partiture djent dei Born of Osiris. Asger Mygind inizia poi a cantare con la sua notevole timbrica pulita e il ritmo si fa molto più tiepido, anche se qualche growl fa capolino qua e le chitarre, nel loro articolato incedere, mostrano una delicata vena malinconica. “Owls” è una traccia un pochino più schizofrenica a livello ritmico: certo che quando Asger canta, tutto si ferma e viene catalizzato sulle sue caratteristiche corde vocali, che in talune circostanze, riescono addirittura ad evocare i Depeche Mode degli anni ’80! Ma “Owls” è una semi-ballad che vi farà venire la pelle d’oca solo ascoltandone la sua mite linea melodica, dotata com’è di una certa inclinazione onirica che la rende la mia song preferita insieme alla opening track e alla già citata "Stray the Skies". Con “Your Mind is a Helpless Dreamer” si torna ai crushing riff di scuola svedese su cui si instillano le tastiere di Martin Werner e successivamente le vocals di Asger, che in questa song arriva anche a ruggire ferocemente. Il ritmo comunque è sempre oscillante e la musica dei Vola si muova tra fasi brutali di poliritmia tonante, sublimi sprazzi di metal moderno ed intermezzi elettronici (quasi nintendocore!). “Emily” (la ballad che mancava) potrebbe stare bene su ‘Mezzanine’ dei Massive Attack cosi come su ‘Dummy’ dei Portishead o in uno qualsiasi dei dischi degli Archive, per la sua sognante veste elettronica. “Gutter Moon” unisce ancora in modo superbo l’elettronica al metal, grazie alla sempre più convincente performance vocale dei nostri che si candidano con questo album a sfidare i grandi del metal, e piazzarsi nella mia personale top ten del 2015. “A Stare Without Eyes” evidenzia ancora una volta la dicotomica faccia dei nostri, abili a muoversi musicalmente in un inedito ibrido Korn-Meshuggah. Il richiamo ai gods svedesi si fa più preponderante nell’incipit di “Feed the Creatures”, anche se da lì a breve, i Vola intraprenderanno la propria personale strada a cavallo tra elettronica e rock progressive, nell’ennesima cavalcata ricca di groove che annovera tra le influenze dei nostri anche i loro conterranei Raunchy. A chiudere ‘Inmazes’, l’ipnotica e malinconica title track che arriva a citare anche i The Contortionist, il tutto a certificare l’assoluto valore di questo combo danese, da tenere sotto traccia fino alla fine dei vostri giorni. (Francesco Scarci) 
 
(Self - 2015)
Voto: 90

https://www.facebook.com/vola

venerdì 19 giugno 2015

Cosmic Letdown – Venera

#PER CHI AMA: Psych Rock
Dopo un EP e un singolo, ecco finalmente arrivare l’esordio sulla lunga distanza per questo combo russo, dedito alla psichedelia più lisergica e “viaggiante”. Perfetto come colonna sonora per un trip a base di psilocibina, 'Venera' mette in fila 10 brani per circa 47 minuti al termine dei quali sarete imbevuti di acido fino alla punta dei capelli. La psichedelia messa in scena dai Cosmic Letdown non è quella addomesticata e abbeverata al fiume del pop dei Tame Impala, ma pesca a piene mani da quanto fatto anni orsono dagli Spaceman 3 di Jason Pierce o piú di recente dai Black Angels, quindi un rock basato su mantra ricorsivi, riff semplici e ipnotici, gorghi chitarristici, organi chiesastici e ritmiche ossessive, nella miglior tradizione psych. Il tutto, però cantato nella lingua madre, a dare un ulteriore tocco straniante ed allucinatorio (provate ad ascoltare queste nenie sommerse dai watt cantate in russo e poi mi saprete dire). Sarà forse la suggestione data dal luogo di provenienza, forse una certa solennità nell’incedere di brani come “Mary” e “Moonlight”, ma a me hanno ricordato in qualche passaggio i C.S.I del capolavoro 'Ko de Mondo', per la capacità della chitarra di trascinare l’ascoltatore in un luogo al di fuori del tempo e dello spazio. Lavoro ben realizzato e ben prodotto, 'Venera' avvolge fin dal primo momento con le sue spire che intrappolano facilmente chi ascolta. Il problema, forse, può risiedere in una certa ripetitività, peraltro insita in questo tipo di musica, che potrebbe risultare alla lunga un tantino monocorde. Difficile, per questo motivo, citare pezzi che si staglino al di sopra degli altri. Oltre ai già citati, menzionerei le maestose “Jesus” e “Venera-6” e la sognante “Up in the Sky”. Non mi resta che invitarvi a togliere le scarpe, mettervi comodi, spegnere le luci e prendere il volo premendo il tasto “play”. Viaggioni. (Mauro Catena)

