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mercoledì 29 giugno 2016

Everything Behind - Man From Elsewhere

#PER CHI AMA: Metalcore/Alternative
Il metalcore è un genere tosto. L'ho dato per morto una miriade di volte in quanto svuotato da ogni tipo di significato poichè consumato, usurato, esaurito in fatto di contenuti. Eppure, ogni volta si rialza, si reinventa e ha sempre modo di proporre una variazione al genere, magari contaminandolo con altre sonorità. Un plauso va quindi ai francesi Everything Behind che nel loro 6-track, sono riusciti a buttare dentro alla loro proposta metalcore, un qualcosa di hardcore, un pizzico di heavy metal, una spruzzata di rock e addirittura una glassa di elettronica (e "Welcome to the End" ne è un bell'esempio e anche la mia traccia preferita). Il risultato è questo dischetto intitolato 'Man From Elsewhere', uscito a dicembre 2015 che tra lo scetticismo generale, compreso quello del sottoscritto, è riuscito a sorprendermi non poco. Chiaramente, come detto più volte, c'è ben poco da inventare in questo ambito, ma forse è un discorso che potrebbe essere esteso a tutto il metal in generale. Tornando agli Everything Behind, l'alternanza tra i classici riffoni sincopati, qualche break math o qualche accenno alternative, nonchè la buona prova del vocalist soprattutto a livello di clean vocals, mi fanno considerare questo lavoro un buon lavoro. Per carità, talvolta suonerà ruffiano, inutile nasconderlo, perchè anche voi percepirete in "Will You Let Love" un po' di quella puzza Nu Metal, però 'Man From Elsewhere', nel proseguio del mio ascolto, continua ad essere sempre più piacevole e addirittura imprevedibile. Onirico nella strumentale "13.11.15", feroce e un po' più banale in "Reborn", una traccia che tuttavia vive di saliscendi ritmici e che, nel su spettrale finale, ci introduce alla title track. Quest'ultima song rappresenta un po' la summa di quanto ascoltato fin qui nei 30 minuti di questo secondo lavoro firmato dalla band parigina. C'è sicuramente ancora da lavorare per identificare una propria identità ben definita, smussare gli spigoli e le banalità in cui facilmente l'act transalpino cade per inesperienza (come ad esempio una orribile cover cd); malgrado questo le potenzialità sono assai elevate. Li aspetto al varco, attenzione a non deluderci con il prossimo passo... (Francesco Scarci)

Shyy - Demo 2016

#PER CHI AMA: Post Black/Shoegaze
Nel 2012 i brasiliani Shyy uscirono con uno split album in compagnia dei nostrani ... (dotdotdot). A distanza di quattro anni, il quartetto di San Paolo torna a farsi sentire con un demo di due pezzi e un sound che sembra essersi incattivito rispetto al passato. Se a quel tempo avevo avvicinato la proposta dei nostri ad uno shoegaze di derivazione francese, "Desfalecer" prima e "Afogar-se" sembrano offrire un qualcosa di più grezzo che soffre già in partenza di una produzione non troppo limpida, con un riffing un po' troppo caotico e un vocalist che sembra aver fatto un salto indietro rispetto al passato sia nella componente scream che pulita. Certo, le potenzialità ai nostri non mancano, ma questo 'Demo 2016' ha tutte le fattezze di un prodotto troppo "casalingo" che rappresenti semplicemente una forma embrionale di quello che i quattro carioca vorrebbero realmente esprimere. Francamente mi aspettavo qualcosina in più dagli Shyy anche se ci sono delle discrete melodie, il rifferama è acuminato quanto basta, il cantato caustico, ma ciò che manca è quell'accattivante sensazione di benessere che mi aveva conquistato ai tempi dell'uscita per la Pest Productions. C'è da lavorare e anche parecchio per tornare a convincermi pienamente. Per ora, si tratta solo di una sufficienza risicatissima. (Francesco Scarci)

