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mercoledì 10 maggio 2023

Major Parkinson - Valesa – Chapter I: Velvet Prison

#PER CHI AMA: Pop Rock
Non è stato per nulla semplice recensire questo monolitico lavoro dei norvegesi Major Parkinson, non tanto per la lunghezza dell'opera a dire il vero, ma per i suoi contenuti. La band era portavoce di un certo progressive rock, almeno nelle vecchie release; in questo 'Valesa – Chapter I: Velvet Prison ' mi sembra che le sonorità si siano ulteriormente ammorbidite, mettendo in scena una proposta che puzza piuttosto di pop (in taluni frangenti rock) assai commerciale. Ecco, un qualcosa che avrei voluto recensire, a dirvi in tutta franchezza, viste anche le 17 song che i nostri hanno buttato in questo lavoro, dico 17!! Che palle. E se le prime tracce sono un buon modo per avvicinarsi alla band e scoprirne le peculiarità, ad esempio un uso importante dei synth e di ambientazioni stile colonna sonora da commedia romantica ("Behind the Next Door", che peraltro mi sembra in una versione live, come tanti altri brani in questo disco, vedi la "springsteeniana" "Sadlands"), piuttosto che di un uso spropositato del pianoforte (la strumentale "Ride in the Whirlwind") che arriva a farmi sbadigliare, potrei citarvi un altro bel po' di pezzi per cui non posso dirmi un grande sostenitore della band scandinava. "Live Forever" sembra trascinarmi agli anni '80 con quel suo sound che chiama in causa ancora il Boss, che rimane tuttavia altra cosa. Come cigliegina sulla torta, i nostri ci piazzano poi una bella vocina di una dolce fanciulla e il gioco è fatto. O forse no, almeno non per il sottoscritto, che preferisce passare avanti e magari lasciarsi persuadere dal criptico gospel di "Jonah", forse la song che ha toccato maggiormente le mie corde. Altri pezzi da segnalare? La noiosissima (almeno nella prima metà) "Irina Margareta", che fortunatamente si ripiglierà nella seconda parte. La sintetica e stralunata, almeno per i canoni di questo disco, "The House". Forse la punkeggiante "MOMA", ma anche questa alla fine non mi convince granchè. Non so poi se "The Room" volutamente faccia il verso a "Time After Time" di Cindy Lauper, cosi come pure a Madonna, ai Queen (nel synth iniziale di "Fantasia Me Now!") o altri mille artisti degli anni '80, ma per me è ormai già troppo da digerire. I Major Parkinson rimangono sicuramente ottimi musicisti con una vera e propria orchestra di violini, violoncelli, arpe, tenori, soprani, trombe al seguito, che tuttavia poco, anzi per niente, si sposano con i miei gusti musicali. Mi spiace, ma per me è un no grande quanto una casa, almeno sulle pagine del Pozzo dei Dannati. (Francesco Scarci)

giovedì 17 maggio 2018

Major Parkinson - Blackbox

#PER CHI AMA: Cinematic Prog Rock
Elettroniche compresse e ossessive (sentite "Night Hitcher", costruita su un inverosimile pattern in 10/4 - poi ripreso nel finale di "Isabel" - che la fa rassomigliare a una "Under Pressure" come la interpreterebbero dei Nine Inch Nails morsi da uno zombie) ed un intreccio di voci ultraterreno (una sorta di eterea Linn Frøkedal contrapposta al terracrostaceo Jon Ivar Kollbotn) finalizzato ad accrescere la tensione narrativa del concept (e probabile che "Lover, Lower Me Down" vi sembri tipo una cosa degli Ulver cantata da Leonard Cohen e, uh, la sensazione si accentuerà nella successiva "Madeleine Crumbles") incredibilmente viranti nella direzione di un prog-pop dalle tinte scurissime (i Depeche mode sotto-il-cielo-elettrificato-di-Bristol di "Blackbox") e, saltuariamente, epicamente morriconiana (i finali di "Isabel" e soprattutto della title track) vs. certo progressive-nonmetal, alla Pain of Salvation, per intenderci. Saranno proprio le due lunghe epiche centrali, le più pirotecniche e creative: la pluricitata "Isabel" (una tuttologica cavalcata progressive attraverso vari suoni: il prog-folk elettrostatico, il finale spacey con tanto di typewriter che richiama il folle pattern di "Night Hitcher") e "Baseball" (un'accozzaglia di circensi quadriglie tra i Rondò Veneziano, gli Alan Parsons Project di "Silence and I" e i Pain of Salvation di "Spitfall" featuring, tra l'altro, il medesimo estratto di "Twisted Nerve" che piace tanto a Tarantino - l'avete sentito?), a ricordare a voi i P-O-S, appunto, e ai P-O-S che se continuano a pubblicare roba come 'In the Passing Light of Day' questi norvegesi qua gli fanno le scarpe in quattro album e quattr'otto anni di carriera. (Alberto Calorosi)