(Opium Eyes Records - 2015)
Voto: 70

giovedì 18 giugno 2015

Deer Blood - Devolution

#FOR FANS OF Thrash Groove, Overkill
Heralding in the debut full-length from this self-described 'groove/thrash metal' band is one minute of clean, bluesy guitar licks. Unexpected, but certainly appropriate for the atmosphere this album is about to set in stone. Looking for exploratory, progressive thrash a la Heathen? Nope. Looking for speed-obsessed toxic thrash metal in the vein of Nuclear Assault or Carnivore? Sorry! What the listener is treated to here is a modern version of the oft-maligned mid-90s groove/thrash hybrid. Familiar with Overkill's 1993 opus "I Hear Black"? Well Deer Blood's 'Devolution' bears a strong similarity. For the most part, this bodes well and the album can really rollick along! However, there are a few bumps along the road... The first obstacle standing between this album and 100% enjoyability is the production job. 'Devolution' isn't raw in the pleasing, early-80s Megadeth kind of way. Its mix is just incredibly uneven. The drums are far too tinny and quiet, the guitar possesses too much treble, the bass is non-existent, and Alexandre Bourret's unimpressive voice is FAR too loud! Alright, so thrash metal vocals aren't supposed to be up to Fabio Lione standard, but there are many points where a pseudo-tough narration simply won't do. Either employ some attitude-filled barks like Tom Araya, or back off and let the riffs take charge. The riffs are where the band really shine. Not only are they memorable, but some of them are truly unique and are formed using scales and keys not often found within this sub-genre. The opening riff to "Trapped Inside" is notable for this characteristic. Sure, there's a lot of blues-scale raping, but they're played with so much gusto and enthusiasm that songs like the title-track become an absolute triumph. As well as proving his credentials as a competent riff-crafter, guitarist Julien Doucin isn't afraid to simplify when necessary, in order to enhance the rhythmic power (see the 1:57 mark in "Born Strong, Live Young, Die Hard, Born Again"). As a whole, the album is structured interestingly, with two lengthy thrash epics bookending the endeavour. These two tracks ("Bushmaster" and "Scared to the Bone"respectively) unfortunately don't shine anywhere near as much as the rest. The band's songwriting talent proves itself when the tracks are more structurally compact and concise. The occasional gang-shouts are indeed welcome, and remind me even more of Overkill's mid-90s phase. Whilst the artwork and imagery is nothing to celebrate, the band name is admittedly brilliant - and I hope they continue under this moniker. In a nutshell, what we have here is a pleasing fusion of Sanctity and mid-90s Overkill. As a whole, the vocals let down an otherwise fascinating, enjoyable and headbang-able first release. I look forward to a slightly bigger budget in the future - allowing for a cleaner production quality, more structural concision, and a vocalist who doesn't sound like an angry 14-year-old who lost his favourite Star Wars poster. (Larry Best)