(Self - 2016)
Voto: 60

https://shyybr.bandcamp.com/

Soulhenge - Anachronism

#PER CHI AMA: Djent/Metalcore, Tesseract, Meshuggah
Il Lussemburgo, pur essendo un piccolo paese, inizia ad avere una scena metal che pian piano prende forma, grazie anche al supporto del ministero della cultura (cose impensabili per il nostro paese). Cosi, dopo aver recensito quest'anno gli Sleepers’ Guilt, ecco che facciamo la conoscenza dei Soulhenge, quintetto di Diekirch, dedito a una forma di modern metal. Nei quattro pezzi inclusi in questo EP, intitolato 'Anachronism', non possiamo che farci investire dal loro djent venato di influenze metalcore e mathcore (che erano assai più marcate nel precedente album 'Fragments'). Le danze aprono con "A New Dance", dove palese è la carica di groove che esonda dalle note della opener track, che ha modo di mostrare il dualismo vocale, in pulito e growl, del frontman Ozzy, il chiaro contrapporsi tra il riffing distorto, creato dal duo di asce formato da Yannick e Milian e la delicatezza dei synth, in una traccia che assimila inevitabilmente gli insegnamenti dei Meshuggah su tutti. I dettami dei gods svedesi vengono fusi nella successiva "The Atomic Age", con il suono accattivante del djent dei Tesseract e dei Born of Osiris, in poliritmici pattern ricchi in melodia, breakdown acustici, vocalizzi catchy e chi più ne ha più ne metta, per risultare ai più, decisamente easy listening. Non vi soffermate però su queste sole parole e lasciatevi trascinare dal ritmo coinvolgente e travolgente dei Soulhenge, capaci di fondere nel loro sound anche influenze progressive e ipnotici intermezzi di tastiera (ascoltate "Serenity" per questo e non ve ne pentirete). Giungiamo con una certa velocità alla conclusiva traccia, la title track di questo EP, che segna senza ombra di dubbio un grande passo in avanti rispetto al debutto, pur senza inventare nulla, ma semplicemente arricchendo il proprio sound a livello di arrangiamenti, pulizia di suoni e ottime melodie, costituendo un buon e solido punto di ripartenza per la band del piccolo granducato europeo. (Francesco Scarci)

(SACEM - 2016)
Voto: 70

https://soulhenge.bandcamp.com/

Master's Hammer - Formulæ

#PER CHI AMA: Occult Black Sperimentale
Era il 1993 quando uscì 'The Jilemnice Occultist', un album che ebbe un forte impatto nella mia crescita di metallaro, grazie ad un sofisticato e progressivo sound black metal, fino ad allora senza precedenti. Sono passati 23 anni da quel lavoro e, dopo una serie di vicissitudini che hanno tenuto la band in standby per quasi tre lustri, i cechi Master's Hammer (MH) sono tornati a produrre dischi con una certa continuità. Ed ecco l'ultimo arrivato, 'Formulæ', una release contenente ben 15 nuovi psichedelici pezzi di black ipnotico ed occulto, chiaramente cantato in lingua madre, come da tradizione in casa MH. L'attacco, affidato a "Den Nicoty", ci consegna l'act di Praga in un buono stato di forma, con un pezzo non troppo lungo ma con una bella melodia di fondo, ancora in grado di riportarmi ai fasti di quel capolavoro che fu 'The Jilemnice Occultist'. È già con la seconda "Maso z Kosmu" che la proposta dei nostri viene contaminata pesantemente dall'elettronica, in un pezzo mid-tempo in cui affiorano più forti che mai gli sperimentalismi obliqui del terzetto ceco. Le caratteristiche di fondo della band sono comunque rimaste immutate nel corso di tutti questi anni: la voce inconfondibile di Franta Štorm cosi come le chitarre distorte e malate di Necrocock, mentre una lunga serie di elementi innovativi, ha trovato posto nella spina dorsale dei MH. Si parlava di sperimentalismi e 'Formulæ' ne è ben ricco: in "Votava" c'è l'utilizzo di un quello che credo che sia un trombone, mentre la successiva "Shy Gecko", oltre ad essere un pezzo assai tirato, offre un chorus molto ruffiano che mi lascia quasi del tutto disorientato. I Master's Hammer filano dritti che è un piacere con pezzi che si assestano tutti sui quattro minuti, contraddistinti da una carica di groove non indifferente e dall'utilizzo di una matrice elettronica davvero ispirata, talvolta addirittura un po' troppo spinta che per certi versi mi ha evocato il periodo più sperimentale dei Samael. Cosi, i synth, in stile elicottero, si affiancano alle vocals e all'impianto ritmico dei nostri in "Arachnid", in una traccia minacciosa e ossessiva. Una serie di break visionari spezzano l'irruenza di "Všem Jebne", mentre il riffing di "Biologické Hodiny" ha un che di spaziale nel suo incedere che la elegge quale mia song preferita dell'album. Nelle note di 'Formulæ' aspettatevi di trovare ben poco di convenzionale: "Phenakistoscope" è un brano etnico e tribale che sancisce il distacco quasi totale dei nostri dal black metal e apre la strada a nuove forme musicali assolutamente fuori dai normali schemi compositivi, cosi come accade nella frammentata "DMT" o nella delirante "Podburka", che ci conduce in altri territori inesplorati del mondo metallico. C'è anche modo di rievocare il passato con il riffing acuminato di "Jazyky", ma delle tastiere liquide e psicotiche, avranno il merito di deviarvi la mente verso la follia più totale. L'unico neo che potrei trovare al disco è relativo all'elevato numero di pezzi che lo costituiscono, forse avrei fatto a meno di almeno un paio di questi, certo non della southern western "Rurální Dobro" o dell'orientaleggiante finale affidato a "Aya", a confermare l'imprevedibile originalità di questo trio che da quasi 30 anni ci travia con le loro suggestive musiche aliene. (Francesco Scarci)

