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sabato 31 agosto 2013

Secrets of the Moon - Carved in Stigmata Wounds

BACK IN TIME

#PER CHI AMA: Black occulto, Potentiam, primi Keep of Kalessin
Sebbene la biografia li presenti come un terzetto di black metal occulto, i Secrets of the Moon poco hanno a che fare con le sonorità di casa nostra, che, per intenderci, devono a gruppi come Mortuary Drape, Opera IX e Funeral Oration la paternità del suddetto genere. Il gruppo tedesco attinge più che altro da una corrente del black metal orientata allo sfoggio delle proprie doti tecniche, tant'è che il termine "occulto" trova giustificazione solamente nelle liriche dell'album e non certo nelle atmosfere che la musica è in grado di evocare. Ad ogni modo "Carved in Stigmata Wounds" non è affatto un brutto album e l'unica pecca effettivamente riscontrabile sta nella prolissità di alcuni arrangiamenti e nell'eccessivo protrarsi delle composizioni, che raggiungono dei minutaggi talvolta sfiancanti. Per quanto infatti le velocità non siano sempre sostenute, 70 minuti e più di black metal non sono facili da reggere per nessuno e diventano una difficile prova di resistenza persino per chi possiede padiglioni auricolari ben rodati. Un vero peccato, perché questi tre tedeschi ci sanno fare e già dai primi riff di "Cosmogenesis" ci si accorge che non sono poche le frecce al loro arco. La voce, prima di tutto, mantiene quella perfetta ruvidità utile a bilanciare in ugual misura aggressione e musicalità, mentre le chitarre annichiliscono senza mai perdere il controllo, interrompendo solo saltuariamente la loro folle corsa in favore di momenti più ragionati. Non manca qualche sprazzo di tastiera, che riveste però un ruolo assolutamente marginale nell'economia generale dei brani. Come già detto, è l'ottima preparazione tecnica degli strumentisti a farla da padrona nell'album e non è da meno il lavoro svolto in sede di produzione, responsabile di un suono limpido e a sua volta selvaggio. Se masticate il genere, provate ad immaginare un incrocio tra Keep of Kalessin, Potentiam e Dissection e avrete un'idea abbastanza calzante di come suonino i nostri. In conclusione, una prova convincente ma, ripeto, offuscata da una durata dei brani a dir poco estenuante, che fa dell'album un prodotto discreto e niente più. (Roberto Alba)

(Lupus Lounge/Prophecy - 2004)
Voto: 65

https://www.facebook.com/sotm777

giovedì 22 agosto 2013

Satyricon - Volcano

BACK IN TIME

#PER CHI AMA: Black Sperimentale
Da più di un decennio seguo le sorti di questo colosso norvegese, che assieme ad Emperor e a pochi altri è riuscito a portare il black metal a livelli elevatissimi. Lavori come "Dark Medieval Times", "The Shadowthrone" e il capolavoro assoluto "Nemesis Divina" hanno segnato un'epoca e hanno posto le basi per la crescita di un genere che agli inizi degli anni '90 sembrava dover essere relegato unicamente all'underground. Ho sempre accolto con grande entusiasmo ogni prova in studio di Satyr e Frost e neanche il tanto contestato "Rebel Extravaganza" era riuscito a deludermi quando uscì nel 1999. Trovo che "Rebel Extravaganza" rappresenti tuttora il capitolo più estremo e misantropico della carriera dei Satyricon, un ottimo album che purtroppo non fu accolto in modo benevolo e venne criticato duramente, forse proprio per il suo carattere ostico e per l'abbandono totale delle atmosfere epiche e medievali degli esordi. Dopo l'uscita di "Volcano", ammetto però di esser rimasto sorpreso e disorientato leggendo tutti i commenti positivi che l'album ha ricevuto da stampa e affezionati e non mi sento di appoggiare in pieno questo verdetto collettivo che ha decretato la nuova creatura dei Satyricon come un'opera d'arte sublime ed innovativa. Indubbiamente "Volcano" ha ereditato le strutture spigolose e dissonanti di "Rebel Extravaganza" ma appare più scarno e diretto del suo predecessore, tanto da perdere quasi integralmente quell'aura ipnotica e malsana a cui il duo norvegese ci aveva abituati nelle sue composizioni più intricate. Solo "Angstridden" porta con sè l'inconfondibile marchio dei Satyricon mentre brani come "Suffering the Tyrants", "Mental Mercury" o "Black Lava", nonostante risultino formalmente perfetti e non manchino di alcuni spunti geniali, scivolano via senza far male e rimangono privi di slancio. Va anche detto che riesce difficile resistere a due pezzi esplosivi come "Repined Bastard Nation" e "Fuel for Hatred" -due macigni dalla vena rock'n'roll che suonati dal vivo, vi assicuro, risultano assolutamente travolgenti- ma questo non basta a far guadagnare quota a "Volcano", che purtroppo rimane soffocato dall'eccessiva smania di sintesi emersa nella sua stesura. Per quanto mi riguarda non c'è nessun tradimento delle origini, nessun cambio radicale di stile e non trovo nulla di sospetto nemmeno nel passaggio della band ad un'etichetta importante (affermare che Satyr e Frost siano diventati delle rockstar è semplicemente ridicolo)... più semplicemente, "Volcano" è un disco sottotono e alle volte un po' noioso, l'album di una band che resta comunque grandissima e rimarrà tale anche in futuro. (Roberto Alba)