(Self - 2015)
Score: 65

lunedì 15 giugno 2015

Sinfulness - Sentenced to Life

#PER CHI AMA: Progressive Deathcore
Deve essere quello di una vera mitragliatrice il suono assassino che apre l'album dei belgi Sinfulness, una delle nuove promettenti leve del roster Kreative Klan. Pochissime le informazioni trovate sul web, questo a testimoniare ahimè la scarsa rilevanza data ai nostri dagli addetti ai lavori, un vero peccato. I Sinfulness sono un quintetto di Liegi, (credo) al debutto con questo 'Sentenced to Life', e con un sound all'insegna di un roboante deathcore progressivo. Undici i brani con cui il five-piece ci prende a mazzate: della opening track, "Borderline" abbiamo già detto, una scarica di martellate furenti di batteria su una schizofrenica linea ritmica a richiamarmi tanto i nostrani Infernal Poetry quanto qualche band metalcore d'oltreoceano. Quello che sorprende è la capacità innata dei nostri di cambiare tempi, umori e ritmi in modo a dir poco vertiginoso, assemblando un concentrato di cattiveria e melodia davvero originale. Di pari passo va anche la voce di Vin, che si dimena tra urla metalcore, qualche growl e clean vocals. "Inner Struggle" è una traccia ipnotica che viaggia sul binario ritmico caro ai Meshuggah, trovando modo di stupire l'ascoltatore anche con un break elettronico totalmente inaspettato e una porzione corale altrettanto inusuale. "Apathy" parte in crescendo, con la ritmica che dopo poco divampa impazzita come un treno deragliato. Non temete, le sfuriate durano pochi attimi, una manciata di secondi, in cui i nostri saranno in grado di stupirvi con tutto e il suo contrario, in una girandola musicale fuori controllo. I Sinfulness sanno certamente come tenerci incollati ad ascoltare il loro vibrante sound, con costanti variazioni al tema portante, sia a livello musicale che vocale. Il fatto poi che le tracce siano di breve durata aiuta a digerire il tutto molto più velocemente, ma soprattutto ad apprezzare maggiormente i contenuti dell'album. Uno splendido intermezzo acustico di basso e ci troviamo dinnanzi al riffing di "Misophonia" e a un gruppo che vuole fare dell'imprevedibilità il suo vessillo. Le melodie sono davvero buone, cosi come altrettanto buona è la multisfaccettata performance del vocalist dietro al microfono. Forse la produzione è un po' troppo glaciale, avrei reso il tutto molto più caldo e pieno. Ancora un intermezzo noise e sbatto il muso contro l'imponente muro di "Conformity", contraddistinto da una ritmica ipertecnica che non lascia scampo. Il disco scorre via velocissimo e le ultime tracce appaiono un po' più sottotono rispetto alla pirotecnica verve che caratterizzava le prime song. A chiudere 'Sentenced to Life' ci pensa la nevrotica "Ubiquitous Imperfection", la traccia verosimilmente più deathcore del disco anche se nella sua parte centrale, collidono influenze di scuola progressive (Cynic) con il dinamitardo incedere metalcore. Notevoli! (Francesco Scarci)

(Kreative Klan - 2014)
Voto: 75

domenica 14 giugno 2015

Eltharia - Innocent

#PER CHI AMA: Power/Progressive, Symphony X
Arriva da Grenoble, Francia, questo quintetto di musicisti che da alle stampe il loro secondo album (il primo risale addirittura al 2004), dal titolo 'Innocent'. Dediti ad un rodatissimo mix di generi “classici”, gli Eltharia ci propongono un power/prog metal che ricalca gli standard del genere, come insegnano i maestri Symphony X su tutti. Degli statunitensi possiamo ritrovare infatti la padronanza tecnica, una gran voce, le melodie, ma forse un po' meno di potenza. 'Innocent' infatti rimane piuttosto delicato, con un buon tiro, assolutamente di classe; i cinque transalpini hanno optato durante la registrazione del disco, per l'uso della drums machine, che conferisce a tutto l'insieme quel senso di freddezza che ne penalizza ahimé il risultato finale. Piuttosto, avrei scelto un session man, ma la drum machine proprio no. Nonostante questo difetto, il disco nel complesso regge bene i suoi 56 minuti di durata, snodandosi agilmente tra 11 tracce che hanno il pregio di non annoiare mai, ma anzi di appassionare col passare degli ascolti grazie ad uno scorrere leggero, non troppo impegnativo, che cresce col tempo e finisce per valorizzare un songwriting alla fine, davvero degno di nota. Sui gusti del gruppo, in tema di artwork, avrei invece qualcosa da ridire: la copertina, a mio parere è immonda, e con il logo, poco comprensibile, devono essere assolutamente rivisti. Passando invece alle cose positive, i brani che vanno segnalati ci sono, eccome: l'opener “Third World War”, la catchy title track, la bella tosta “Faster Than the Reaper” e “Black Hole”, riescono a costruire un quadro completo di quello che il gruppo ha da proporre. In complesso, 'Innocent' è un buon lavoro, ben scritto e ben suonato, da parte di un gruppo sicuramente da tenere in considerazione e seguire, anche sulla loro pagina Facebook che sembra ben curata e aggiornata. Carissimi Eltharia, comunque bravi, ma alla prossima uscita vi aspetto curioso e fiducioso...mi raccomando, una bella copertina questa volta!!! (Claudio Catena) 