(Jihosound Records - 2016)
Voto: 80

https://www.facebook.com/MastersHammerOfficial

Interview with Wyrding



A funereal echo emanates from deep within the abandoned outskirts of Antigo, Wisconsin... 
Follow this link to know the incredible guys of Wyrding:

martedì 28 giugno 2016

Suicide Commando - Axis of Evil

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: EBM
Era il 2003 quando mi ritrovai tra le mani il nuovo album di Suicide Commando, senza ombra di dubbio l'uscita discografica che quell'anno attendevo con maggior impazienza! Vi posso assicurare che fu veramente sorprendente ciò che Johan Van Roy era riuscito a fare in 'Axis of Evil', un album che ad un primo ascolto poteva anche sembrarvi molto diverso dalla precedente produzione dell'artista belga. In particolare con 'Construct Destruct' e 'Mindstrip', Johan ci aveva infatti abituato ad una forma di EBM talmente personale ed inconfondibile che ogni singolo aspetto della sua musica sembrava perfetto esattamente così com'era, senza bisogno di cambiar nulla e senza che nessun fan si fosse mai aspettato in verità alcun stravolgimento di sorta. Suicide Commando rientrava insomma in quella categoria di progetti musicali ai quali non chiedi altro che i soliti ingredienti per rimanere soddisfatto, come se la forte dipendenza da una formula ormai ben consolidata e familiare ti facesse apparire poco attraente qualsiasi prospettiva di cambiamento. Così anch'io ho dovuto ascoltare 'Axis of Evil' alcune volte prima di riuscire ad abituarmi alla sua diversità che, seppure non eclatante, si poteva sicuramente avvertire in una maggior varietà delle vocals, in una produzione più morbida e soprattutto nella tendenza dei brani ad assumere una struttura più complessa che in passato. Il risultato fu un'apertura intelligente verso un suono che legava violenza e melodia dosando entrambe in quantità pressoché perfette ed eccedendo nell'una o nell'altra solamente quando ne convenisse ad un effetto complessivo di immediatezza, la quale sarebbe stata difficile da ottenere se non fosse che il responsabile di tali equilibri era un musicista con alle spalle già un'esperienza più che decennale nell'ambito dell'elettronica. Quello di 'Axis of Evil' era un flusso ininterrotto ed avvolgente di beat che instaurava un dialogo continuo con i vari campionamenti utilizzati e con le urla rabbiose di Joahn, il quale alternava alla sua tradizionale prestazione vocale inedite vocals robotiche che meglio si adattavano alla vena dance-floor di episodi quali "Face of Death", "Reformation" o "One Nation Under God". Trovo non vi sia nulla di studiato o di "sornione" nell'accessibilità di questi brani moderati ed orecchiabili, ma vi si intraveda piuttosto il desiderio di voler allargare lo spettro emozionale della propria musica su un campo più vasto, che potesse ricoprire una varietà di umori differenti. La fusione tra linee di basso distorte e pesantissime percussioni non venne comunque relegata in secondo piano trovando il suo sfogo più aggressivo in "Plastik Christ", il cui testo confermava ancora una volta la posizione fortemente critica di Johan nei confronti della religione. Ma il concept lirico dell'album affrontava in maniera dura e provocatoria numerosi altri argomenti d'attualità per l'epoca, dal tema del suicidio fino a quello spinoso dell'allora situazione politica internazionale. Non so se fosse corretto chiamarlo capolavoro, le premesse c'erano comunque tutte! Io non posso fare altro che consigliarne l'ascolto a tutti coloro che non conoscono Suicide Commando e a farsi conquistare da 'Axis of Evil', avvicinandosi in questo modo all'esempio forse più attendibile e convincente di quale significato assumesse il termine EBM nel 2003. (Roberto Alba)