(Capitol, 2002)
Voto: 65

http://www.satyricon.no/

Runes Order - The Hopeless Days

BACK IN TIME:

#PER CHI AMA: Dark Ambient, Cold Wave
Un tiepido inizio dalle movenze rallentate, quasi come intorpidite da una tremenda sensazione di gelo, la stessa orribile sensazione che solo il terrore per una morte iniqua può serbare. Incomincia così il settimo album di Runes Order, un lavoro le cui prime tracce lasciano ben intendere quale sia il percorso intrapreso da Claudio Dondo dopo le divagazioni nella musica horror anni '70 de "La Casa dalle Finestre che Ridono". Parlo di un ritorno alle sonorità di "Odisseum" e "Waiting Forever", lavori dai quali l'artista è ripartito per catturarne lo spirito e riproporne le intuizioni, ma affrontando l'onere con la padronanza del musicista maturo che ha preso completa coscienza del proprio potenziale espressivo (in tal senso, la collaborazione con Trevor di Northgate e Camerata Mediolanense sembra essersi rivelata cruciale). Con "Il Giorno della Vendetta" si entra nel vivo dell'incubo. Nel crescendo introduttivo di synth, sostenuto dall'incalzante base ritmica di sottofondo, lo stile dell'artista alessandrino diventa immediatamente riconoscibile ed è proprio a partire da questo brano che l'ascolto dell'album si farà sempre più coinvolgente. Segue "After the Passing", una bellissima cover dei Malombra interpretata da Daniela Bedeski (Camerata Mediolanense), la cui voce soave e distante accompagna l'ingresso inatteso di figure evanescenti, che giungono alla nostra dimora come portatrici di un messaggio funesto. Le urla raccapriccianti di "Misoginy!" non lasciano alcun dubbio su quanto stia per accadere: qualcosa di orrendo è già in atto... un delitto brutale ed efferato sta per essere consumato. Il buio della notte si adagia allora come un drappo nero su quel corpo martoriato, su quel volto privo di vita in cui la paura ha dipinto un'ultima smorfia. Le deboli luci al neon di una squallida periferia diventano così, le testimoni del macabro scenario e osservano, tra i rapidi bagliori dei flash, i movimenti di un obiettivo che cattura avidamente le istantanee della vittima. Intanto, le oscure ritmiche trip-hop di "The Night" sembrano trasformarsi nelle complici più fidate del Mostro, accompagnando la sua fuga nel traffico cittadino. Con l'arrivo di "Lucy" assistiamo infine ad uno degli episodi più intensi dell'album, un grido disperato che fa eco tra i ricordi di una mente distorta, quella di chi è pronto ad uccidere ancora. Muovendosi tra soundtrack music, dark ambient, cold wave ed electro ritmata, Claudio Dondo consegna alle stampe un altro formidabile album, un lavoro decisamente emozionante che raggiunge il culmine di una parabola evolutiva in continua ascesa. Prematuro immaginare quale ulteriore crescita affronterà l'artista in futuro; meno difficile è riconoscere "The Hopeless Days" come l'ennesima prova di un talento innato. (Roberto Alba)

(Beyond Production, 2004)
Voto: 85

https://myspace.com/runesorder

mercoledì 21 agosto 2013

Fatal Portrait - An Elusive Instinct... of Lascivia

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine

#PER CHI AMA: Black Gothic, Cradle of Filth
Un minestrone di suoni “ben congegnato”, senza alcuna cognizione di causa (nel primo brano ogni strumento pare che vada per i cazzi propri): quattro pianti di bambino, due lagne, tre strilli, un po’ di tastiera per condire il tutto e il pranzo è servito, ogni rispettabile vampiro modaiolo è accontentato. Si denota un certo miglioramento strutturale nelle ultime tracce del dischetto, pur rimanendo nei soliti canoni “heavy” triti e ritriti, senza un briciolo di originalità; troppo poco per promuovere questo cd.