(Self - 2014) 
Voto: 75 

Loro sono gli Eltharia e si ripropongono, dopo diversi cambi di formazione (dal 2001 ad oggi), con questa seconda uscita (uscita ormai sul finire del 2014), dopo l’esordio discografico datato 2004. La veste in cui ci si presentano con questo 'Innocent', è sicuramente quella di una tecnica compositiva ed esecutiva migliorata nel tempo e consolidata con l’esperienza. Non si può certo dire che ci venga proposto qualcosa di innovativo rispetto a quelli che sono gli standard ormai assodati, anzi il sound consolidato della band richiama subito alla mente capisaldi storici, come i Kamelot. Pulizia sonora e vocale, eccezion fatta per la nona track, "Black Hole", dove compare qualche sprazzo growl ed un appesantimento generale del suono; tastiere (fin troppo) ridondanti condiscono il tutto, ma senza forzare gli schemi. A questo proposito va invece riconosciuta la pregevole interpretazione del drummer-fondatore Benjamin Nicolino, che propone una buona alternanza di tempi e fill di batteria diversificati, che ogni tanto sfociano in stacchi quasi prog, con "Sweet Madness" che si erge su tutti i brani. Altro aspetto che si può notare è l’affronto di tematiche più umane, “attuali”, abbandonando le leggende di antichi regni e spettri, protagonisti nelle liriche del precedente album, di stampo più epic e astratto. Niente da dire infine sulla produzione autonoma, eseguita in modo più che soddisfacente. La band transalpina dunque, seppur debba ancora lavorare molto, mostra con questa prova una notevole dose di entusiasmo: ci sono delle buone premesse per fare meglio in futuro! (Emanuele "Norum" Marchesoni) 

Voto: 65

sabato 13 giugno 2015

Blackwülf - Mind Traveler

#PER CHI AMA: Stoner/Doom/Heavy
I Blackwülf sono una formazione californiana nata nel 2012 e distribuita dalla nascente Wicker Man Recordings. Il quartetto debutta con questo 'Mind Traveler', ove il quartetto vi ha concentrato le loro influenze heavy metal old school, stoner e doom, il tutto sapientemente condito da una valanga di potenza e melodia. Un sound che richiama le band di trenta-quarantanni fa, ma si piazza a pennello in una fase della musica dove il ritorno del vinile va a braccetto con le sonorità che hanno fatto storia. Il cd è un semplice, ma sempre convincente jewel case, caratterizzato però da una grafica di livello superiore, visto che dietro ci sta un tipo chiamato Alan Forbes (tanto per dire, tra i suoi clienti ci sono i QOTSA, Misfits, etc.), anche se forse qualche foto in più e i testi ne avrebbero aumentato il desiderio di acquisto, ma se venduto al giusto prezzo, lo reputo un ottimo affare. Le otto tracce di 'Mind Traveler' sono di ottima fattura, ben arrangiate e difficilmente da credere per questo genere, mai banali. "Speed Queen" apre l'album e lo fa come per un live, un'intro strumentale con feedback ed affini che si trasforma dopo poco nel tema principale del brano. Ritmo pacato, riff leggero di chitarra e poi la canzone decolla, rimanendo sui 100 bpm e puntando tutto sull'impatto dei suoni. Gli arrangiamenti sono classici come lo stoppato di chitarra che accompagnato a dovere, crea un bel tappeto ritmico. Poi la band ritorna al fraseggio iniziale per chiudere in bellezza. "Royal Pine" è un trip dei sensi basato sulle melodie sapientemente orchestrate dai musicisti. Come ci si aspetta nel rock, le chitarre guidano il brano a suon di riff cadenzati e sporchi di distorsioni, con qualche effetto qua e la, ma la melodia rimane sempre la protagonista. La batteria e il basso hanno i suoni giusti degli album che hanno fatto la storia del rock, tessendo in modo ineccepibile le loro trame senza venire oppressi dalle chitarre. Il vocalist sfoggia un bel timbro, maturo e squillante con quella sfumatura ruvida che aiuta a interpretare al meglio il mood dei testi. Il break a tre quarti del brano permette alla band di staccarsi dalla prima parte e aggiungere la necessaria cattiveria per trasformare il brano da psichedelia ad hard rock. Tutto cresce (tranne la velocità) di intensità, si sovrappongono più linee di chitarre con l'aggiunta del classico assolo finale. Purtroppo (oppure no) la traccia finisce quando poteva ricominciare, questo perchè davanti alla scelta se fare un brano da sei minuti o più oppure chiudere in bellezza, i Blackwülf hanno optato per la seconda. Una buona band che cavalca l'onda del momento, che sa comunque tirare fuori belle canzoni che denotano impegno e sudore per non risultare mai scontate. Oltre alle influenze citate prima, il mix di stili diversi, dato dal diverso background dei musicisti è degno di nota. Da ascoltare e valutare. (Michele Montanari)

