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Avevo 16 anni, quando acquistai nell’estate del 1991, il primo Lp dei Meshuggah, “Contradictions Collapse”, album pesantemente influenzato dai primi lavori dei Metallica. Da allora di acqua ne è passata sotto i ponti fino a condurre il combo svedese a rappresentare una delle più importanti e influenti band in ambito estremo. Oggi ripeschiamo “Catch Thirty-Three”, che rappresenta una delle tappe che hanno portato alla consacrazione definitiva il quintetto scandinavo, anche se tuttavia questo lavoro non è uno dei più brillanti fin qui partoriti. Di primo acchito, ci si rende subito conto che per assimilare i 47 minuti che compongono l’album, servono ripetuti e ripetuti ascolti. La musica non differisce più di tanto dalle precedenti release: si rende solo più arzigogolata e schizzata, talvolta snervante al punto tale da farmi spegnere lo stereo e riprendere fiato; e ancora, in altri frangenti (quando la band si ferma, e per 5 minuti si intestardisce a ripetere gli stessi 3 accordi) risulta noiosa e prolissa. Sicuramente questo è l’album più sperimentale dei 5 ragazzi di Stoccolma: allucinati riff di chitarra in primo piano (chitarre a 8 corde, accordate bassissime - downtuning) sorreggono una batteria totalmente impazzita (ottimo come sempre l’apporto di Tomas Haake dietro le pelli, a conferma del fatto che sia uno dei migliori batteristi in circolazione), e poi i classici controtempi su controtempi tipici dei Meshuggah, con i ritmi dispari, spezzati, e il cantato urlato di Jens Kidman sopra. Concludendo, “Catch Thirty-Three” rappresenta una tappa di avvicinamento al grandissimo "Obzen"; mi aspettavo qualcosina in più... Comunque, lo sapete anche voi, i Meshuggah o si amano o si odiano, voi da che parte state? (Francesco Scarci)
(Nuclear Blast)
Voto: 70
Voto: 70