(Downfall Records, 2000)
Voto: 45

https://myspace.com/fatalportrait

Burials – Burials

#PER CHI AMA: Mathcore, Progressive Death, Converge, Obscura
C'è un motivo se questa recensione arriva in ritardo, ed è che i Burials sono una delle migliori band che mi sia mai capitato di ascoltare e di conseguenza il cd è rimasto stabile nella mia rotation d'ascolto, lontano dai dischi da recensire. Il sound proposto dal gruppo è qualcosa di eccezionalmente particolare, una miscela di mathcore e progressive death con una decisa vena neoclassica che ne rende unico l'ascolto. Già da "Nova" si riesce a percepire un'atmosfera trascendente che colloca questo lavoro al di sopra di molte blasonate release di generi affini, sia tecnicamente che compositivamente, anche se difficilmente si riuscirebbe a creare paragoni date le straordinarie sonorità partorite dai nostri che riescono ad avvicinare adirritura band quali Neurosis ed Enslaved. Punto focale dell'opera è la velocità che permette al quartetto da Portland la massima resa, irrompendo con virtuosismi stupefacenti arricchiti dalle dissonanze ed armonie che riescono a creare, trovando la loro massima rappresentatività in "Synthetic" e "Wizard Lock". Ma non è certamente grazie solo alla schizofrenica chitarra che l'opera si erge, perchè la sezione ritmica dà prova di un livello ed una preparazione ottima, capace di seguire perfettamente la chitarra che si districa tra le più contorte melodie e trascina tutta l'opera oltre che l'ascoltatore. Altro punto di forza di questo lavoro è che annoia difficilmente grazie alle parti compositive che scivolano tra loro stesse, rendendo l'ascolto perpetuamente energico e febbricitante. Il mio rimpianto più grande è quello di non averli scoperti anni prima ed apetto ansiosamente lanuova release che dovrebbe uscire a breve, ascolto consigliatissimo ma solo agli ascoltatori più provati. (Kent)

(End Theory Records)
Voto: 90


http://burialspdx.bandcamp.com/album/burials

martedì 20 agosto 2013

Tons - Musineè Doom Session

#PER CHI AMA: Doom Metal, Sleep, Iron Monkey
"In the beginning God created the heavens and the earth. And the earth was without form, and void..." Vi devo confessare che inizialmente "Musineè Doom Session", debut album dei Tons, non mi aveva preso molto, probabilmente a causa dello scream troppo acido e violento di Paolo che non reputavo adatto ad un complesso doom metal; dopo svariati ascolti (confermati ulteriormente in un ultimo periodo di ascolto su vinile) devo dire che la formula proposta dai Tons è decisamente valida. Ad una prima ispezione del disco (che lo si può trovare in due versioni, il packaging originale a mo' di confezione o la versione cartonata serigrafata limitata a cento copie numerate, questa molto minimale ma di gran classe), mi balza subito agli occhi i titoli delle canzoni che richiamano grandi classici della musica metal, però migliorati. L'opera si apre con la title-track (con i passi della Genesi riportati all'inizio), traccia con riff pesantissimi e trascinanti, un ottimo inizio per catturare l'attenzione e chiarire sin da subito le intenzioni del trio torinese: tanta saturazione, tanti picchi di volume, tanta lentezza ma con ritmi capaci di far scuotere la testa (come adesso mentre scrivo questo in treno e tutti mi guardano male). Il suono già traboccante dalle distorsioni di chitarra e basso, viene ulteriormente caricato dalla voce creando un muro sonoro invalicabile. La struttura delle composizioni è pressochè semplice, su tutte spicca "Once Upon a Tentacle" traccia più breve e minimale del disco, e "Ketama Gold" traccia a mio parere più debole a causa della prima parte interamente strumentale leggermente prolissa, dato che si sposta su tre riff nel giro di quattro minuti abbondanti. Questa primo full length dei Tons è un chiaro centro pieno nella prolifera nuova scena doom italiana (una traccia come "Tangerine Nightmare" ne è la prova), capace di distanziarsi dagli stilemi classici, ma senza cadere nella banalità delle sonorità valvolari e stonerose. (Kent)