Harmorage - Psychico Corrosif

#FOR FANS OF: Heavy Metal
Having never heard these Frenchmen's debut full-length - perhaps I am not at liberty to make comparisons. But one thing I can be certain of, is that the production MUST have been better than this! On my third spin through their sophomore release 'Psychico Corrosif'; all that seems to have sunken in is that I can't hear the drums at all, the guitars are far too mellow and safe, the bass has a sound weird enough to make D.D. Verni blush, and the vocals...well, we'll get to them later. That being accepted, Harmorage are a low-budget, underground heavy metal band - so I'll disregard mixing issues in favour of some quality songwriting prowess...which also seems to be severely lacking. Oh deary me indeed. I would struggle to label this European quartet as 'heavy metal' at all. Far from the icons such as Raven or Saxon who helped shape the genre - Harmorage are akin more to a garage rock band trying their first hand at original material after spending 5 years playing Judas Priest covers. No song has any discernible structure to keep things memorable, but neither does any song have any progressive development to push it to the other extreme. Each track is just, sort of, there. Daniel Chalon's voice really doesn't lend any favours to the sound! There is no catchy melodic vocal line, no gritty punk-esque bark, nor any deep death-like growls. Just a mildly disgruntled Frenchman rambling into a microphone with his best 'tough-guy' attitude, and completely indecipherable lyrics (and my French is pretty good!). At his best, he completely drains the energy out of sections that might have held some potential, such as the chorus in "Scarifié". But at his worst, he sounds utterly hilarious and totally misplaced (see the pre-chorus in "Mon Anarchie"). It's obvious the band tried to inject some atmosphere into this mess with some ambient introductions, such as on "Reveillons Nous!" - but they simply seem like awkward genre mash-ups and, as a result, fall flat. Some of the playing is downright lazy. The drumming on faster tracks like "Je Condamne et J'accuse" is inexcusable by metal standards; and the main riff on "Droit Et Fier" is SO dull in its attempt to be pseudo-thrash, it's embarrassing. Even Merciless Death could do better. These lapses are a great shame, considering how awesome some of the guitar solos can be. Seriously, when he tries, Nicholas Chalon really shreds! Despite some fun gang-shouting sections and the occasional blazing guitar solo - these French wannabes simply aren't worth your time. 'Psychico Corrosif' is messy, unmemorable, and leaves no lasting impact. You're better off baking some funny-shaped bread and occupying your time with its warm, fluffy goodness. I guess I should now apologize for the awful French stereotypes. (Larry Best)

(Self - 2015)
Score: 40

https://www.facebook.com/harmorage