(Dependent Records - 2003)
Voto: 85

http://www.suicidecommando.be/

lunedì 27 giugno 2016

Utuk Xul - Goat of Black Possession

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Satanic Black
Mi sa tanto che con questo album rilascerò la recensione più breve della mia vita, perchè prodotti di questo genere non ha alcun senso che esistano. In Italia ci sono tanti gruppi validi senza contratto e questi colombiani di Calì riuscirono nel 2005 a firmare addirittura con la Displeased Records (attraverso la sottoetichetta From Beyond Production)? Ci sarà pur una giustizia divina a questo mondo. Ridicola l’intro in apertura, dove si sente un rito di LaVey che declama i nomi di tutti i demoni dell’infermo. Dopo di che scatta il putiferio: produzione rozzissima, batteria tuntuntuntun, chitarre al vetriolo e urla da girone dantesco. Queste caratteristiche, insieme alla carenza di tecnica e alla totale assenza di soluzioni interessanti, sono valide dalla prima all’ultima traccia, ad eccezione di “Allax Xul”, dove fa capolino una flebile tastiera a smorzare il sound dannato di questo 'Goat of Black Possession' (titolo peraltro quanto mai banale, degno di una band di serie B degli anni ’90). Gli Utuk Xul dichiarano che il loro è un furioso Satanic War Black Metal (sulla scia, direi io, di Marduk o primi Enthroned), con un killer sound supremo; per quanto mi riguarda è soltanto una presa per i fondelli per chiunque debba sborsare la paghetta settimanale per acquistare tale immondizia. Forse sarò stato troppo duro, però per fare metal, non serve avere il face painting, essere satanisti convinti e suonare tre banalissimi accordi con la chitarra. Pollice verso anche per la casa discografica, che in passato è sempre stata attenta nel selezionare le band da mettere nel proprio roster. (Francesco Scarci)

(From Beyond Production - 2005)
Voto: 40

https://myspace.com/utukxul

domenica 26 giugno 2016

Skoll - Grisera

#PER CHI AMA: Black/Epic, Bathory, Summoning
Skoll. Abbiamo avuto modo di recensirli con la loro ultima release, 'Of Misty Fire We Are', di fare due chiacchiere interessanti con M (the bard) in un'intervista qui nel Pozzo dei Dannati, e ora ho pensato di riesumare il precedente album, 'Grisera', che segnava il ritorno sulla scena del "bardo" (nel 2013), dopo ben cinque anni di silenzio dal secondo lavoro, 'Misty Woods'. La versione in mio possesso (l'edizione coreana della Fallen Angels Productions), a differenza dell'edizione europea edita dalla Ewiges Eis Records, include anche la bonus track "The Bard", ma andiamo pure con ordine. Iniziamo la nostra carrellata da "Grush", una song che palesa in modo lapalissiano, l'amore viscerale di M nei confronti dei Bathory (come dichiarato anche da lui stesso in sede di intervista) e della loro epicità dei tempi migliori. Arpeggi acustici, cori epici, lo stesso vento che soffiava in 'Twilight of the Gods' e le sue aperture ariose, sottolineano la vena ispirata degli Skoll. Quello che mi lascia un po' perplesso è semmai una produzione un po' approssimativa che penalizza enormemente il risultato conclusivo, anche se magari è una cosa voluta appositamente per restituire alla musica, quello spirito genuino che è andato perduto nel corso degli anni. La title track continua la sua opera di rievocazione dello spirito di Quorthon, questa volta affidando l'evocazione ai testi in italiano, al suono di quello che credo essere uno scacciapensieri e all'arrembante proposta di M, che tuttavia affida la seconda parte del brano ad una emozionante parte acustica, in cui ad emergere è il violino di Laura. Con "Hrothahaijaz" a venir fuori è la componente più atmosferica degli Skoll, in un black metal mid-tempo, influenzato da Summoning ed Emperor, per un risultato comunque interessante. Di nuovo brividi di piacere corrono lungo la mia schiena, grazie ad un breve inserto di violino che introduce a "Wolves in the Mist", prima che i toni si facciano un po' più accesi, in una canzone che tuttavia stenta a decollare. Giungiamo infine alla bonus track, "The Bard", che oltre a mostrare una registrazione casalinga, sembra essere un messaggio diretto di M, colui che canta del tempo andato, degli eroi dimenticati e dei miti perduti. Epici. (Francesco Scarci)

(Fallen Angels Productions - 2013)
Voto: 70

https://www.facebook.com/BandSkollIta