(Escape From Today Records)
Voto: 75

https://www.facebook.com/TONSBAND

sabato 17 agosto 2013

Fall Of Minerva - Departures And Consequences

#PER CHI AMA: Post-Core, Post-rock, Alexisonfire
Questo EP di debutto dei Fall of Minerva potrebbe comodamente essere usato come manifesto per tutto il movimento underground vicino al post-core sviluppatosi da un lustro a questa parte. Contiene tutti gli elementi caratterizzanti questi anni buii di musica dove abbonda la conformità di nicchia, dispersi in un mare di subgeneri e band valide, per cui necessitiamo di fari per sintetizzare elementi presenti in tutto il panorama musicale e riuscire ad avere la sicurezza sonora di un prodotto di qualità apprezzato dal naufrago ascoltatore. I Fall Of Finerva sono uno di questi fari, figli di una stratificazione di generi emersa dal crollo delle antiche civiltà del metal, del rock e del punk hardcore. Ma fondamentalmente che dire della musica? C'è tanto e poco da parlarne, la prima traccia "We're not Allowed Think of Us" riassume la formula del gruppo vicentino, l'apertura con un timido piano si sposta verso preponderanti sonorità screamo infuse di post-rock che mutano aprendo larghe parentesi metalcore e mathcore. L'andamento del disco è pressochè questo, un alternarsi di melodie ed atmosfere alla Sigur Ros e sfuriate core alla Underoath. Un lavoro che presenta un'ottima base di partenza in tempi maturi per queste sonorità. (Kent)

Face Down - The Long Lost Future

#PER CHI AMA: Thrash, Stoner, Pantera, Blind Dog, Alabama Thunderpussy
Mettiamola così: se i Pantera esistessero ancora, se Darrell e soci avessero seguito la deriva southern di Phil Anselmo ben raccontata nei Down, probabilmente oggi suonerebbero come i Face Down. Il quartetto francese, al loro primo full-lenght dopo un EP del 2010, mette insieme una forte dose di thrash metal vecchio stile con una punta di stoner rock: non aspettatevi certo le derive psichedeliche alla Kyuss, né quelle rock'n'roll di Fu Manchu o Queens of the Stone Age. Qui c'è velocità, distorsione metal, doppia cassa in abbondanza; il riffing è serrato e ben costruito, la ritmica mai scontata (finalmente un batterista davvero interessante per presenza e originalità) e i solos hanno spesso quel sapore blues che ha fatto la fortuna dell'ultimo compianto Dimebag. Dovendo dare delle coordinate più vicine, potrei citare gli Alabama Thunderpussy e i purtroppo poco noti Blind Dog, con quella mistura sempre equilibrata tra violenza sudista e blues. A contribuire con forza alla deriva stoner è senz'altro la voce: urlata ma senza mai cadere nel growl, sempre appoggiata su una melodia che ricorda l'intonazione di Jon Garcia. I brani scorrono veloci e potenti e, a parte due episodi di soli due minuti (l'acustica strumentale "Under the Sun", la velocissima sfuriata hardcore "Kiss of Death" e la brevissima parentesi di "Evil Blues"), tutti i brani hanno durate superiori ai quattro o cinque minuti, a riprova di un metal non strettamente citazionista del solo thrash dei Pantera. Sono molti i brani simbolo del gruppo, che dà quindi prova di idee chiare per tutta la durata dell'album: "Smoke Coat" è un vero laboratorio di riff sul mid-tempo, "Only Human", "N°1 Must Die" e "Blow Away the Dust" sono tre veri pugni in faccia, peraltro consecutivi, per velocità e potenza. Mi chiedo solo, pensando al futuro del quartetto: cosa succederebbe ai Face Down se abbandonassero ancora un po' la loro anima thrash a favore di atmosfere più ispirate e desertiche, di un riffing più lento e cadenzato? Può davvero essere questa una strada possibile per la fusione di due generi che hanno sempre avuto più di un punto di contatto tra loro? (Stefano Torregrossa)